È il primo pomeriggio del 22 aprile 1929 quando nella caserma dei Carabinieri di Scigliano squilla il telefono. Al “pronto” del Maresciallo Tommaso Simari, dall’altra parte del filo risponde Pasquale Corrado, Ufficiale di Stato Civile del Comune di Pedivigliano, che con voce grave lo avvisa:
– Nel cimitero di Pittarella è giacente il cadaverino di un neonato che presenta lesioni sospette… la morte è causata da mezzi violenti…
Il Maresciallo ed i suoi uomini vanno subito sul posto e non possono fare altro, per ora, che constatare la veridicità della notizia perché è chiaro che si tratta di un infanticidio. Dalle prime informazioni che Simari raccoglie, la responsabilità di quella orribile morte sarebbe di Rosa Pingitore, 20 anni, nubile, nata a Pittarella di Pedivigliano ma residente con i genitori in contrada Angelino del comune di Motta Santa Lucia. Intanto è arrivato anche il medico, dottor Eugenio De Marco che, osservato il cadaverino, fa mettere a verbale:
Ho visitato il cadavere di un neonato di sesso mascolino che presenta delle contusioni nelle regioni parietali e nella regione destra del collo, che si propagano alla regione anteriore del collo e le giudico probabile causa della morte.
Simari, per non perdere tempo, fa arrestare Rosa, che viene piantonata a letto, sua madre Rosaria Sirianni e sua sorella Franceschina.
– Io non so cosa è avvenuto nella nottata tra il 21 e 22 aprile al neonato perché sono quasi completamente cieca – dichiara Rosaria, che continua –. Però, verso la mezzanotte, sentii che vagiva tenuto al letto di Rosa e feci alzare Franceschina per prendere il neonato e scaldarlo al fuoco credendo che sentisse freddo, senonché, poco dopo, appresi da Franceschina che il bambino era morto…
Franceschina conferma il racconto della madre, ma i dubbi su cosa sia veramente accaduto restano irrisolti. Bisogna andare in contrada Angelino ed interrogare Rosa, sempre piantonata a letto. Il Vice Brigadiere Giovanni De Angelis fa un giro per la stanza dove si trova Rosa e su una parete nota delle strane macchioline che gli sembrano essere di sangue ma fa finta di niente, poi si siede accanto alla puerpera, tira fuori un taccuino ed una matita e ne ascolta la dichiarazione:
– Fui resa incinta nell’ottobre dell’anno scorso 1028 da certo Santo detto ‘U Magaru da Conflenti, ove mi trovavo per la vendemmia presso il Notaio Mastroianni, il quale con promessa di sposarmi riuscì a possedermi. Dopo circa due mesi mi accorsi che ero incinta, ma per la vergogna non dissi nulla ad alcuno dei familiari, né a persone estranee. Domenica scorsa, il 21, verso le tre di pomeriggio mentre le mie sorelle Franceschina e Teresina erano andate a Pittarella e mia madre era nei dintorni della casa, io, sola, siccome sin dalla mezzanotte del sabato avevo avvertito i dolori, accortami che dovevo partorire ed essendoci in casa certa Carmela Pingitore, per la vergogna mi portai dietro un muro della casa e lì partorii, lasciando il feto a terra perché non ebbi la forza di prenderlo e mi sedetti su un gradino in attesa che Carmela fosse andata via. Nessuna intenzione era in me di abbandonarlo! Dopo circa mezz’ora è venuta in casa mia comare Carminuzza Ambrosi e a questa diedi incarico di andare a prendere il bambino che, dopo avergli dato l’acqua santa e averlo lavato e fasciato in presenza delle mie sorelle e di mia madre, me lo consegnò dicendomi: “Tè ricriatinde!”, andandosene poco dopo. Il bambino, pur essendo di soli sette mesi, si presentava sano e sino alla mezzanotte piangeva e perciò, siccome non avevo latte, gli fu dato dell’infuso di camomilla, del quale anch’io ne presi. Verso la mezzanotte, siccome andava diventando rauco, il bimbo fu preso da mia sorella Franceschina e fatto riscaldare al fuoco, ma dopo continuò a diventare sempre meno vivace finché due o tre ore prima di fare giorno spirò – si ferma un po’, prende fiato, e modifica qualcosa, forse consapevole che potrebbe inguaiare sua madre e le sue sorelle –. Egli, come ho detto, alla nascita si presentava sano, ma non nascondo che durante il parto, per facilitarne l’uscita dalla vulva, lo presi per il collo, ma senza intenzione di ucciderlo. Ammetto anche che dopo la mezzanotte mi cadde dal letto con la testa in giù e, mentre le mie sorelle e mia madre dormivano, mi alzai io stessa per prenderlo. Fu dopo tale colpo che cominciò a venire meno. Io non svegliai nessuno e solo più tardi mia madre, che si era svegliata da sé, avvertita da me che il bambino veniva meno, fece alzare mia sorella Franceschina che accese il fuoco e vi scaldò il bambino credendolo raffreddato, senza sapere che egli veniva meno forse a causa della caduta dal letto.
Il rimedio però sembra peggiore del male perché sta clamorosamente contraddicendo le dichiarazioni della madre e della sorella, e allora arrivano a bruciapelo le parole del Vice Brigadiere:
– L’hai sbattuto con la testa al muro, confessa!
– No!
– E allora cosa sono quelle macchie di sangue sul muro? – le urla in faccia indicando la parete.
– Le macchie di sangue possono essere state fatte per avervi poggiato dei miei panni sporchi di sangue avendo avuto forte emorragia…
– E perché lo avete lasciato, adesso vediamo chi è stato, a terra nel cimitero?
– Non sapevamo se il bambino poteva essere sotterrato senza averlo prima dichiarato, ma credendo che ciò avrebbe potuto fare il custode del cimitero, di comune accordo tra me, mia madre e mia sorella Franceschina, fu da quest’ultima portato al cimitero per essere sotterrato senza che nessuno, all’infuori del custode, ne avesse saputo niente…
Dopo queste dichiarazioni, il Vice Brigadiere De Angelis va a dare un’occhiata al muro dietro la casa, dove Rosa ha detto di avere partorito, e constata che effettivamente si nota del terriccio bagnato di sangue e ciò vuol dire che Rosa ha davvero partorito lì. Di contro, sul pavimento accanto al letto non c’è nessuna traccia che confermi l’affermazione di Rosa sulla caduta del neonato dal letto e un controllo più accurato delle tre macchie di sangue sul muro a circa venti centimetri dal letto, una delle quali è allungata in senso orizzontalmente obliquo verso il letto stesso, lo confortano della giustezza della sua convinzione che il bambino fu sbattuto con la testa al muro da Rosa, senza nemmeno alzarsi e poi ritirato nel letto, lasciando l’impronta allungata.
Ma ora è necessario rintracciare Santo ‘U Magaru per accertare se sia implicato nell’infanticidio.
– Mi chiamo Roperto Santo, nato a Conflenti, contadino. Nego di avere avuto relazioni intime con Rosa Pingitore e di essere mai stato in contrada Angelino per istigarla a commettere il delitto di cui trattasi.
La madre e la sorella di Rosa affermano di non aver mai visto ‘U Magaru nella loro abitazione e questo taglia la testa al toro: lui non c’entra niente e può tornarsene a casa tranquillo.
I risultati dell’autopsia inchiodano Rosa perché i periti accertano che il neonato è nato vivo, vitale e ben conformato, a termine (nove mesi di vita intrauterina); ha respirato e ha vissuto delle ore. Ha ricevuto le prime cure e la morte è dovuta a violenza esterna, consistente in forti contusioni alla testa con fratture comminute delle ossa temporali. Le contusioni non possono essere state prodotte da caduta involontaria dell’infante dal letto o da altezza su per giù eguale perché le fratture delle ossa sono multiple, gravi su entrambe le parti della testa. La morte è stata provocata con mezzi contundenti violenti attivi o passivi, nel senso cioè che le lesioni sono state causate o da corpi contundenti o che la testa sia stata sbattuta violentemente contro una superficie dura.
Passano i giorni e le cose rischiano di ingarbugliarsi perché tre donne si presentano dai Carabinieri di Conflenti e raccontano che, essendosi sparsa la voce che Rosa Pingitore in seguito allo sgravio era morta, andarono a fare la visita di lutto, ma trovarono Rosa a letto che stava male. Chiesero alla sorella minore Mariantonia di vedere il bambino e la ragazzina rispose loro che il bambino era stato ucciso dalla sorella e che in precedenza Rosa aveva ucciso altri due neonati. Le indagini in merito non portano ovviamente a nulla, ma le tre donne insistono nella loro dichiarazione, confermata addirittura dalle sorelle minori Mariantonia e Teresina.
Poi si presenta in Pretura Giacinto Bruni, Guardia Municipale e addetto allo Stato Civile del Comune di Pedivigliano e dichiara:
– La mattina del 22 aprile si presentò nel mio ufficio Franceschina Pingitore, la quale intendeva dichiarare contemporaneamente la nascita e la morte di un neonato partorito dalla sorella Rosa il giorno prima e morto la mattina del ventidue. Il signor Corrado Pasquale le disse di fornirsi del relativo cartellino di morte. In seguito, avendo avuto sentore di qualche cosa, andammo al cimitero e trovammo il cadaverino del neonato, che presentava delle lesioni sospette alla testa e sul collo.
Ma se ‘U Magaru è estraneo ai fatti, la stessa cosa, secondo i Carabinieri, non può dirsi della madre e della sorella Franceschina, che vengono trattenute in arresto con l’accusa complicità necessaria per avere cercato di occultare il delitto e in più per Franceschina l’accusa di avere cercato di carpire la buona fede dell’Ufficiale di Stato Civile di Pedivigliano per aver richiesto il rilascio del documento necessario al seppellimento del cadaverino, ma, precisa il Maresciallo Simari, è da tener presente che la Sirianni Rosaria, per essere quasi completamente cieca, non poté certamente osservare come fu consumato il delitto dalla figlia Rosa.
– Io sono innocente dell’uccisione del neonato – si difende Franceschina.
– E chi è stato?
– Mia sorella Rosa ha ammazzato il bambino nella notte mentre noi eravamo assopite – è forse il momento cruciale delle indagini e i presenti stanno immobili come statue. Franceschina tira su col naso, asciuga una lacrima che le sta rigando il viso e continua il suo racconto, che adesso si fa drammatico –. Io nella notte sentii un rumore come di un corpo battuto sul muro e dei forti vagiti del neonato che giaceva vicino alla madre. Subito mi alzai e presi il piccolino; mi accorsi che aveva tutta la testa insanguinata ed il sangue gli colava dal naso. Ciò avveniva verso la mezzanotte. Alla mia accusa, la genitrice nefanda non rispose, ma si mise a piangere…
– Era già morto? – la interrompe il Maresciallo Simari.
– Dopo poco che io udii i colpi, il neonato spirava…
– Tua madre era sveglia? Ha detto qualcosa? Ha consigliato cosa fare?
– Mia madre diceva che dovevamo castigare mia sorella Rosa così come lei aveva fatto col proprio nato…
– Perché hai mentito all’Ufficiale dello Stato Civile?
– Io, in buona fede, per ignoranza, non gli riferii la verità delle cose e gli dissi che il bambino era nato morto perché prematuro… ero confusa… non avevo intenzione di occultare il delitto!
– Tua sorella Teresa invece che ha fatto?
– Teresa dormiva nel letto assieme a Rosa e al neonato. La chiamai dopo che il piccolo era già morto.
– Il sangue che è sul muro di chi è?
– È il sangue del piccolino sbattuto contro il muro dalla madre…
– Rosa ci ha detto che quello è sangue suo lasciato lì per sbaglio da un panno sporco.
– Né lei, né altri durante il giorno e la notte hanno poggiato panni sporchi di sangue contro il muro.
– Rosa aveva un amante?
– Ha avuto un amante nell’ottobre scorso a Conflenti, ma non so se ha avuto rapporti carnali con altri in precedenza.
– Ma perché ha ucciso il bambino?
– Non so il motivo che l’ha spinta a farlo… quando mi accorsi che aveva ucciso il figlio suo, volevo strangolarla! Io sono innocente!
– Però hai occultato il delitto!
– Non ho occultato il delitto, ma sono solo caduta in errore per ignoranza!
Inchiodata dall’accusa di sua sorella Franceschina, Rosa cambia versione e confessa:
– Confesso di avere ucciso il mio nato per ragioni d’onore. Nella disperazione di vedermi disonorata, la tentazione mi prese e la notte stessa che partorii, mentre tutti i miei dormivano, strangolai il neonato e poi mi diedi a sbattergli la testa sul muro vicino al mio capezzale.
– I tuoi familiari ti hanno aiutata, specialmente Franceschina, confessa che vi siete messi d’accordo su cosa dire allo Stato Civile!
– I miei familiari tutti non hanno alcuna responsabilità nel fatto. Mia sorella Franceschina non ha preso né con me, né con altri della mia famiglia accordi circa la dichiarazione che avrebbe dovuto fare allo Stato Civile.
– Chi sarebbe il padre del povero bambino?
– Io procreai il bambino ad ottobre con Mirri Rodolfo da Pedivigliano, il quale ignorava, però, financo la mia gravidanza. Dopo del Mirri ho avuto rapporti carnali con un uomo di Conflenti.
– Devi dire il vero motivo per cui hai ucciso il bambino!
– Ripeto che mi determinai all’uccisione del bambino per vergogna!
– Invece i tuoi familiari sapevano che eri incinta e ti hanno convinta a sbarazzartene o prima o dopo del parto!
– I miei familiari ignoravano la mia gravidanza e per conseguenza mai mi consigliarono alcunché per attentare alla nascita prima ed alla vita del bimbo poi. Io l’ho ammazzato!
Subito dopo la confessione, Rosa e sua madre querelano Mirri per violenza carnale e la ragazza racconta come sarebbe avvenuta:
– Mi ha violato con forza intimidendomi con una rivoltella, strappandomi le mutande e soffocandomi con le ginocchia sul petto. Poi, sotto minaccia di morte mi impose di non dire nulla a nessuno. Mi diceva pure che avrebbe violentato le mie sorelle come aveva fatto con me…
Ma qualcosa non quadra: se il rapporto carnale, consenziente o violento, tra Rosa e Mirri avvenne ad ottobre, il bambino sarebbe nato di sette mesi al massimo, invece nacque a termine, quindi le date non coincidono e Rosa, interrogata in proposito si corregge e sposta la data verso fine agosto e dice anche che i rapporti avuti verso la fine di ottobre con Santo ‘U Magaru non sono mai avvenuti, ma ha dichiarato così su suggerimento di Mirri a suo tempo. Rosa modifica anche un altro punto debole nella sua confessione. Non è vero che Mirri era all’oscuro della sua gravidanza perché lei glielo aveva confessato e lui dapprima le offrì delle medicine per farla abortire, poi la istigò a partorire fuori dall’abitazione al fine di non rendere edotti della cosa i familiari e infine di soffocare il bambino e di consegnarlo a lui che avrebbe pensato al resto. A conferma di questa circostanza, Rosa aggiunge che appena partorì fuori di casa cercò subito di soffocare il bambino, ma essendo sopraggiunta Carmela Pingitore, questa le prese il bambino e lo portò in casa. È la verità o è un tentativo di rendere meno pesante la sua posizione processuale?
Intanto bisogna ascoltare cosa ha da dire Rodolfo Mirri, ma la risposta si può già immaginare:
– Nego assolutamente di essermi mai in qualunque modo accoppiato con Rosa Pingitore. Ho moglie e non mi è mai passato per la testa l’idea di infrangere la fede coniugale e specialmente con lei. In ogni caso il lamento della Pingitore è postumo. Certamente, se io avessi concupito la donna, avrebbe parlato prima e non adesso per giustificare il reato da lei commesso! Nego, d’altra parte, di aver cooperato in qualche modo nell’omicidio del nato da lei commesso perché non avevo alcun interesse. La Pingitore, del resto, ha ucciso altri due bambini, come dicono in paese…
Può bastare e la Procura chiede il rinvio a giudizio di Rosa Pingitore per rispondere di infanticidio per salvare il proprio onore; Rosaria Sirianni e Franceschina Pingitore per rispondere di complicità in infanticidio; Rodolfo Mirri per rispondere di violenta congiunzione carnale.
Il 9 ottobre 1929 la Sezione d’Accusa accoglie parzialmente la richiesta, prosciogliendo Rosaria Sirianni, Franceschina Pingitore e Rodolfo Mirri dai reati loro ascritti e rinviando Rosa Pingitore al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
La causa si discute il 5 dicembre 1930 ed il giorno dopo la Corte emette la sentenza che riconosce la sussistenza della causa d’onore e, concesse le attenuanti generiche, condanna Rosa Pingitore ad anni 2 e mesi 7 di reclusione. Nello stesso tempo, visto che il caso rientra nel R.D. primo luglio 1930, dichiara condonati anni 1 della pena.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.