È il 7 luglio 1934, a Cosenza fa caldo. Il venticinquenne Rosario Giannone manca da casa ormai da due giorni e sua moglie Divina Spadafora non sa più cosa dare da mangiare ai suoi tre bambini. Non è la prima volta che accade, a Rosario piace andarsene in giro a bere e a donne, poi torna e ad ogni ritorno dimostra il suo amore per Divina riempiendola di botte.
La giovane comincia ad essere stanca di questo stato di cose, ma sopporta tutto per amore dei figli.
La mattina del 7 luglio, però, ha un altro problema oltre quello di inventarsi qualcosa per dar da mangiare ai bambini: deve far mangiare anche l’asino per non fare morire anche lui di fame, così verso le 8,00 esce di casa in Via Archi di Ciaccio e si dirige con la bestia verso il Busento dove c’è l’erba fresca.
– Buongiorno! – saluta deferentemente la signora Crocetti.
– Buongiorno Divina, dove vai con l’asino?
– Lo porto al fiume per farlo mangiare…
– A proposito di fiume… me le laveresti queste lenzuola?
A Divina non sembra vero di aver la insperata opportunità di poter guadagnare quanto basta per comprare un pezzo di pane per sé e per i figli. Strappa quasi di mano le lenzuola alla signora e si avvia canticchiando felice verso il fiume.
In una mezzoretta le lenzuola sono lavate e stese al sole ad asciugare e Divina torna a casa per accudire i bambini. Apre la porta, entra e comincia il finimondo: suo marito, che si era nascosto dietro la porta, l’afferra per i capelli e la butta a terra, poi le sale con le ginocchia sul petto e comincia a tempestarla di pugni e schiaffi sul viso.
– Dove cazzo sei andata? – e giù altre botte.
Mentre Divina resta tramortita sul pavimento, un rivolo di sangue comincia a scorrerle dal naso. Solitamente questa è la razione che le tocca, ma la mattina del 7 luglio 1934 Rosario non si accontenta. Si alza in piedi e le sferra due potenti calci nei fianchi e due bastonate sulle gambe, poi se ne va come se nulla fosse accaduto.
Divina impiega un po’ prima di riuscire a rimettersi in piedi e quando si affaccia sulla porta di casa trova quattro o cinque vicini che la confortano, come ogni volta. Ma gli occhi di Divina non sono i soliti occhi rassegnati, questa volta sono duri e taglienti come un rasoio. Zoppicando va in ospedale a farsi visitare e rilasciare un certificato medico che la dichiara guaribile in almeno 20 giorni salvo complicazioni, poi, mordendosi le labbra per resistere al dolore, va in Questura a denunciare suo marito:
– Sono maritata da cinque anni con Rosario Giannone. Costui, da oltre due anni ha cominciato a maltrattarmi ma io, per amore dei figli, ho sopportato ogni cosa. Senonché precisamente dal gennaio del corrente anno, i maltrattamenti usatimi da mio marito sono giunti a tale punto che io non posso più oltre vivere con lui senza pericolo per la mia vita. Egli, che è dedito al vino ed alle donne, si ritira a casa quando vuole e quando crede, mantenendosi lontano anche alcuni giorni. Ma non appena rientra in casa, alcune volte avvinazzato, trova sempre un pretesto qualsiasi per picchiarmi violentemente con bastone ed altri oggetti. Nei momenti in cui mi usa violenza mi dice chiaramente che egli intende liberarsi di me in un modo qualsiasi, allo scopo di andare a convivere con un’altra donna.
– Lo sapete per certo?
– Dico questo perché circa tre mesi fa, dopo avermi bastonata e dopo avere abbandonato la casa, ebbe la spudoratezza di passare sotto i miei occhi con una donna di facili costumi. Io, per timore di maggiori guai, non dissi nemmeno una parola… poi oggi mi ha conciata così…
Il Commissario Guglielmo Lauro dispone le indagini e acquisisce le testimonianze dei vicini che confermano, anzi rafforzano, le parole di Divina e tracciano un quadro ancora più violento. Confermati i fatti, viene emesso un mandato di cattura nei confronti di Rosario e gli agenti lo sorprendono in Via Gaetano Argento, gli mettono i ferri ai polsi e lo portano in Questura.
– Nego l’addebito e mi protesto innocente – si difende –. Quel giorno io ero andato a trasportare della sabbia per conto dell’avvocato De Falco. Interruppi il lavoro verso le 8,00 per fare colazione e mi avviai verso casa. Quivi giunto trovai che la mia bambina di cinque anni stava presso la fontana ed era tutta bagnata, il bambino di tre anni era ignudo in mezzo alla strada, mentre l’ultima di due mesi si disperava in pianto. Domandai ai vicini di casa dove fosse mia moglie e tutti mi risposero di non saperlo. La vidi comparire dopo circa un’ora e mezza e non seppi trattenermi dal tirarle un paio di schiaffi, facendole vedere quanta leggerezza avesse avuto nel lasciare i bambini senza affidarli ad alcuno su di una strada in cui continuamente passano delle automobili ed altri veicoli…
– Solo due schiaffi?
– Ripeto che le detti solo due schiaffi accecato dall’ira ed ancora sotto l’impressione del pericolo corso dai miei bambini!
– L’avevi mai picchiata prima?
– Non la ho mai bastonata.
Questa ricostruzione dei fatti naufraga in pochi minuti, il tempo perché tutti i vicini di casa lo smentiscano di nuovo raccontando anche altri episodi di violenza a cui hanno assistito.
Ma la tesi che Divina sia una donna inaffidabile è portata avanti dal difensore di Rosario, l’avvocato Paolo Bruno che, nella richiesta di libertà provvisoria per il suo assistito, scrive usando parole violente, mascherate da una improbabile ironia:
Il reato di maltrattamenti in famiglia vuole, nella mente del Legislatore, tutelare la compagine familiare.
È pertanto costitutivo di questo reato ogni fatto che possa disgregare la famiglia.
Non è evidentemente di tale natura qualche pugno o qualche schiaffo che un giovanissimo marito dia alla moglie per reprimere le manifestazioni esasperanti della lingua pettegola e lunga, anche se la moglie porta per ironia, come quella dell’imputato, il nome di Divina, sia pure corretto dal cognome abbastanza significativo di “spada che fora” (Spadafora).
Valutando superficialmente le cose, alla stregua del nuovo codice, Santippe avrebbe avuta la soddisfazione di vedere processato e condannato Socrate, il quale si dice che abbia bevuto la cicuta e rifiutata la liberazione proprio per non ritrovare Santippe a casa.
Istanza respinta.
Il 14 agosto 1934 il Giudice Istruttore accoglie la richiesta della Procura del re e rinvia l’imputato al giudizio del Tribunale Penale di Cosenza con l’accusa di maltrattamenti con lesioni guarite in giorni 22.
Poi deve accadere qualcosa, forse qualcuno si mette in mezzo, forse per amore dei figli, fatto sta che Divina ritira la querela. Un gesto inutile perché il reato è perseguibile d’ufficio dal momento che la prognosi per le lesioni supera i 5 giorni. Ma se non serve ad evitare il processo, questo gesto potrebbe servire ad ottenere la libertà provvisoria in attesa del dibattimento.
L’umile sottoscritto prega la sua sig.ria Ill.ma volersi benignare concedergli la libertà provvisoria giacché la di lui moglie ha desistito la querela pei maltrattamenti ricevuti in un giorno di esasperazione che si trovava l’infelice marito. Espone direttamente per mancanza di un difensore di fiducia.
E così il 10 settembre Rosario torna libero, in attesa del 22 ottobre successivo quando si discuterà la causa.
Il Tribunale dichiara Giannone Rosario colpevole del delitto ascrittogli e lo condanna ad un anno di reclusione, nonché alle spese del procedimento. Dichiara condonata detta pena.[1]
E Divina visse infelice e scontenta per amore dei figli.
[1] ASCS, Processi Penali.