L’ULTIMA CANZONE

È la sera di domenica 13 novembre 1932 e nel cielo splende una bella luna piena, a tratti nascosta da banchi di fitte nuvole. A Belvedere Marittimo una comitiva di giovani si diverte cantando al suono della zampogna che Domenico Raffa si è fatto prestare da Vincenzo Impieri. Verso le 22,00 Raffa, che sta suonando ormai da un bel pezzo, si ferma per riposare qualche minuto e ne approfitta per accordare la zampogna, poi riprende a suonare e fa cantare altri giovanotti. Passa ancora un’ora ed è ormai il momento di tornare a casa, quando Salvatore Russo e Vincenzo Valenti si presentano davanti al suonatore dicendogli, anzi quasi intimandogli, di continuare a suonare perché Russo vuole cantare una canzone.

Tu non hai il diritto di cantare con noi! – gli risponde Raffa, forse perché stanco o forse per i cattivi rapporti che ha con Russo per vecchie storie.

Ti ho detto di suonare perché voglio cantare e se non vuoi suonare ti buco la zampogna! – adesso è una vera e propria imposizione con minaccia che gli fa Russo, piantato a terra a gambe larghe e i pugni sui fianchi.

E bucala se vuoi! – lo sfida, senza paura.

Ne nasce un vivace battibecco e all’improvviso i due si azzuffano, senza che nessuno dei presenti intervenga per farli smettere. Poi, altrettanto all’improvviso, nella mano di Domenico Raffa si vede per un attimo lo scintillio di una lama diretta verso il viso di Salvatore Russo, che urla di dolore portandosi la mano sul collo, dove la lama è affondata recidendogli di netto la carotide.

Raffa scappa e Salvatore Russo, che non ha ancora capito di stare per morire, cerca di corrergli dietro, ma fatti pochi passi stramazza a terra e non si rialzerà più.

Domenico Raffa viene arrestato la mattina seguente e ammette di avere dato la coltellata, ma dice di averlo fatto per difendersi:

Mi aveva imposto di suonare minacciandomi di bucare lo strumento. Io lo deposi a terra dicendogli “bucalo se vuoi”. A ciò Russo mi ha colpito alla faccia e poi, essendo io caduto, mi ha dato pure una pedata sulla faccia. Allora per difendermi ho estratto un coltello da innesto e, senza intenzione di ucciderlo, gli ho dato un colpo e poi sono scappato per timore di rappresaglie – poi mostra alcun graffi che ha sul viso per dimostrare l’aggressione subita.

Si sospetta che nel fatto abbiano concorso anche due giovanotti della compagnia, ma dopo averli interrogati si capisce subito che contro di questi non ci sono elementi sufficienti ed escono di scena.

Troppa sproporzione tra un pugno ed un calcio da una parte, ammesso che Russo davvero glieli tirò, ed una coltellata che ha reciso di netto la carotide dall’altra. L’accusa è di omicidio volontario ed il 27 febbraio 1933 il Giudice Istruttore rinvia Domenico Raffa al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

La causa si discute il 29 gennaio 1934 e la Corte, letti gli atti, escussi i testimoni, ascoltata la richiesta della difesa di assolvere il suo assistito per avere agito in stato di legittima difesa o in subordine di vedergli riconosciuto l’eccesso colposo di legittima difesa o ancora lo stato d’ira per fatto ingiusto altrui, la parte civile che chiede di riconoscere la piena responsabilità dell’imputato ed il Pubblico Ministero che chiede di derubricare il reato da omicidio volontario ad omicidio preterintenzionale, osserva: non si hanno nel dibattimento testimoni che videro tutto lo svolgimento del fatto, però vi sono gli interrogatori resi dai coimputati, prosciolti per insufficienza di prove, che narrano le modalità del ferimento nei sensi come l’ha confessato l’imputato e di essi Impieri Vincenzo, che seguì completamente l’azione di entrambi, ha escluso recisamente che Raffa fosse caduto a terra e Russo gli avesse dato una pedata sulla faccia e l’altro non si accorse di quanto avvenne negli ultimi momenti. Poiché questa loro versione è suffragata anche dalle graffiature trovate sulla faccia dell’imputato al momento dell’arresto, la Corte si è convinta che il fatto, sostanzialmente, si è svolto come lo narrano costoro e cioè nei seguenti termini: Russo richiese a Raffa che l’avesse accompagnato perché voleva cantare e questi, o perché stanco o forse anche per i precedenti che vi erano stati tra loro parecchio tempo prima, non volle aderire. Russo allora glielo impose minacciandolo di bucargli lo strumento. Raffa lo depose per terra dicendogli che poteva bucarlo, se voleva e Russo di risposta lo colpì alla faccia graffiandolo. A ciò Raffa, che abusivamente e senza ragione portava un coltello acuminato e forse a lama ricurva (come sembra dalla lesione che produsse), gliene diede un colpo verso la faccia che ferì Russo al collo, recidendogli la carotide. Ciò posto deve escludersi che l’imputato abbia colpito per legittima difesa o per eccesso colposo. L’asserita difesa non sarebbe mai stata proporzionata all’offesa, costituita da semplici graffiature e manca la necessità di dare una coltellata per difendersi da questa offesa. Né si riscontra l’eccesso colposo perché non poté essere errore, neppure colposo, da parte di Raffa nella valutazione del pericolo o della necessità di ricorrere a quel mezzo estremo della coltellata per difendere la sua integrità personale, perché è evidente in lui la determinazione precisa, manifestata con quella specie di sfida a bucargli la zampogna, di reagire se Russo si fosse permesso di attuare i suoi propositi minacciosi ed attuati poi con la coltellata in risposta allo sgraffiamento. L’agire suo fu doloso; egli volle ledere l’avversario, ma con l’attenuante, che la Corte riconosce, di avere reagito in stato d’ira determinato dal fatto ingiusto della vittima. Ingiustamente, invero, questi insistette, e con la minaccia di bucare lo strumento, a pretendere che Raffa suonasse per lui, mentre nessun obbligo aveva; ed ancora più ingiustamente, al persistere del rifiuto, lo percosse e lo graffiò onde Raffa gli dette la coltellata e lo fece per reazione d’ira che tal fatto ingiusto in lui destò.

Ma, quindi, Domenico Raffa ha agito con la precisa volontà di uccidere l’avversario o solo di ferirlo e la morte di Salvatore Russo è stata purtroppo una tragica fatalità? La Corte è convita che si sia trattato della seconda ipotesi e, aderendo alla richiesta del Pubblico Ministero di derubricare il reato in omicidio preterintenzionale, spiega: l’intenzione omicida deve escludersi perché l’imputato un solo colpo vibrò e senza neppure mirare ad un punto vitale in quanto fu una fatale combinazione che quel colpo diretto nella colluttazione verso la faccia, che poteva arrecare lesione al più con sfregio, andò a colpire la carotide e la recise. L’intenzione di volere solo ferire riesce chiara anche pel fatto che non reiterò neppure il colpo malgrado, come è risultato dal dibattimento, pel buio e per essere rimasto il ferito ancora per un po’ all’impiedi, egli non avesse potuto accorgersi della gravità della lesione arrecata.

Ora che la Corte ha spiegato tutto, non resta che determinare la pena: tenuto conto della circostanza e del modo in cui il reato avvenne, nonché dei buoni precedenti dell’imputato e nello stesso tempo della sua prontezza ad usare il coltello quando l’avversario era inerme, la Corte ritiene di partire da anni 12 di reclusione, aumentati ad anni 14 per l’aggravante dell’arma, e ridurli per lo stato d’ira ad anni 9 e mesi 10, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie. Ma riguardo a queste ultime precisa: la Corte non crede che il condannato si possa ritenere per questo solo primo reato, commesso in quelle circostanze, socialmente pericoloso, onde non crede di applicargli misure di sicurezza, che sono facoltative.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.