UN’ORA IN PIÙ

Domenicantonio Fazzari, contadino da Mammola, viene incaricato dai proprietari dei terreni agricoli irrigabili dalle acque del fiume Torbido di vigilare sulle acque destinate all’uso e di curarne la regolare distribuzione tra gli utenti secondo un turno da essi prestabilito. Come compenso gli vengono corrisposti litri 7 di cereali (granturco, fagioli o altro) per ogni tomolata di terreno da sorvegliare.

Verso la fine del mese di agosto del 1939 Fazzari si accorge che Francesco Agostino, uno dei proprietari, ha usato l’acqua un’ora in più del consentito facendo così venir meno l’acqua ai terreni dell’avvocato Cento e di Beniamino Costarella; immediatamente li avvisa e fa andare sul posto un perito per valutare il danno subito da Cento e Costarella, danno che viene stimato in 160 lire, somma che ad Agostino viene intimata di rimborsare ai danneggiati. Agostino, di fronte alla richiesta che gli viene notificata, risponde:

Non sono obbligato a pagar nulla perché mai ho abusato o usato le acque… Fazzari pagherà lui stesso il verbale che mi ha fatto!

La sera del 10 settembre 1939 Francesco Agostino e Domenicantonio Fazzari vanno insieme verso il fiume Torbido. Arrivati sulla riva del fiume Agostino improvvisamente estrae dalla tasca una rivoltella e, a meno di un metro di distanza da Fazzari, gli spara un colpo in faccia che, penetrando attraverso l’occhio destro, gli spappola il cervello facendolo stramazzare a terra già morto. Non contento, gli spara un altro colpo all’addome e si allontana quasi di corsa.

Quando il cadavere di Fazzari viene trovato, sul posto accorrono i Carabinieri, il Pretore ed il medico legale il quale, oltre alle due ferite mortali, riscontra anche una vasta ferita lacero contusa alla regione occipitale, che mette a nudo l’osso, prodotta da corpo contundente. Secondo il medico legale questa ferita è stata probabilmente prodotta nel momento in cui Fazzari, mortalmente colpito, cadde pesantemente al suolo battendo violentemente con la nuca su di un sasso. Non c’è bisogno di straziare ulteriormente il cadavere per eseguire l’autopsia. Gli inquirenti invece pensano che Agostino, prima di sparare alla vittima, gli abbia inferto una bastonata in testa e una volta tramortito lo abbia finito a revolverate.

Se Agostino pensava di non essere stato visto mentre uccideva Fazzari si sbagliava di grosso perché alcuni paesani hanno visto tutto e non hanno timore di raccontarlo ai Carabinieri. Maria Teresa Larosa:

La sera del 10 settembre, prima dell’imbrunire, a distanza di sette o otto metri da me ho veduto il Fazzari e l’Agostino camminare tranquillamente verso il fiume e ho distinto con tutta precisione che ad un certo momento quest’ultimo, estratta la rivoltella, ne ha tirato un colpo contro Fazzari facendolo stramazzare a terra, quindi gli tirò un altro colpo e si allontanò a passo rapido lasciando il cadavere di Fazzari nel letto del fiume. Sotto l’impressione del terrore che mi dominava, narrai a mia cognata Rosa Camarda, che era lì vicino, i singoli particolari della scena a cui avevo assistito ed entrambe, impaurite, siamo andate ad esporre l’accaduto al vecchio Nicodemo Camarda, mio suocero e padre di mia cognata e poiché nella depressione d’animo in cui eravamo cadute non sentivamo di poter rientrare a casa da sole, abbiamo accolto il consiglio di mio suocero di farci accompagnare da Nicodemo Pedullà, nostro vicino, al quale raccontai di aver veduto Agostino tirare i due colpi contro Fazzari.

Antonio Callà:

Ho udito due detonazioni e mi sono nascosto dietro il tronco di una pianta di fico. Ho visto e riconosciuto con tutta certezza Francesco Agostino allontanarsi dal punto ov’era avvenuta l’aggressione.

Ma Agostino non cede e nega di essere stato lui ad uccidere, fornendo anche un alibi e citando alcuni testimoni per confermarlo, ma dalle dichiarazioni di costoro non emerge nulla e Agostino viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Locri per rispondere di omicidio premeditato in danno di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

La causa si discute il 2 luglio 1940 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva che non ci sono dubbi sulla responsabilità di Francesco Agostino e aggiunge: la causale del fatto risulta dalle deposizioni di diversi testimoni, qualcuno dei quali assicura che Agostino, rimasto spiacente della condotta di Fazzari, minacciò apertamente di fargli “pagare il verbale” (cioè le contestazioni) del danno risentito dagli utenti Cento e Costarella a causa dell’inosservanza dell’orario nella distribuzione dell’acqua, sicché la causale stessa, la proditorietà dell’aggressione, la specie dell’arma adoperata, la brevissima distanza da cui i colpi furono esplosi, il numero di essi, le regioni vitali prese di mira ed attinte non lasciano dubbi sull’intenzione omicida da cui il giudicabile fu animato.

Le cose sembrano mettersi molto male per Agostino, sul quale pendono le aggravanti della premeditazione e dell’omicidio in danno di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che, se confermate, lo porteranno dritto all’ergastolo. A questo proposito la Corte osserva: non pare che sussista a suo carico l’aggravante della premeditazione. Pur ammettendo che egli, qualche settimana prima del fatto avesse minacciato di vendicarsi del Fazzari e che la sera del 10 settembre fosse munito di rivoltella, non si hanno elementi di prova per ritenere che egli avesse in antecedenza formato un piano delittuoso con determinazione delle circostanze di tempo, luogo, mezzo, modo eccetera sulle quali l’aggressione avrebbe dovuto eseguirsi e con la preordinazione di tutti gli espedienti necessari perché il delitto potesse essere il più facilmente commesso ed Agostino se ne assicurasse l’impunità. Non può assegnarsi notevole importanza al fatto che Agostino fu visto, la sera del 10 settembre, in compagnia di Fazzari non potendo escludersi che l’incontro fosse stato casuale, sicché neanche in tal fatto si scorge traccia di preparazione del delitto. Manca, quindi, il concorso gli elementi ideologico, psicologico e cronologico da cui risulta il concetto di premeditazione. Va, parimenti, eliminata l’altra aggravante della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nella persona dell’offeso, giacché Fazzari non era stato mai nominato dall’Amministrazione Comunale di Mammola distributore o sorvegliante delle acque del fiume Torbido, con deliberazione approvata dalla competente autorità superiore amministrativa, né era stato immesso nell’esercizio delle sue funzioni con prestazione di giuramento, né percepiva stipendio o salario determinato da un regolamento e tanto meno rivestiva qualcuno degli altri requisiti che contrassegnano, nei singoli casi, l’esercizio delle pubbliche funzioni. Egli, invece, attendeva alla sorveglianza sulle acque del fiume Torbido nell’interesse di determinati utenti, dai quali ne era stato incaricato (col consenso espresso o tacito dell’Autorità Comunale). Non esercitava alcuna pubblica funzione e percepiva come compenso della sua prestazione di opera litri sette di cereali per ogni tomolata di terreno affidatogli. Pertanto, se la causale del delitto va messa in relazione con la constatazione dell’abuso dell’acqua fatta da Agostino, il fatto non ha rapporto con alcuna pubblica funzione.

È tutto, non resta che determinare la pena da infliggere a Francesco Agostino e la Corte osserva: nel determinare la pena deve aversi riguardo ai sui precedenti penali e morali (che non sono buoni versando egli in stato di recidiva specifica), alla speciale natura del fatto, al carattere proditorio dell’aggressione, all’arma adoperata e, soprattutto, al grado di elevata pericolosità dimostrato dal giudicabile, persona violenta ed impulsiva. Tenuto conto di tali circostanze, si stima giusto partire, per l’omicidio, da anni 23 di reclusione ed aumentarli di anni 2 per la recidiva specifica, sicché la pena si determina in anni 25 di reclusione, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.

Il 3 dicembre 1941 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’imputato.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Locri.