LA MAESTRA

La mattina del 17 settembre 1920 Vincenzo Romeo, 11 anni, abitante nella frazione Villamesa di Calanna in provincia di Reggio Calabria, accompagnato dal padre si presenta dal Pretore per sporgere una querela e non appena comincia a raccontargli ciò che sarebbe accaduto, il Magistrato salta dalla sedia:

Il giorno della festa della Madonna della Lettera, fattasi nel passato mese di luglio, Elvira Musolino mi condusse seco e mi trattenne in sua casa per tre giorni nascondendomi al padre, alla sorella ed al fratellino. Anzi, i famigliari della Musolino mi vedevano durante il giorno in loro casa e sapevano che io la notte stavo col fratellino nella pagliera loro. In tutto quel tempo Elvira, quando poteva passare inosservata, di giorno o di notte, mi faceva spogliare e si spogliava anch’essa e giaceva nuda con me nel suo letto o nella pagliera, congiungendosi con me continuamente. Lei mi procurava l’erezione con la mano, poi si metteva sopra di me introducendo le mie parti genitali nelle sue e si sfogava stringendomi a sé. Anche prima della festa la Musolino spesso si è congiunta carnalmente con me trovando l’occasione di stare da sola con me in sua casa

Possibile? Sembra incredibile che un bambino di undici anni abbia potuto subire qualcosa di così enorme e raccontarla quasi con indifferenza, ma bisogna indagare e intanto i Carabinieri accertano che Elvira Musolino è una cosiddetta “maestra privata”, cioè insegna a leggere e scrivere a pagamento a quei bambini che per un motivo o per l’altro non frequentano la scuola pubblica e questo è il caso del piccolo Vincenzo. Racconta sua madre Carmela Calopristi:

Siccome mio figlio non voleva frequentare le scuole pubbliche, così io pensai di mandarlo dalla mia vicina Elvira Musolino che si offrì di istruirlo. Poi un giorno la mia vicina Luigina Morena mi avvertì che mio figlio orinava sangue ed aveva saputo da lui che la Musolino ne aveva abusato e per questo fatto il bambino è caduto ammalato e non si è ancora ristabilito. Mentre infatti prima era allegro, sano, obbediente e pieno di buona volontà, dopo quanto gli successe si dimostrò svogliato, nervoso, serio, irascibile ed è continuamente pallido.

Quando, mediante mandato di comparizione, Elvira Musolino viene interrogata, viene fuori qualcosa che potrebbe stravolgere la tremenda accusa contro di lei:

Mi protesto innocente del reato che mi si ascrive, non essendo vero che io abbia indotto il bambino Vincenzo Romeo a congiungersi carnalmente con me. Non è vero che il predetto bambino veniva a scuola da me e neppure è vero che io lo abbia condotto con me alla festa di Milanese.

– Le accuse sembrano molto circostanziate. Perché, allora, vi avrebbero accusata?

La famiglia del bambino ha voluto accusarmi perché io avevo querelato Carmelo Calopristi, fratello della madre del bambino, per violenza carnale ai miei danni. Per ritorsione essi vollero accusarmi, forse allo scopo di indurmi alla remissione. La loro querela, infatti, è posteriore alla mia, che è del 20 agosto.

Elvira Musolino non resta passiva ma passa all’attacco querelando il bambino, i genitori ed una zia per diffamazione, in quanto per tutto il popolo di Calanna e di Villamesa vanno facendo propaganda che la esponente si è coricata moltissime volte in casa propria e nelle campagne con il minorenne Romeo Vincenzo di anni 10 e gli contagiò delle malattie veneree, cioè: blenorragia, bubbone, sifilide ed altro, dicendo la sottoscritta ammalata delle malattie suddette. Che la notte quando il Calopristi Carmelo, nella capanna di Sciarrone Domenico, tentava la violenza carnale all’esponente, era il Calopristi accompagnato da un altro giovane, che insieme l’hanno sedotta.

E che le cose siano andate così lo afferma anche il Maresciallo Giovanni Magno, da poco trasferito ad altra sede, al Pretore:

Il Romeo Salvatore, saputo che la Musolino Elvira aveva querelato il cognato Calopristi Carmelo, Regia Guardia, portò in caserma il suo bambino a nome Vincenzo, accompagnato anche dalla moglie e da una sua cognata a nome Calopristi Angela. Il Romeo andò via e dalla moglie e dalla cognata mi fu raccontato che il bambino aveva subito violenza carnale da parte di Musolino Elvira. Io allora mandai a chiamare un medico e venne in caserma il dottor Giacomo Rancourt, dal quale feci visitare, in mia presenza, il bambino. Il dottore, dopo un’accurata visita, mi disse che riscontrava al pene del bambino un po’ di irritazione causata da sfregamento, ma non seppe precisare se ciò era conseguenza di coito o di masturbazione, il dottore non rilasciò alcun referto medico ed io, siccome ritenevo che si trattasse di una manovra da parte dei Romeo e Calopristi allo scopo di evitare che il loro congiunto sposasse la Musolino Elvira, che era stata da costui deflorata, invitai le Calopristi a sporgere querela, cosa che non fecero durante la mia permanenza alla stazione di Calanna.

E, come abbiamo visto, la querela viene presentata solo il 17 settembre, quando il Maresciallo Magno è stato ormai trasferito, ma Salvatore Romeo spiega al Pretore il perché, raccontando una versione completamente diversa da quella fornita dal Maresciallo Magno:

Appena saputo dei fatti, circa nell’agosto del 1920, io accompagnai il mio bambino dal dottor Rancourt, che lo trovò ammalato alle parti genitali. Mi recai subito alla caserma dove denunziai il fatto al comandante del tempo, Maresciallo Magno, il quale volle che il medico visitasse il bambino in sua presenza e ciò fu fatto. Il Maresciallo mi disse che avrebbe provveduto a verbalizzare allegando il referto che il dottor Rancourt gli aveva rilasciato in mia presenza, spiegandomi che la legge avrebbe proceduto anche senza la mia querela. avendo dipoi visto che nulla veniva avanti, mi feci scrivere dall’avvocato D’Inzillo la querela, nella quale, forse, i fatti non sono bene esposti per erronea interpretazione di quanto narravo all’avvocato.

– Quindi confermate che la Musolino ha abusato vostro figlio Vincenzo?

– Ripeto e confermo che la Musolino abusò di mio figlio non solo in occasione della festa di Milanese, ma anche in occasione della scuola che gli faceva.

– Confermate la querela?

Insisto per la punizione della Musolino!

Un brutto pasticcio e siccome il dottor Giacomo Rancourt viene tirato in ballo sia da Romeo che da Magno, è assolutamente necessario ascoltarlo:

In un giorno che or non saprei precisare, forse nell’agosto 1929, venni invitato a visitare in casa mia il ragazzo Vincenzo Romeo e constatai sui suoi organi genitali lacerazioni multiple, prepuzio irritato e poca secrezione megmatica alla base del prepuzio stesso.

– Il bambino urinava sangue?

Non rammento se i parenti del bambino o egli stesso mi abbiano detto che aveva orinato sangue.

– Lo avete visitato solo quella volta?

No, poco dopo fui chiamato alla caserma dei Carabinieri ove il bambino fu da me nuovamente visitato in presenza del Maresciallo del tempo. Siccome il ragazzo ed i parenti mi avevano narrato che era stato assoggettato a ripetute congiunzioni carnali, io giudicai verosimile che le alterazioni riscontrate dipendessero da tali congiunzioni e degli atti di libidine che dovevano necessariamente, per l’età del bambino, preordinarli. Giudicai le lesioni guaribili in dieci giorni con riserva e redassi subito referto che consegnai ai Carabinieri – quindi Rancourt smentisce il Maresciallo Magno –. Successivamente ebbi in cura il bambino e così constatai che le lesioni locali guarirono in breve tempo. Rimase però fortemente scosso il sistema nervoso del bambino che deperì organicamente. Successivamente, dopo vari mesi, venni nuovamente chiamato a rivedere il bambino, che era rimasto sotto le mie cure per vincere il deperimento, e mi fu fatto notare che accusava un forte dolore all’inguine sinistro. Trovai un’adenite in linea di suppurazione e, conoscendo l’anamnesi del bambino, non trovando lesioni che giustificassero un’adenite traumatica, pensai che malgrado il lungo intervallo essa fosse una conseguenza delle lesioni da me riscontrate sulle parti genitali. Consigliai l’operazione e seppi che la famiglia la fece eseguire al dottor Tripodi di Gallico.

E quindi è il caso di sentire anche il dottor Letterio Tripodi:

In un giorno del gennaio o febbraio 1921il bambino Vincenzo Romeo venne condotto a casa mia ed io gli riscontrai un ingorgo glandolare all’inguine sinistro, duro alla palpazione e dolente. Siccome il colorito della pelle era ancora normale e non vi era indizio di suppurazione, consigliai una cura preventiva con applicazione di pomata di belladonna con fasciatura compressa, sperando di contenere così la suppurazione. Invece l’adenite venne avanti e, chiamato a casa dell’infermo, lo operai e venne fuori pus abbondante e sangue nerastro. Lo medicai continuamente e la guarigione avvenne in una decina di giorni.

– A cosa era dovuta l’adenite?

Avendo dai suoi caratteri rilevato che trattavasi di un ascesso caldo e non avendo riscontrato ferite o cicatrici che autorizzassero la supposizione di un’adenite traumatica, pensai che fosse una conseguenza di quanto mi era stato narrato

Entrambi i medici, durante i periodi in cui ebbero in cura Vincenzo, hanno riscontrato uno stato di notevole deperimento organico che attribuiscono con molta probabilità alla violenza che dice di aver subito. Ma in una causa penale per portare avanti un’accusa e, soprattutto, ottenere la condanna di chi ha causato un danno la probabilità non è sufficiente, ma bisogna avere la certezza. Così il Giudice Istruttore ordina una perizia e l’affida al dottor Pietro Cotroneo, che riconosce Vincenzo affetto da una linfoadenite generale, generata da due possibili cause: la prima da uno stato pretubercolare, cattiva alimentazione, mancanza d’igiene, eccessivo lavoro; la seconda da postumi di infezione luetica in seguito alle lesioni riportate al prepuzio e descritte dal dottor Rancourt. Però, per poter dare un giudizio sicuro il dottor Cotroneo dice di avere bisogno di eseguire l’esame del sangue del ragazzo. Il Giudice Istruttore approva la richiesta e affianca al dottor Cotroneo il dottor Ernesto Zoccali. Eseguite le analisi, i periti concludono che l’adenite organica generale da cui è affetto Vincenzo non dipende dalla congiunzione carnale che ha dichiarato di aver subito. Dalla presunta violenza sono ormai passati tre anni e questo è un colpo per l’accusa.

Ma quando il Procuratore del re scrive la relazione da inviare alla Procura Generale ne ha anche per Elvira Musolino e sottoscrive che non vi è alcun dubbio che si sia congiunta, e non una sola volta, col piccolo Vincenzo Romeo perché più testimoni lo hanno confermato, sia attraverso il racconto che Vincenzo fece loro, sia, è il caso del teste Luigi Morena, perché asserisce di avere visto, un giorno del mese di settembre 1920, sotto un ciglione la Musolino Elvira ed il ragazzo Vincenzo Romeo coperti da una coltre e di avere notato, dopo qualche giorno, che Vincenzo orinava sangue; avendogliene chiesta la ragione, il bambino le rispose che la Musolino aveva abusato di lui coricandoglisi sopra, dandogli a succhiare una mammella e facendosi introdurre il membro nella sua natura.

Gli atti vengono trasmessi alla Sezione d’Accusa di Messina per decidere sul rinvio a giudizio dei Romeo – Calopristi per la diffamazione ai danni di Elvira Musolino e di questa per violenza carnale continuata con un minore degli anni 12 abusando della sua qualità di maestra privata del minore, dalla quale congiunzione derivò malattia per giorni 10.

La Sezione l’11 marzo 1924 decide di rinviare Elvira Musolino al giudizio della Corte d’Assise di Reggio Calabria e ordina che sia spiccato contro l’imputata il relativo mandato di cattura. I Romeo – Calopristi, invece, vengono prosciolti perché il fatto non costituisce reato.

La causa si discute l’8 aprile 1925, dopo quasi cinque anni dalla denuncia e dopo tre giorni la giuria resta in Camera di Consiglio solo pochi minuti, giusto il tempo per sentenziare che nel luglio del 1920 in Villamesa nessuno si congiunse carnalmente e nessuno commise atti di libidine ai danni dell’undicenne Vincenzo Romeo. Il fatto non sussiste ed Elvira Musolino viene immediatamente scarcerata.[1]

E non poteva essere altrimenti senza uno straccio di prova.

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.