O PER ‘NDRANGHETA O PER ONORE

Sono le sei di pomeriggio del 28 maggio 1929 quando un giovanotto bussa alla caserma dei Carabinieri di Bova Superiore e chiede di parlare col comandante. Lo fanno entrare e sedere davanti al Brigadiere Nicola Scugugia, che gli chiede innanzitutto di declinare le sue generalità.

– Mi chiamo Francesco Romeo, diciannove anni, abito in contrada Cundaro di Condofuri.

– Qual è il problema?

– Ho ucciso certo Domenico Sgrò della frazione Amendolea di Condofuri…

– Ah! E perché lo hai ucciso?

Nel pomeriggio del 26 mentre mia sorella Bruna di quattordici anni conduceva al pascolo le nostre vaccine in contrada Marocuci, Sgrò la violentò. Venutone a conoscenza dopo qualche ora, mi armai di fucile ad avancarica ed iniziai a cercare Sgrò, senza però rintracciarlo. Stamattina, saputo che doveva passare lungo il fiume Amendolea, mi appiattai dietro una roccia in contrada Crocco sul lato sinistro del fiume. Sgrò mi vide ed intuendo la disgrazia che doveva capitargli invocò che non gli sparassi e cercò di fuggire. Io, alla distanza di circa otto metri, lo sparai lo stesso e Sgrò cadde nella fiumara restando ucciso. Ciò fatto incaricai il pastore Leo Romeo di recarsi subito ad Amendolea e partecipare alla famiglia Sgrò che l’avevo ucciso per salvare l’onore di mia sorella Bruna… poi sono andato a casa e l’ho detto a mia madre e mia sorella, aggiungendo che sarei venuto a consegnarmi

– Il pastore ha assistito all’omicidio?

– No, è passato da lì qualche minuto dopo.

– Altre persone hanno assistito?

– No.

– Chi ti ha dato il fucile?

–  Trovai il fucile, scarico e arrugginito, nascosto in contrada Crocco mentre facevo pascolare le pecore. Lo presi e lo nascosi vicino casa. Lo ripresi la sera che seppi della violenza, lo caricai io stesso con polvere e pallini che tenevo in tasca, avendo trovato una cartuccia carica

– Il fucile dov’è?

Passando per il bosco Marocuci, in preda a vivo eccitamento, mi cadde e l’abbandonai

Scugugia ed un sottoposto corrono sul posto, trovano il cadavere e notano che i pallettoni con i quali era caricato il fucile hanno colpito Sgrò alle spalle mentre correva in direzione di Condofuri. Accanto al corpo c’è il cappello di paglia della vittima, forato da due pallettoni, mentre nella mano sinistra c’è un piccolo involto con delle piantine di melanzane. Poi notano una cosa strana: accanto al cadavere ci sono tre bastoni. Di chi sono, visto che nessuno, secondo quanto ha raccontato Romeo, era presente? Interrogato, il sedicenne Leo Romeo assicura di aver visto un solo bastone accanto al cadavere. È possibile che siano stati lasciati lì dai familiari del morto, i primi ad accorrere sul posto, ma tutti negano di aver lasciato bastoni vicino al cadavere. Un mistero da risolvere perché potrebbe anche voler dire che all’omicidio hanno partecipato più persone. Indagando, Scugugia scopre che c’è una testimone oculare, la diciottenne Antonina Romeo, che racconta:

La mattina del 28 Domenico Sgrò venne a casa mia per prendere poche piantine di melanzane e dopo poco si avviò verso l’Amendolea

– E come hai fatto a vedere tutto se eri a casa? – la interrompe il Brigadiere.

– Da qui – risponde mostrando come dalla casa si domini gran parte della fiumara e, a circa seicento metri in linea d’aria, il punto ove è avvenuto l’omicidio.

– Continua.

Prima di mezzogiorno notai un individuo nella fiumara mentre cercava di nascondersi presso una roccia e notai anche Sgrò che nella fiumara si avviava lentamente verso casa. Incuriosita restai a guardare per assistere all’incontro che i due uomini dovevano fare. Difatti, quando Sgrò era quasi arrivato al punto in cui l’altro era in agguato, lo vidi brevemente serpeggiare nella fiumara e, sbucato dal nascondiglio, riconobbi che era Romeo Francesco. Questi esplose un colpo di fucile contro Sgrò, che cadde fulmineamente. Seguii con lo sguardo l’uccisore il quale, rincasato, si accompagnò alla mamma e alla sorella e si diressero a Bova.

Possibile che a circa seicento metri di distanza abbia riconosciuto con certezza l’omicida?

Secondo quanto ha raccontato Francesco Romeo l’omicidio è stato commesso per vendicare l’onore di sua sorella Bruna, violentata da Domenico Sgrò. Bisogna sentire cosa dice la ragazza:

Verso le sei di pomeriggio del 26 scorso, mentre da sola, dalla mia abitazione, mi recavo nella nostra proprietà in contrada Marocuci a far pascolare le vacche, giunta nei pressi della fiumara, improvvisamente mi sentii afferrare alla gola dalle spalle e buttare violentemente per terra.  Riconobbi Domenico Sgrò, il quale minacciava di tagliarmi la faccia con un rasoio di cui era armato, se non restavo a sfogare la sua libidine nel mio corpo. Io non potevo gridare perché mi stringeva la gola e cercavo con ogni mezzo di difendere il mio onore, ma dopo una lunga lotta lo Sgrò ebbe ragione su di me e mi possedette per due volte, dopo di che si allontanò di corsa verso la fiumara Amendolea. Subita la violenza abbandonai gli animali e mi recai a casa invocando mamma e mio fratello Francesco ai quali, venendomi incontro, raccontai l’accaduto.

A questo punto sorgono due problemi: le ferite sul cadavere di Domenico Sgrò e le visite ginecologiche a cui viene sottoposta Bruna. Partiamo dal cadavere: una ferita nella regione temporo-parietale sinistra che ha perforato la dura madre; una ferita nella regione occipitale sinistra con lesione del cervelletto; varie lesioni nelle due cavità pleuriche e nella cavità pericardica; varie lesioni nelle basi dei polmoni, del ventricolo sinistro e del destro, nonché dell’orecchietta destra del cuore. Troppe per un solo colpo di fucile, un vecchio fucile ad avancarica caricato a pallettoni, ma che l’imputato sostiene di aver caricato a pallini, incompatibili con le ferite.

La prima visita ginecologica a cui viene sottoposta Bruna dal dottor Alberto Ferrigno accerta che la ragazza non presenta tracce di violenza (ecchimosi, abrasioni, escoriazioni, contusioni) né nella regione anteriore delle cosce, né al collo, né in altra parte del corpo. All’esplorazione digitale la Romeo non risente alcun dolore e si riscontra discreta dilatabilità del canale vaginale. Secondo il dottor Ferrigno ciò significa che la deflorazione ammonta a circa sei mesi e che i coiti sono stati ripetuti e che è da escludere nel modo più assoluto che da pochi giorni a questa parte la Romeo abbia potuto subire una qualsiasi violenza carnale.

La seconda perizia arriva a risultati diversi e stupefacenti: Bruna Romeo è vergine, salvo che si sia introdotta un’asta piccola e presenta tracce di violenza in parecchie parti del corpo. A chi dare credito? Gli inquirenti sposano la tesi del dottor Ferrigno.

Ma se le cose stanno così la tesi dell’omicidio per causa d’onore scricchiola paurosamente. E che non si sia trattato di onore, ma di una vendetta della ‘ndrangheta ne è assolutamente certo il padre di Domenico Sgrò, che denuncia:

Lunedì 27, mentre mio figlio lavorava con me, mi disse che il giorno dopo doveva recarsi in contrada Crocco per prendere delle piantine di melanzane, che gli avevano promesso certo Girolamo Zindato e Carmelo Romeo, cugino dell’uccisore. Rimasi sorpreso sapendo che mio figlio era in cattivi rapporti con lo Zindato in seguito alla testimonianza che mio figlio rese contro di lui per una rissa di qualche anno fa, per la quale Zindato fu condannato. Invitai quindi mio figlio a non recarsi dallo Zindato temendo qualche tradimento. Mio figlio mi disse che erano fatti amici e che, anzi, qualche giorno prima lo aveva pregato di farsi compare con lui. La mattina del 28 Domenico andò a casa dell’altro mio figlio Giuseppe dove si rase la barba e verso le nove e mezza partì per la contrada Crocco. Verso le cinque di pomeriggio venne a casa mia il figlio di Carmelo Romeo e disse che Domenico era stato ucciso da Francesco Romeo. Mia figlia Antonia accorse sul posto e vide il fratello morto. Alle sue grida le famiglie di Zindato e di Carmelo Romeo si affacciarono dalle loro case sulla montagna, ma nessuno si mosse

– Francesco Romeo dice di avere ucciso vostro figlio perché ha violentato la sorella…

Lo escludo nel modo più assoluto. Due o tre giorni prima del fatto Francesco Romeo e suo cugino Carmelo vennero a trovare Domenico in contrada Rigani e si trattennero divertendosi a suonare.

– Intanto non c’è dubbio che ad ucciderlo sia stato Francesco Romeo.

Mio figlio fu ucciso certamente da diverse persone. Sul posto, infatti, furono trovati tre bastoni… ritengo che autori dell’omicidio siano stati, in complicità fra loro, Giuseppe Zindato, i suoi fratelli Carmelo, Domenico e Girolamo, nonché Francesco Romeo e il cugino Carmelo Romeo. Tutti costoro sono riuniti in associazione e sono parenti tra loro. È mio fermo convincimento che mio figlio fu ucciso premeditatamente per avere fatto da testimone contro Girolamo Zindato.

Gli inquirenti si convincono della serietà delle accuse del vecchio Sgrò ed emettono un mandato di arresto nei confronti dei fratelli Zindato e di Carmelo Romeo; in più, visto che è molto difficile che ad uccidere sia stato un vecchio fucile ad avancarica, ordinano una perquisizione domiciliare nelle abitazioni dei ricercati per rinvenire armi compatibili con il delitto. Gli arrestati si dichiarano estranei ai fatti e confermano i rapporti di amicizia e futuro comparaggio con la vittima.

In questo frattempo, Bruna Romeo viene richiamata per contestarle il risultato delle perizie e modifica la prima dichiarazione:

Mi imbattei in Sgrò, che mi disse “o mi lasci fare o ti strozzo”. Io mi rifiutai, egli estrasse un rasoio, mi afferrò per il collo e aggiunse “o mi lasci fare o ti rasolio”, mi buttò per terra, mi alzò le vesti e si buttò sopra di me, ma dopo un poco riuscii a svincolarmi e fuggire. Mi gridò di non parlare se no mi avrebbe uccisa.

– Ma, insomma, è riuscito a… ci siamo capiti…

Io vidi Sgrò su di me con i pantaloni sbottonati, però non intesi l’introduzione dell’asta nella vagina e semplicemente ho sentito dolore alla parte esterna… non mi sentii bagnata, né mi uscì sangue

– Al medico hai detto che avevi le mestruazioni. Le avevi o no? Come fai a dire che non ti è uscito sangue?

La mestruazione mi era cessata da due o tre giorni ed indosso avevo una camicia pulita

Poi cambia di nuovo versione e dice:

Lo Sgrò si congiunse realmente con me perché introdusse dentro i miei organi genitali il suo membro.

– Ma prima hai detto di non esserti nemmeno accorte se lo introdusse o meno…

Ripeto che lo Sgrò introdusse il suo membro nella mia vagina ed io me lo intesi dentro. Lo Sgrò ballava su di me e ci fu un momento in cui mi intesi bagnata dentro.

– Hai detto che lo ha fatto due o tre volte, è così?

Una sola volta si congiunse carnalmente con me. Mi sorprende come il Pretore abbia scritto che lo fece due o tre volte

– Ma sangue te ne è uscito?

Non posi mente se in seguito alla congiunzione carnale violenta mi sia uscito sangue dai genitali

Gli inquirenti riscontrano le contraddizioni e vanno avanti perché sono arrivati i risultati delle perquisizioni domiciliari: in casa di Giovanni Zindato, il capofamiglia, sono stati rinvenuti due fucili da caccia a due canne, a retrocarica, calibro 16, e due cartucce cariche, di più uno dei due fucili è stato adoperato molto di recente. Le armi risultano essere state dichiarate presso la caserma dei Carabinieri di Roccaforte del Greco, ma potrebbero lo stesso creare problemi agli indagati. E nuovi particolari inquietanti, legati ai tre bastoni quasi a rappresentare un macabro rituale, vengono rivelati dal fratello della vittima:

Accorsi sul posto e attorno al cadavere vi erano tre bastoni, uno vicino ai piedi e gli altri due ai fianchi. Dei tre bastoni uno solo aveva appartenuto a mio fratello fino a pochi giorni avanti, avendolo poscia regalato a Girolamo Zindato – poi ricostruisce i movimenti del fratello il giorno della presunta violenza carnale –. Domenica 26 maggio mio fratello fino a mezzogiorno fu nella contrada Mallò a far pascolare capre e pecore e nel tempo stesso si divertiva a suonare la zampogna lasciatagli da Carmelo Romeo. Alla detta ora lasciò gli animali alla sorellina Francesca e si recò ad Amendolea per farsi tagliare un paio di pantaloni; dal paese ritornò assai tardi ed il sole era già tramontato.

Appena si sparge la notizia del sequestro dei due fucili da caccia a casa di Giovanni Zindato, dell’incompatibilità delle ferite con un fucile ad una canna ad avancarica, del fatto che sul luogo del delitto è stata trovata una borra per cartuccia calibro 16, il che ha portato al coinvolgimento di altre persone nell’omicidio, Francesco Romeo, di nuovo interrogato, cambia versione su alcuni punti:

Debbo rettificare due circostanze. La prima è che il fucile da me adoperato era a due canne a retrocarica, calibro 16, che avevo rinvenuto in contrada Crocco sei o sette mesi prima. Commesso l’omicidio lo buttai. La seconda è che quando vidi discendere lungo il torrente lo Sgrò mentre stavo a far pascolare le pecore in contrada Crocco, gli andai incontro e quando fui distante da lui sei o sette metri, lo feci fermare e gli dissi “tu hai ingannato mia sorella, pensa ora a sposarla e non ne parleremo più”. Egli mi rispose “non posso sposarla perché sono fidanzato” ed io di rimando “e perché l’hai ingannata?”. Egli rispose “che vuoi… l’uomo come si trova…”. Tolsi allora il fucile dalla spalla, glielo puntai e premetti il grilletto. Probabilmente invece di un solo colpo partirono tutti e due perché anche l’altro grilletto era alzato.

– E le cartucce dove le hai prese?

Adoperai due cartucce che avevo comprato a Bova Superiore qualche mese prima in una bottega della quale non so il proprietario. Le cartucce erano vuote e le caricai io essendo fornito di caricatore. Nella stessa bottega comprai la polvere.

– Il proprietario ti chiese le generalità? Le ha scritte sul registro?

– Si, ma non so se ne abbia preso nota.

– Perché hai ammazzato Sgrò? Sicuramente non per la violenza a tua sorella, visto che è risultata vergine – lo provoca il Giudice Istruttore.

Io non so spiegare quanto mi contestate, so soltanto che mia sorella ritornò a casa piangendo e disse che fu violentata da Sgrò.

– Nel primo interrogatorio hai detto che, appena saputo della violenza, sei andato in cerca di Sgrò disarmato. Perché non prendesti il fucile?

Se andai in cerca di Sgrò disarmato dipese dal fatto che non tenevo il fucile in casa, ma lo tenevo nascosto a cinque o sei metri da casa, sotto una pietra

– Visto che quel giorno portavi il fucile, chi ti disse che Sgrò sarebbe passato dal punto dove lo ammazzasti?

Io non lo sapevo affatto che sarebbe passato da lì e se tenevo il fucile a due canne con me, ciò non deve destare meraviglia perché lo portavo sempre per difesa personale

– Però, guarda caso, il giorno in cui tua sorella fu violentata non lo avevi perché era nascosto…

Ammetto che quel giorno non lo portavo

– In che rapporti sei con Carmelo Romeo?

È mio cugino e mio vicino di casa, ci vediamo tutti i giorni, ma non gli dissi mai nulla del fatto capitato a mia sorella

A Bova Superiore c’è una sola bottega che vende cartucce, polvere e piombo. I Carabinieri vanno a verificare la dichiarazione di Francesco Romeo, ma devono constatare che il proprietario decedette alcuni mesi fa e che nel negozio non c’è traccia del registro dove devono essere segnati i nomi degli acquirenti di prodotti per armi da fuoco. Una combinazione davvero strana.

A questo punto la Procura del re di Reggio Calabria, considerato che il movente dell’omicidio è insussistente dati i risultati delle perizie mediche e che ci sono elementi sufficienti per ritenere certo il coinvolgimento di tutti gli imputati nell’omicidio di Domenico Sgrò, chiede alla Sezione d’Accusa presso la Corte d’Appello di Messina il rinvio a giudizio di Romeo Francesco, Zindato Carmelo, Zindato Giuseppe, Zindato Girolamo e Romeo Carmelo. La Sezione d’Accusa, il 22 aprile 1930, pur ammettendo fondati i risultati delle indagini, osserva che se risulta che Girolamo Zindato aveva motivo di grave odio contro lo Sgrò per un’offesa che non si dimentica, e ciò potrebbe costituire una causale al delitto, causale che in concorso di altri elementi potrebbe indurre il convincimento della reità, ma tali elementi non sono gravi perché non è provato che Sgrò tornasse dalla casa di Zindato e neanche risulta che aveva rilevato le piantine da Carmelo Romeo. Sul luogo del delitto si trovò un bossolo esploso calibro 16, dello stesso calibro, cioè, del fucile trovato a Giovanni Zindato, ma di fucili calibro 16 ve ne sono moltissimi e quindi non può affermarsi che Francesco Romeo si sia servito del fucile dello Zindato per consumare il delitto e se si aggiungono gli alibi offerti dai prevenuti, non può non dubitarsi gravemente della loro reità, onde giustizia esiste che siano prosciolti in periodo istruttorio per insufficienza di prove.

Quindi, ad affrontare il processo per omicidio premeditato davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria sarà il solo Francesco Romeo, reo confesso.

Il dibattimento si tiene il 3 luglio 1930 e la sera stessa viene emessa la sentenza: la Corte condanna Romeo Francesco per omicidio volontario, esclusa la premeditazione, con attenuanti generiche e beneficio dell’età, allora di anni 17, ad anni 7 di reclusione, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie. Inoltre, dichiara condonato un anno della pena per il R.D. 1-1-930, n. 1.[1]

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.