IL SUO TURPE VOLERE

Il primo giugno 1875 la sedicenne Mariantonia Meringolo di Acri va in contrada Pantanella a raccogliere fronda serica per alimentare i bachi da seta del padrone. Terminata la raccolta delle fronde ne fa un fascio, poi sistema il cercine sulla testa e posa il fascio su di questo, quindi si avvia in compagnia del compaesano Gennaro Golia, detto “Mosca”, verso l’ovile dove il padrone tiene gli animali per passare la notte con gli altri lavoranti. All’improvviso Gennaro le fa cadere il fascio dalla testa, l’afferra per le braccia e la trascina in un fosso. Mariantonia capisce le intenzioni dell’aggressore e vorrebbe urlare, ma resta impietrita quando Gennaro le punta in faccia una pistola, mentre con l’altra mano le solleva la gonna, tira fuori il membro eretto e la stupra.

– Non parlare con nessuno se no t’ammazzo con questa – sibila facendole sentire il freddo metallo della canna sul viso.

Mariantonia, con gli occhi sbarrati fa segno di aver capito e, appena l’uomo la lascia, raccatta il fascio di fronde e si incammina con Gennaro. Quando arriva all’ovile, con i contadini e i pastori che sono lì si sforza di mostrarsi allegra come al solito e non dice niente a nessuno.

Ma Gennaro Benvenuto, detto “Frittola”, ha assistito alla scena e qualche giorno dopo avvisa il padre di Mariantonia, che è costretta a raccontargli tutto e poi a raccontarlo al Pretore di Acri, accompagnata dal padre, per sporgere querela. A questo punto viene fuori che non solo Frittola ha assistito allo stupro, senza impedirlo, ma anche Gennaro Triolo, Vincenzo “u piecuraru”, Gennaro Benvenuto, Natale Laudone e Natale Viteritti hanno visto.

Rintracciato dai Carabinieri, Gennaro Golia viene portato in Pretura e interrogato:

Signore, io sono innocente. Confesso che la sera del primo giugno mi sono recato con Mariantonia Meringolo nella contrada Pantanella per raccogliere fronda serica per incarico di Domenico Colajanni, mio massaro. Con noi si trovava anche Annunziato Servidio, “Menzaganga”, sebbene questi si sia separato da noi per ritirarsi alla mandria. Gennaro Benvenuto passò per colà onde portare una gallina in una torre e vide me che in mezzo la strada mi stavo legando una zampetta e Mariantonia mi diceva di affrettarmi per ritirarci

Serve un confronto tra la ragazza e l’accusato.

Mariantonia (piangendo sdegnosa): Tu non ti ricordi quando mi hai afferrata per la gonna e per la gola, mi hai trascinata in un fosso ov’erano dei pucchi (cespugli), mi hai gittata a terra e mi hai stuprato a forza e dopo mi hai minacciata di non dir nulla, né a mio padre e né al massaro?

Gennaro (colla faccia arrossita e tutto mortificato): Tu sei stata insinuata d’altri a dire in questo modo, io non ti ho fatto niente e non vi era Annunziato Servidio Menzaganga

Mariantonia: Menzaganga se ne era andato innanzi per altra via di quella che noi stavamo battendo.

In fondo al verbale il Pretore annota: Durante il confronto la querelante ha serbato maggiore contegno dell’imputato, il quale è stato equivoco e titubante nelle risposte mostrando mortificazione, mentre l’altra è stata pronta e sostenuta.

Gennaro Benvenuto, chiamato in causa da entrambi, racconta:

Mi ero recato nella contrada Pantanella per portare in una torre una gallina che si metteva chiocciola e passando lungo la strada in un alto seminato e non molto discosto ho inteso una voce di donna: “Susiti Gennaro” e questi rispondeva “Mettiti da così”. Era notte da un’ora e Gennaro Golia è stato da me conosciuto perché si era levato fuori il seminato. Dopo di aver lasciato la gallina mi sono voltato battendo la medesima strada e li ho raggiunti nell’atto che camminavano

– Chi camminava?

Gennaro Golia e Mariantonia Meringolo, i quali portavano addosso fronda serica e la notte si fermarono nella mandria del mio massaro Colajanni.

– E poi?

Il giorno seguente mi sono trovato solo con Mariantonia e l’ho domandata cosa l’avesse fatto Gennaro Golia e quella si smascellava dalle rise e io le replicai che Golia mi aveva detto tutto e mi rispose che ella aveva tante cose da dire a Gennaro Golia

Le sue parole sembrano equivoche, quasi come se non volesse far torto a nessuno dei due. Poi si presenta una ragazzina, Cristina Pasturi, e racconta:

Mi trovavo al fiume Calamo con mia sorella Filomena e là vi era anche una tale Teresa, soprannominata Spadino, innamorata di Gennaro Golia. Mia sorella, che aveva saputo il fatto che Gennaro aveva stuprato Mariantonia Meringolo, disse a Teresa che era venuta in Pretura a querelare e Teresa rispose che se Mariantonia ciò avesse fatto, Gennaro Golia avrebbe ammazzato con la pistola il padre e la madre e si sarebbe gittato in campagna

Interrogata, Filomena conferma tutto.

Per la Procura, attesochè il verbale di confronto subito dalla stuprata e dal prevenuto non lascia più luogo a dubitare della realtà del fatto criminoso ascritto al Golia; attesochè il Golia inspirò grave timore alla Meringolo per giungere alla consumazione del suo turpe volere, ritiene che ci siano elementi sufficienti per chiedere il rinvio a giudizio di Gennaro Golia davanti alla Corte d’Assise di Cosenza con l’accusa di stupro violento.

Ma quando il fascicolo arriva alla Sezione d’Accusa di Catanzaro, l’interpretazione delle carte cambia: non si ha prova veruna della violenza asserita dalla donna. Basta dare riguardo alla dichiarazione dell’unico testimone di veduta, Gennaro Benvenuto. La Sezione d’Accusa dichiara non fare luogo a procedimento penale per insufficienza d’indizi.[1]

È il 17 novembre 1875.

[1] ASCS, Processi Penali.