UNA SERENATA, IL PRETE E SUO FRATELLO

Sono le nove e mezza di sera del 20 luglio 1875 quando un gruppo di giovanotti, accompagnati dal suono di una chitarra, cominciano a cantare canzoni d’amore lungo via Catoji a San Giovanni in Fiore. Poi si fermano sotto la casa dove abita la famiglia del parroco don Antonio Oliverio, soprannominato Santu Pietru come tutti quelli del suo casato, e continuano a cantare. Non hanno nemmeno finito di cantare la prima canzone che si apre una finestra e si affaccia Salvatore, il fratello del parroco, che comincia ad urlare:

– Basta! Andatevene! Qui non si cantano queste canzonacce!

I giovanotti non se ne danno per intesi e continuano ed eseguire il loro repertorio, facendo affacciare e urlare Salvatore un altro paio di volte.

Sono ormai le dieci e in casa Oliverio i due fratelli, ormai al limite della sopportazione, decidono che l’unica cosa che resta loro da fare è far prendere a quei giovinastri una bella paura. Come? Semplice, sparando un colpo di fucile sopra le loro teste, appena un paio di metri più in basso rispetto alla finestra.

– E se sbagli e qualcuno si fa male o ci resta secco del tutto? – osserva don Antonio.

– Impossibile, il fucile lo carico con poca polvere e ci metto solo tre o quattro pallini, giusto per farglieli sentire quando colpiranno il muro di fronte – risponde sicuro Salvatore mentre esegue l’operazione che ha descritto al fratello.

Così, all’ennesima canzone, la finestra si apre di nuovo e, forse per dare più solennità al momento, i due fratelli si affacciano insieme, illuminati come spettri dalla luce dell’ultimo giorno di luna piena:

Ancora non la volete finire? – urla Salvatore mentre imbraccia il fucile e fa partire un colpo sopra le teste dei cantatori.

– Ah! M’ha sparato! Ma siete pazzi a sparare per una canzone?

– Ahi! Pure a me!

I due fratelli si guardano negli occhi preoccupati e subito don Antonio si affretta a scusarsi:

– Il colpo era a sola polvere e a scopo di spavento…

– E disgraziati! Il sangue me lo ha fatto la polvere? – risponde Pasquale Angotti, alias Orilia, premendosi un fazzoletto sul sopracciglio sinistro, colpito da un pallino. Gli è andata bene, avrebbe potuto rimetterci un occhio.

– E pure a me è stata la sola polvere a ferirmi al petto? – gli fa eco Domenico Caria, alias Tri jinocchia, esponendo alla vista la leggera ferita di striscio al petto.

I due fratelli rientrano in casa e si affaccia la loro madre, Angela Maria Sellaro, tenendo bene in vista il fucile:

Non sono stati i miei figli a sparare, sono stata io!

Ovviamente tutti i presenti sanno che non è vero, ma nessuno ha più voglia di polemizzare, magari se ne riparlerà quando tutti saranno chiamati dai Carabinieri.

E tutti confermano che entrambi i fratelli Oliverio si affacciarono alla finestra per fare smettere i canti e che a sparare fu Salvatore.

Mi divertivo con altri in una canzone amorosa che si cantava per diporto nella strada Catoji, quando i germani Salvatore ed Antonio Oliverio si affacciarono alla finestra di loro abitazione imponendo che si fosse desistito dal canto e contemporaneamente Salvatore esplose una fucilata alla nostra direzione ed un piccolo pallino mi ebbe a ferire al petto – racconta Domenico Caria, che continua – e un altro simile andò a ferire al sopracciglio sinistro Pasquale Angotti. Ciò mi sorprese in quanto quella canzone non conteneva detti inconsulti, né era diretta alla sorella nubile di essi Oliverio, ma ciò non per tanto ritengo fermamente che quel colpo fosse esploso a spavento

Mi ero fermato per gustare una canzone di amore che si cantava da una brigata di giovinastri, quando ad un tratto si affacciarono Salvatore ed Antonio Oliverio e, nel sgridare i cantatori, Salvatore esplose un colpo di fucile carico a piccoli proiettili, uno dei quali mi ha colpito nel sopracciglio sinistro. Allora io, vedendomi ferito, mi dolsi con essi del loro operato ed ambedue gli Oliverio si scusarono col dire che non credevano che io mi trovavo in quel punto, mentre non era loro intenzione di sparare a me. A questi detti la madre, per scagionare i figli, disse: “Non sono stati loro, ma sono stata io a sparare” – racconta Pasquale Angotti.

– Come fate ad essere certo che fu Salvatore Angotti a sparare? Era notte ed era buio…

Atteso il favore della luna e la breve distanza dalla finestra, ho potuto ben distinguere che il fucile venne esploso da Salvatore Oliverio. Ieri ho saputo che non si è voluto mai permettere di cantare in quel luogo, lanciando pietre ed altro ai cantatori, e ciò perché in quella casa evvi una giovinetta di loro sorella, vagheggiata dal mio compaesano Antonio Lombardi, al quale assolutamente non si vuole permettere di cantare perché niuno di loro famiglia ha intenzione per tale matrimonio.

– Ma Lombardi era presente la sera del venti luglio?

Lombardi in quella sera non faceva parte di quella brigata di cantatori e a mio modo di vedere essi hanno potuto supporre che quella canzone si cantava alla di loro sorella per incarico di Lombardi.

Ecco spiegato il perché di tanto accanimento a far smettere le canzoni amorose! Questa chiave di lettura viene confermata da un paio di vicine di casa che confermano anche il lancio di pietre nei giorni precedenti da parte della madre dei fratelli Oliverio, i quali, interrogati, non ammettono niente:

Mentre ero a letto ho avvertito l’esplosione di un’arma da fuoco e, alzatomi, trovai mia madre che, caricato con poca polvere e senza proiettili un fucile, aveva sparato dalla finestra a spavento per fare allontanare taluni cantatori, sia per l’ora avanzata, come pure per non molestare un altro mio fratello che in allora trovavasi ammalato – racconta don Antonio –. Da ciò si vede che io non ebbi alcuna parte nel fatto che mi si addebita e l’operato di mia madre non fu allo scopo di offendere qualcuno, ma per l’effetto di intimorire quei cantatori che ogni notte si rendevano molesti con i loro canti.

– Eppure tutti i testimoni dicono che eravate affacciato alla finestra mentre vostro fratello, e non vostra madre, sparava il colpo di fucile – gli contesta il Maresciallo.

Come dissi, prima dell’esplosione del colpo ero a letto e dopo mi sono affacciato alla finestra dando animo a Pasquale Angotti che diceva di essere rimasto gravemente ferito, col dirgli che l’arma era stata sparata a spavento da mia madre e con sola polvere

– Allora dobbiamo concludere che il pallino estrattogli dal sopracciglio sinistro se lo è sparato da solo?

Nessuna risposta.

Poi è la volta di Salvatore:

Mi dichiaro e sono perfettamente innocente, in quanto al momento della esplosione io ero salito sopra per coricarmi. Fu mia madre che sparò a spavento con sola polvere e senza proiettili e ciò per fare allontanare taluni cantatori i quali si erano ormai resi molesti con disturbare la gente in ogni notte e mia madre li aveva sempre sgridati e qualche volta aveva lanciato dalla finestra pietre, acqua e simili.

Va bene, negano anche l’evidenza e gli inquirenti vanno avanti con quello che hanno accertato. E tra le cose accertate c’è il fatto che nella carica esplosiva del fucile c’erano davvero pochissimi pallini, quattro o cinque, del tipo detto “periniciari” e questo per due motivi: sul muro di fronte alla casa degli Oliverio non si è rinvenuta alcuna traccia di proiettili e perché, se nella carica ci fosse stata la solita quantità di pallini, alla distanza che venne esploso il colpo dovevano necessariamente rimanere feriti tutti coloro che si trovavano in direzione della finestra.

Questi elementi bastano per chiedere ed ottenere il rinvio a giudizio di entrambi i fratelli Oliverio – la posizione della madre non viene nemmeno presa in considerazione – per rispondere a piede libero: Salvatore di ferita volontaria con arma da fuoco e Antonio di complicità nel reato.

Il 16 giugno 1876, undici mesi dopo i fatti, il Tribunale Penale di Cosenza emette la sentenza: Salvatore Oliverio è responsabile del reato ascrittogli e viene condannato a giorni 5 di arresti; don Antonio viene assolto per insufficienza di prove.[1]

Dal 21 luglio 1875 le serenate in Via Catoji non sono state più cantate.

[1] ASCS, Processi Penali.