BIENEVENUE À PARIS

Parigi, 30 ottobre 1911, ore 3,00, Gendarmeria di Boulevard de la Charonne.

Un gendarme bussa alla porta dell’ufficio del Commissario Victor Lardanchet, che sta sonnecchiando seduto su di una poltroncina, e lo avvisa che un agente della Polizia Municipale deve conferire urgentemente con lui. Il Commissario sbadiglia, si stiracchia, si ricompone e poi gli dice di farlo entrare.

– Signor Commissario, all’una e mezza circa, davanti al numero 6 di Rue Planchat un italiano… certo Achille Corsi, ebanista, nato a Pontremoli il 9 gennaio 1880, dimorante in Rue Erard 31, è stato gravemente ferito a colpi di coltello durante una rissa. Il ferito è stato portato all’ospedale Tenon e, appena ricoverato, ha perso conoscenza e non è attualmente in condizioni di essere interrogato

– Si sa chi è l’autore del ferimento?

– No, al momento no. Sappiamo solo che l’aggressore è scappato.

Verso le 9,00 gli agenti della Polizia Municipale cominciano a presentare al Commissario diverse persone, per lo più ubriachi che gironzolavano la notte precedente nei dintorni del luogo del ferimento e che si pensa abbiano potuto prendere parte alla rissa. Dopo numerosi interrogatori infruttuosi, qualcuno fa una descrizione del feritore e poi esce un nome: Antonio Genitoni. Dalle verifiche d’ufficio si scopre che è nato a Vetto, in provincia di Parma, che ha 23 anni e fa il terrazziere, che risiede in Rue des Harés 10 e che risulta essere entrato in Francia il 24 ottobre, appena sei giorni prima della rissa.

All’indirizzo indicato c’è una pensione per immigrati italiani, gestito da Fortunato Pedretti, e Genitoni risulta occupare la stanza numero 8 col compaesano Celso Nobili, muratore.

Il giorno in cui è stato commesso il delitto sono rientrato alle ventidue per dormire e ho visto il mio compagno di stanza che è uscito e non rientrò che a notte tarda, ma non so dire con precisione a che ora. Genitoni aveva il volto tumefatto e insanguinato, gli chiesi che cosa gli era accaduto e mi rispose che si era battuto.

– Sapete dove lavorava?

– No.

Gli agenti perquisiscono la camera e trovano nella tasca del vestone appartenente a Nobili un coltello a serramanico, presumibilmente usato per ferire Corsi.

– È tuo?

– No, è di Genitoni…

La conferma che potrebbe essere stato veramente Genitoni a ferire Corsi si ha quando gli agenti trovano dei vestiti macchiati di sangue appartenenti al sospettato. Sperando che Genitoni torni nella sua stanza e arrestarlo, il Commissario Lardanchet ne dispone la sorveglianza. Intanto le indagini continuano e la Gendarmeria mette in stato di fermo due italiani, Antonio Scudellari e Charles Marcello, sorpresi durante la notte in stato di ubriachezza mentre si stavano picchiando nelle vicinanze del luogo della rissa. Non c’entrano con l’accoltellamento, ma dicono di avere assistito alla lite fra il ferito e il feritore, aggiungendo una sommaria descrizione: statura 1,60 circa, capelli biondo rosso, di 25 anni circa e con una cicatrice alla guancia destra di origine recente. Più o meno le caratteristiche di Antonio Genitoni, che è sempre uccel di bosco.

Ieri sera ho pranzato da mio padre che abita in Rue de la Volga 76, poi sono uscito verso le ore sette e mezza per recarmi al cinematografo in Rue des Pyrénées 70 – inizia Charles Marcello –. Un po’ prima di mezzanotte ho lasciato il cinematografo e mi disponevo a ritornare a casa, quando in Rue d’Avron ho incontrato il compagno Starck e un certo Clonet che lo accompagnava. Tutti e tre ci siamo recati al Ballo Mattia in Rue de Montreuil 125 o 127, ove si trovavano già numerosi italiani. Poco dopo scoppiò una discussione fra di loro e specialmente fra Corsi e colui che lo ha colpito. Questa discussione durò abbastanza nell’interno del Ballo Mattia, ma nessuno percossa è stata scambiata. L’individuo è allora sortito dal Ballo accompagnato da quelli che prendevano parte e causa per lui e Corsi ha fatto altrettanto coi suoi partigiani, ma gli agenti che erano fuori hanno disperso tutti e l’individuo è entrato in uno spaccio di tabacchi situato all’angolo del Boulevard de Charonne con Rue d’Avron. Corsi l’ha seguito ma non è entrato e qualche istante più tardi l’individuo è sortito dallo spaccio e ha lanciato un bicchiere in testa a Corsi che, essendosi rapidamente ritirato, è riuscito a parare il colpo. L’aggressore è allora andato a “Le Roi des Cafés”, Corsi lo ha seguito ancora ed è restato alla porta invitandolo ad uscire per battersi lealmente. L’altro ha risposto che non voleva battersi ed è uscito dal bar dirigendosi verso Rue des Harés. All’angolo di questa con Rue Planchat, Corsi, seguendo sempre l’individuo, gli ha dato un pugno sulla testa e l’altro ha certamente risposto a Corsi, ma la risposta è stata così rapida che non ho potuto rimarcare come sia avvenuta. A questo punto tutti i presenti, in numero di sette od otto, hanno preso la fuga e ho visto Corsi dirigersi verso Rue d’Avron tenendosi il ventre con le mani. Arrivato all’altezza de “Le Roi des Cafés”, Corsi è caduto all’orlo del marciapiede e io gli ho domandato se conosceva il nome dell’individuo che lo aveva colpito. Alla sua risposta negativa ho ripetuto la cosa, ma senza migliore successo. I gendarmi sono allora arrivati e hanno condotto il ferito all’ospedale. Ho detto agli agenti che avevo assistito alla rissa e che potevo servire da testimone, invece mi hanno arrestato perché ero leggermente preso dal vino.

– Conoscete Antonio Scudellari che è stato arrestato con voi?

No, non lo conosco, apprendo da voi il suo nome.

– Avete idea di quali siano stati i motivi della rissa?

– Li ignoro.

Scudellari fa più o meno lo stesso racconto, proprio mentre arriva dall’ospedale la notizia che Corsi, colpito da tre coltellate che gli hanno trapassato l’intestino ed il fegato, ha ripreso conoscenza. A questo punto il Commissario corre ad interrogarlo, usando ovviamente tutta la cautela del caso.

Questa notte al Ballo Mattia un italiano di ventidue o ventitré anni, che io conoscevo soltanto di vista, mi ha provocato a lite. Quando sono uscito mi ha seguito nella strada e mi ha dato un colpo di nervo di bue; io sono scappato, l’italiano mi ha seguito e mi ha raggiunto in Rue Planchat, dove mi ha inferto parecchi colpi di coltello… il mio aggressore si era battuto prima con un altro italiano, che io non posso indicare. Avrà creduto che fosse mio fratello ed è perciò che avrà voluto vendicarsi su di me

Una versione dei fatti completamente diversa da quella raccontata dai due testimoni.

Nonostante questo lieve miglioramento, le condizioni di Corsi sono gravissime e, infatti, il 2 novembre muore. Adesso si procede per omicidio e l’istruzione del procedimento viene affidata al giudice Boncher.

Genitoni è sparito e nemmeno la sorveglianza della pensione dà i frutti sperati, infatti gli Ispettori del Servizio di Sicurezza Ganousse e Halphen riferiscono al Commissario Lardanchet che l’individuo non è ricomparso al suo domicilio ed è stato infruttuosamente ricercato, ma in una nuova perquisizione della camera hanno trovato una fotografia del sospettato.

L’istruttoria va avanti e Genitoni viene rinviato a giudizio, in contumacia, per omicidio volontario. È il 2 luglio 1912.

La Corte d’Assise del Dipartimento della Senna, il 19 novembre 1912 dichiara Genitoni Antonio colpevole del delitto e lo condanna, in contumacia, ai lavori forzati a vita.

Le ricerche del latitante continuano, ma lo troveranno?

Intanto il 9 dicembre 1912 sembrano esserci delle novità: il Servizio di Sicurezza della Polizia francese spedisce un rapporto alla Magistratura per informarla che Genitoni è segnalato come dimorante attualmente nel suo paese natio, ove recentemente si sarebbe ammogliato. A questo punto l’unica cosa da fare è investire del caso i governi francese e italiano per rintracciare e arrestare il latitante.

Arrivata la richiesta alle autorità italiane, queste procedono con cautela perché non avendosi ancora la certezza che costui sia rientrato nel regno, non è dato rilasciare il mandato di cattura. Bisogna indagare e allo scopo viene delegato il Pretore di Castelnovo ne’ Monti, competente per territorio. Intanto si ottiene un primo risultato: il ricercato non si chiamerebbe Antonio, ma Oliviero Antenore, sempre ammesso che sia lui.

Il 21 giugno 1913 arriva il primo rapporto dei Carabinieri di Castelnovo ne’ Monti: da informazioni assunte risulta che Genitoni Oliviero, nato il 5-6-88, da Vetto, si è recato in patria trattenendosi pochi giorni, quindi si è di nuovo allontanato. Il medesimo non fece alcuna pratica, né richiesta di matrimonio. Il Genitoni, il 21 marzo 1907 ottenne il passaporto per l’estero; il 25 novembre 1908 ne ottenne un altro ed il 14 ottobre 1912 ne ebbe un terzo, senza poter precisare l’epoca precisa della di lui partenza per la Francia o Svizzera, cui era sempre diretto. Certo Ruffini Ferdinando, abitante vicino al Genitoni, afferma che il Genitoni si recò a Parigi nel mese di settembre 1911, rimpatriando solo nel mese di maggio o giugno 1912, senza poter dire se avesse o meno una cicatrice alla faccia, mentre afferma che prima nulla aveva sul viso.

Un buco nell’acqua.

È la sera del 3 agosto 1913 e nella frazione Costa del comune di Vetto si tiene un pubblico ballo, sorvegliato da una pattuglia di Carabinieri per prevenire eventuali risse tra probabili ubriachi. Decine di sedie sono messe in circolo a formare una pista da ballo dove otto o nove coppie stanno ballando al suono di un organetto. All’improvviso un individuo si lancia tra le coppie di ballerini, si ferma davanti ad una ragazza e le tira due schiaffi sul viso. Intervengono i Carabinieri, prendono per le braccia l’individuo, lo portano in disparte ed evitano altre conseguenze. Pochi minuti dopo, però, costui ritorna nelle vicinanze del ballo e veduta la ragazza, che stava per entrare nella casa di certo Ruffini, la afferra con una mano per un braccio, lacerandole il corsetto, mentre con l’altra tenta di colpirla al basso ventre, ma non gli riesce perché la ragazza è sollecita a svincolarsi e nel far ciò l’individuo lascia cadere a terra un coltello a serramanico con lama acuminata. I Carabinieri si lanciano sull’uomo, lo bloccano, lo dichiarano in arresto e lo portano in caserma.

– Declina le tue generalità e dimmi perché ce l’hai con quella ragazza per schiaffeggiarla e provare a colpirla col coltello – gli chiede il Brigadiere Fortunato Montalbano.

– Genitoni Oliviero Antenore. Adalgisa è la mia fidanzata da circa due anni. Al ballo la vidi scherzare con degli altri giovanotti e per tre volte l’avvertii che badasse a quel che faceva. Mi rispose: “va a cagare” e allora le detti due schiaffi. Dopo ciò uscii dal ballo e quando uscì Adalgisa la presi per un braccio per parlarle. In quel momento mi presero i Carabinieri… io non possedevo coltello, non porto mai armi e mai ne ho portato e non ho minacciato, né tentato di colpirla! Chiedo la libertà provvisoria e sono disposto a rinunziare a qualsiasi termine pur di essere giudicato.

Tombola!

Adesso la patata bollente passa nelle mani del Pubblico Ministero che conduce le indagini sulla legittimità dell’arresto del ricercato in relazione alla richiesta francese: Poiché si hanno forti elementi di colpevolezza del Genitoni pel grave delitto addebitatogli, si giudica che ben puossi confermare la di lui cattura e dichiarare continuativa la di lui detenzione, atteso il titolo del delitto. Si vedrà poi, in base agli accordi fra i due Stati, se ci sono le condizioni per l’estradizione o per processarlo in Italia.

Intanto la richiesta di Oliviero Antenore di essere giudicato subito per gli schiaffi dati ad Adalgisa alla festa da ballo e per le tentate lesioni con arma viene accolta e quindi giudicato per direttissima il 22 agosto successivo. Per gli schiaffi viene condannato a mesi 3 di reclusione, più pene accessorie, spese e danni, però viene assolto per le tentate lesioni con arma. Oliviero Antenore, che forse ha il sentore che le cose per lui sul versante francese potrebbero mettersi bene, fa ricorso in Appello e guadagna qualche altro mese di tempo: il 18 novembre successivo la Corte d’Appello di Modena riforma la sentenza di primo grado e riduce la condanna a mesi 2 di reclusione.

Adesso bisogna scalare la montagna più alta del mondo per Oliviero Antenore: evitare l’estradizione e i lavori forzati a vita. Interrogato, racconta:

– Quella sera fui aggredito e ferito al viso quando uscii dalla tabaccheria e reagii menando colpi di coltello contro i miei aggressori a scopo di difesa senza capire chi avessi ferito, poi tornai a casa, mi cambiai e fuggii…

Ma gli inquirenti non ritengono credibile questa versione dei fatti perché le testimonianze raccolte in Francia e anche quelle che il Giudice Istruttore italiano ha chiesto per rogatoria lo smentiscono. Nonostante ciò, però, ci sono molte perplessità sia su come i francesi condussero le indagini e sia sul movente, praticamente inesistente. Nella relazione di conclusione delle indagini, gli inquirenti infatti scrivono: in ordine alla responsabilità specifica di Genitoni, l’istruttoria attuale appare non esauriente, però sufficiente. Non esauriente in quanto non si è fatta luce abbastanza su quanto deve essere stata la causale del reato, acconciandosi solamente ad una discussione avvenuta nel Ballo Mattia, senza specificare tra quali persone, per che ragione ed in che sarebbe consistita. Anzi, la stessa vittima, nelle poche dichiarazioni che poté fare, accenna ad un alterco che sarebbe avvenuto tra Genitoni ed un terzo e che egli, Corsi, fu ferito quasi per vendetta trasversale. Comunque sembra certo che il movente va riferito alle lesioni riportate verso le cinque pomeridiane del 25 ottobre al collo ed alla sommità del capo dall’imputato, come riferiscono i testi Nobili e Pedretti, escussi per rogatoria, e che costituirono le cicatrici per cui fu identificato sulla fotografia (andata distrutta). Ma è evidente l’importanza di una tale indagine in ordine alla quale potevano forse fruttuosamente escutersi l’esercente e i convenuti del Ballo Mattia e gli altri testi indicati dal Pedretti. E che la causale debba riferirsi ad un antefatto lo si evince, altresì, dallo stato in cui sono gli indumenti di Genitoni, repertati in Francia, tutti tagliati da colpi di coltello e che perciò è utile fare venire dall’estero. L’imputato vuole far credere di aver riportato le lesioni nell’uscire dalla tabaccheria, ma è smentito dalle testimonianze e da tutte le risultanze processuali, sicché deve ritenersi che vi fu un antefatto, non chiarito. Parimenti è a rilevarsi che non fu esaurito il discarico offerto da Genitoni nelle persone dei testi indicati, tutti reperibili. Tuttavia non si ravvisa il caso di ordinare un supplemento di istruttoria, potendosi in gran parte sopperire ad ovviare ai rilievi sopra fatti colle facoltà di accertamento ed indagine concesse al Presidente del Giudizio. L’istruttoria si è detta sufficiente perché la reità del prevenuto risulta sufficientemente provata dall’incolpazione lanciata dalla vittima, dal detto dei testi, a cui è di suggello la confessione dello stesso Genitoni, pur non accennando a Corsi. L’intenzione omicida si desume dall’arma usata, dalla violenza di colpi inferti, nonché dalle parti vitalissime prese di mira. Poiché la cognizione del delitto appartiene alla Corte d’Assise, la Sezione d’Accusa presso la Corte d’Appello di Modena, ordina il rinvio dell’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Reggio Emilia per rispondere di omicidio volontario.[1]

È il 21 febbraio 1914 ed il pericolo dei lavori forzati a vita per Oliviero Antenore Genitoni è scampato. Molto meglio, eventualmente, il carcere in patria!

Purtroppo del dibattimento e della sentenza non c’è traccia e non sappiamo come andò a finire, ma la sensazione è che Antenore se la sia cavata abbastanza bene.

[1] ASRE, Atti della Corte d’Assise di Reggio Emilia.