LA SCOMPARSA DELL’ARCIPRETE

Il 7 dicembre 1916 don Giovan Battista Stimolo, arciprete di Sperlinga in provincia di Enna –  suggestivo paese rupestre situato tra i monti Nebrodi e le Madonie, dominato dal castello costruito sulla e nella roccia – e suo fratello Vincenzo vanno nel fondo “Santa Venera” per la divisione di un certo terreno che hanno in gabella in comunione con i fratelli Tusa. Dopo alcune ore di discussione, la trattativa fallisce per divergenze insorte tra i dividendi e, verso le 15,00, l’arciprete parte a cavallo di un mulo per ritornare in paese, dove lo aspettano per celebrare la novena dell’Immacolata, ma in paese non ci arriva e i parenti, temendo che gli sia accaduta qualche disgrazia, il mattino seguente battono la strada per Santa Venera nella speranza di ritrovarlo, ma inutilmente e nemmeno ne denunciano la scomparsa, ritenendo che si tratti di sequestro di persona ad opera della mafia e quindi convinti che l’intervento dell’autorità avrebbe reso più difficile la liberazione del loro congiunto.

Il 9 dicembre, però, i Carabinieri di Castel di Lucio, venuti a conoscenza del fatto dalla voce pubblica, cominciano ad indagare accuratamente, ma tuttavia l’unica cosa che riescono ad appurare è che l’arciprete era stato visto verso le 16,30 del 7 dicembre nel feudo Maiocco, vicino all’abbeveratoio, diretto verso Castel di Lucio e perciò anche loro pensano si tratti di sequestro di persona, ma senza denuncia non possono fare altro.

Sequestro ad opera della mafia. Sempre più convinti di ciò, i parenti si rivolgono a Placido Stimolo, ritenuto capo della mafia locale, il quale promette loro il suo interessamento per risolvere la situazione incresciosa. Risultati? Nessuno, come nessun risultato ottiene l’intervento del Vescovo di Patti. Passano, così, due anni e finalmente i parenti, stanchi e sfiduciati, sollecitano l’intervento della Giustizia e le indagini riprendono, ma devono essere interrotte a causa dell’infuriare della guerra mondiale. Arriviamo, così, al mese di maggio del 1918 quando i Carabinieri raccolgono la testimonianza di Francesco Jacono, poi confermata da Antonino Scarlato:

Nel pomeriggio del 7 dicembre 1916 vidi quattro persone sopra le case della masseria del feudo Grassa, le quali, avendo visto venire dalla trazzera di Santa Venera e avvicinarsi al bevaio Marocco un uomo a cavallo di un mulo morello, salirono sulle cavalcature che tenevano lì presso a pascolare e si diressero al bevaio, circondando il sopravvenuto a cavallo del mulo. Poco dopo la comitiva mi passò vicino e riconobbi nel sopravvenuto l’arciprete Stimolo e nelle persone che lo circondavano i fratelli Placido e Antonino Stimolo, Francesco Salamone e certo Indicello

Forti di questa testimonianza, i Carabinieri denunciano Placido Stimolo, suo fratello Antonino e Francesco Salamone, ma non Indicello perché, prima della denuncia è stato ucciso da Salamone. Emessi i mandati di cattura, in carcere finiscono Placido Stimolo e Francesco Salamone, mentre Antonino Stimolo è irreperibile. I due negano ogni addebito e le cose per loro dovrebbero mettersi bene, visto che Iacovo ritratta la sua dichiarazione, ma per gli inquirenti resta valida la prima dichiarazione e i tre imputati vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Messina per rispondere, in correità, di sequestro di persona e omicidio, con la differenza che la posizione di Antonino Stimolo, sempre latitante, viene stralciata per celebrare il processo col rito contumaciale.

La causa contro Placido Stimolo e Francesco Salamone si discute nel 1921, ma dopo alcune udienze il dibattimento viene sospeso perché alcuni testi, fra cui Iacovo e Scarlato, vengono incriminati come testimoni falsi e reticenti. Il procedimento contro i falsi testimoni, durante il quale alcuni di essi, come Scarlato, ritorna alla prima dichiarazione, si conclude con la loro condanna ed il dibattimento viene ripreso il 18 aprile 1925, ma davanti alla Corte d’Assise di Patti, che termina con l’assoluzione di Placido Stimolo e Francesco Salamone perché i giurati negano la sussistenza sia del fatto materiale del sequestro di persona, che del fatto materiale dell’omicidio dell’arciprete Giovan Battista Stimolo. Il Pubblico Ministero non propone appello e la sentenza passa in giudicato.

Il 26 ottobre 1925, davanti alla Corte d’Assise di Messina si tiene il processo contro Antonino Stimolo, senza intervento dei giurati in quanto contumace, e la difesa eccepisce, in limine litis, l’eccezione di cosa giudicata e chiede che si dichiari improcedibile l’azione penale contro l’imputato perché la sentenza del 18 aprile 1925 della Corte d’Assise di Patti, che assolse i due correi per insussistenza dei fatti materiali del sequestro e dell’omicidio dell’arciprete Stimolo è passata in giudicato e la cosa giudicata ostacola la proponibilità ulteriore dell’azione penale contro Antonino Stimolo, correo nei delitti imputati ai due assolti.

Può il contumace Antonino Stimolo giovarsi del giudicato nascente dalla sentenza di Patti che nega l’esistenza dei fatti materiali a lui addebitati e può invocare una declaratoria d’improcedibilità dell’azione penale pendente contro di lui? È questo il quesito che la Corte si pone ed al quale risponde attraverso un lungo ed articolato ragionamento in punto di diritto, che qui non è il caso di riproporre, se non ricordando che l’eccezione della difesa ricade sull’ammissibilità dell’exceptio rei iudicati (l’opposizione al fatto che sulla questione, oggetto del nuovo giudizio, vi è già stato un precedente giudizio, definito con una pronuncia passata in giudicato), che scaturisce dal principio del ne bis in idem e che ha il precipuo scopo d’impedire che sia rimesso in accusa un fatto delittuoso già esaminato e forma un baluardo legale dietro di cui riposa tranquilla la libertà dei cittadini.

Siccome il reato addebitato ai fratelli Stimolo e a Salamone fu contestato in correità e la Corte d’Assise di Patti ha negato la sussistenza materiale dei fatti delittuosi addebitati a Placido Stimolo e Francesco Salamone ed in questo processo stralcio Antonino Stimolo è accusato degli stessi reati in correità con gli altri due, la Corte, di fronte a questa eccezione pregiudiziale, ritiene di non potere proseguire oltre nel dibattimento e di dichiararne improcedibile l’azione penale contro Stimolo Antonino per l’eccezione di cosa giudicata.[1]

Chi ha fatto sparire l’arciprete?

[1] ASME, Sentenze della Corte d’Assise di Messina.