DUE FRATELLI

Il 7 giugno 1945, la famiglia di Giuseppe Camodeca è nella casetta colonica sita in contrada Seque del comune di Castroregio per i quotidiani lavori nei campi: Giuseppe ed il bracciante Gabriele Di Lazzaro curano la vigna; i figli Nicola e Pietro lavorano nei rispettivi pezzi di terra; Maria Ierovante, la moglie, è in casa a confezionare il formaggio.

Un urlo, all’improvviso, scuote la tranquillità del lavoro. Maria smette di preparare il formaggio, con due salti esce sull’aia e, alla distanza di circa trenta metri, vede il figlio Nicola caduto a terra per un colpo di scure alla testa infertogli dal fratello Pietro. Urla a sua volta e corre verso i figli, quindi si lancia su Nicola per proteggerlo da altri colpi, ma Pietro continua come una furia, incurante del fatto che sua madre abbia messo le mani sulla testa di Nicola per cercare di attutire i colpi e le rompe la destra. Poi Pietro butta la scure e scappa. In questo frattempo arrivano anche Giuseppe ed il bracciate, che restano sconvolti dall’orribile scempio.

Nicola, praticamente morto, viene prima portato nella casetta colonica e poi in paese dove, poco dopo, il suo cuore smette di battere. I Carabinieri di Amendolara, competenti per territorio, non possono fare altro che constatare la morte ed avvisare il Pretore, che dispone subito l’autopsia. Nicola Camodeca è stato colpito alla testa con il dorso della scure e due volte all’avambraccio destro col taglio della stessa arma, segno che ha cercato di ripararsi dai colpi. Il perito, scuotendo la testa, dice:

La morte è stata causata dalle ferite al capo e specialmente da quelle alla regione frontale e temporale, che hanno determinato anche fuoriuscita di materia cerebrale, oltre che commozione. Data l’entità delle ferite alla testa, ritengo che a produrle siano stati parecchi colpi.

Lo scempio è tale che non si riesce a determinare con certezza il numero dei colpi.

Due giorni dopo viene ascoltata Caterina Voto, la vedova di Nicola, che rivela:

Da circa quattro anni tra mio marito e mio cognato succedevano continui litigi per ragioni di interesse. Una prima questione sorse perché mio cognato si era appropriato di un pezzo di terreno facente parte della quota di mio marito e si risolse per l’arrendevolezza di mio marito, che lasciò al fratello quanto costui pretendeva. Un secondo litigio fu originato dalla divisione di una pagliera e l’ultima perché mio cognato aveva vietato a mio marito di passare davanti la di lui stalla per recarsi nei suoi terreni, mentre ne aveva il diritto

– Ma nel giorno o nei giorni precedenti al delitto era accaduto qualcos’altro?

La sera del 6 giugno, Pietro aveva deposto dei pali di traverso davanti alla sua stalla per impedire a mio marito il passaggio verso i suoi terreni

– E poi?

– E poi, avendoli mio marito spostati, Pietro attese che tornasse dalla fontana, ove si era recato per abbeverare gli animali, e a circa trenta metri dalla masseria lo colpì all’improvviso

Viene ascoltata anche Maria Russo, la moglie di Pietro, che racconta le cose al contrario della cognata:

I due fratelli erano, da quattro anni, in continui litigi per una derivazione di acqua, per l’apposizione di termini nelle proprietà contigue, per la divisione di una pagliera e per il passaggio preteso da Nicola avanti la porzione di una stalla, toccata a mio marito, per recarsi nei suoi fondi

– Sapete se era accaduta qualcosa subito prima del delitto?

La mattina del sette, avendo Nicola tolto dei pali posti da mio marito la sera precedente per impedirgli il passaggio, Pietro richiamò il fratello, facendogli presente che gli vietava assolutamente il passaggio. Nicola, inferocitosi, tirò una prima bastonata al braccio ed una seconda alla testa di mio marito, minacciando che quel giorno lo avrebbe fatto a pezzi. Mio marito, allora, vistosi percosso e minacciato, lo percosse col cozzo della scure che teneva in mano, facendolo stramazzare a terra. Poi, avendolo visto sollevarsi al primo colpo, accecato dall’ira, continuò a colpirlo sino a che non lo vide più alzarsi. È stato in questa occasione che Pietro ha ferito anche sua madre, accorsa in aiuto del figlio

– Eravate presente? Avete visto la scena con i vostri occhi?

– No, non ero presente ma, informata del fatto, mi diressi subito verso la masseria e avendo incontrato mio marito, appresi il fatto da lui

In effetti avevo immaginato che un giorno o l’altro sarebbe successa una disgrazia, dato l’astio tra i due fratelli… – racconta Domenico Russo, il suocero di Pietro – mi è stato detto che mio genero ha riportato delle lesioni alla mano destra e alla testa e che, prima di colpire il fratello, era stato da questo percosso con un bastone

Molti dubbi. Di certo c’è solo la parte finale della tragica scena alla quale ha assistito e subito la madre dei due fratelli ed è in base al suo racconto che si procede contro Pietro Camodeca per omicidio volontario e lesioni personali e vengono attivate accurate ricerche per catturarlo, visto che è sparito nel nulla e ci vorrà quasi un mese per arrestarlo, il 3 luglio successivo. Interrogato, Pietro racconta la sua versione dei fatti:

Nicola, alle mie rimostranze per lo spostamento dei pali, rispose con due colpi di bastone, uno dei quali mi ha rotto la testa. impressionato dal sangue che mi colava dal viso e temendo che Nicola mi uccidesse, brandii la scure e gli gridai di allontanarsi ma lui, invece, afferrò la scure con l’intenzione di disarmarmi ed io, allora, con grande sforzo riuscii a togliergli l’arma dalle mani e cominciai a colpirlo, senza vedere dove e come, mentre ero tenuto col capo piegato verso terra

– A noi risulta che Nicola cadde a terra e voi lo colpiste con l’intenzione di ucciderlo!

Non è vero!

– Ce lo ha detto vostra madre che è intervenuta ed è anche rimasta ferita ad una mano…

Non ricordo dell’intervento di mia madre e nego di averla ferita!

– E allora chi l’ha colpita con il dorso della scure sulla mano destra, rompendogliela?

Silenzio.

Ed è proprio a Maria Jerovante, la madre, che tocca ricostruire le ore precedenti alla tragedia:

Pietro tornò dal paese alla masseria la mattina del sette giugno ed entrò nella casetta colonica dove ero intenta a preparare il formaggio. Si trattenne un poco, uscendo poi per condurre al pascolo i suoi animali bovini; dopo breve tempo, essendomi sembrato di sentire un grido, pensando subito che fosse successa qualcosa dato che Pietro e Nicola non andavano d’accordo, uscii e vicino alla fontana dietro alla casetta vidi Nicola a terra sanguinante che si teneva una mano sulla testa, mentre Pietro lo colpiva col cozzo della scure. Accorsi e posi la mia mano sulla testa di Nicola perché fossi colpita io invece di mio figlio, ma Pietro continuava a tirare altri colpi. Poi si allontanò e, additandogli il fratello, gli gridai: “disgraziato, ora puoi prenderti un po’ di carne e mangiartela!”.

– Ma com’è questa storia dei pali e del passaggio conteso?

Pietro non voleva che il fratello passasse attraverso un recinto comune, sito davanti alla casetta colonica, per andare nei suoi terreni e a tale proposito, la sera del sei, aveva portato dei pali collocandoli di traverso in prossimità di tale passaggio, con l’intenzione evidente di chiuderlo. Nicola rimosse i pali e Pietro, incontratolo mentre tornava dal bosco, dovette forse chiedergli spiegazioni e da tale fatto dovette nascere la questione

– Secondo quanto hanno raccontato Pietro e sua moglie, Nicola doveva essere un tipo irascibile e violento, è così?

Nicola era buono e calmo. Pietro, invece, è sempre stato più irruente e minacciava di morte il fratello, dicendogli: “o mi uccidi o ti uccido!”.

È proprio così? Secondo alcuni testimoni, no. Per esempio, Pietro Di Lazzaro racconta:

Fui chiamato da Nicola circa quattro anni or sono per dirimere una controversia circa la deviazione di acque. Mi recai sul posto due volte e riuscii a metterli d’accordo. In quella occasione Nicola mi disse che era impossibile andare d’accordo con Pietro e che, pertanto, l’uno o l’altro doveva essere ammazzato.

Il teste Giovanni Aurelio ricorda:

Invitato dalla madre dei Camodeca a dividere una zona di terreno, assegnata dal marito ai figli, esattamente a metà in quanto Nicola non si era accontentato della divisione fatta dal padre dicendo che aveva favorito Pietro, mi recai sul posto e divisi il terreno esattamente a metà, apponendo ai confini dei segni lapidei. Nicola, allora, pur essendosi rimesso al mio operato prima di iniziare la divisione, non si mostrò, poi, soddisfatto ed incominciò a minacciare il fratello e rimuovendo, nel contempo, i confini asserendo che a Pietro erano toccati pochi metri quadrati in più, cosa che non rispondeva al vero. Pietro aveva in mano un bastone, mentre Nicola, che aveva la zappa in mano, diceva che uno dei due doveva scomparire e tentò di colpire il fratello, cosa che avrebbe fatto se i genitori non lo avessero trattenuto. I genitori erano addolorati e piangenti per il dissidio tra i figli. Posso aggiungere che Nicola, ogni qualvolta mi incontrava, mi ripeteva la frase: “zio Giovanni, o io o lui deve scomparire”.

Ho sempre avuto l’impressione di trovarmi di fronte a due individui capricciosi e puntigliosi, specialmente Nicola. I due fratelli tenevano sempre un contegno minaccioso, scambiandosi delle parole in lingua albanese – riferisce Francesco Scillone.

Domenico Sola, Guardia Municipale, racconta:

Il sei giugno, passando per le vicinanze della masseria dei Camodeca incontrai Pietro, che mi esternò la sua intenzione di chiudere il passaggio, cercando di dimostrarmi il suo buon diritto. Io gli risposi di non poter decidere se prima non avessi sentito anche Nicola e gli consigliai di lasciar stare le cose così come stavano, in quanto sarei tornato sul posto col Maresciallo dei Carabinieri ed un tecnico ed avrei, con il loro aiuto, tentato, alla presenza di Nicola, di definire la questione.

Poi Pietro cambia versione:

La sera del sei giugno, per evitare che i miei animali scantonassero nel fondo di mio fratello, decisi di recingere il terreno antistante alla casa colonica, trasportandovi dei pali e lasciandoli di traverso, dopo, però, di aver parlato con la guardia Domenico Sola, che mi dette perfettamente ragione, promettendomi anche di far venire sul posto il Maresciallo per accertare meglio il mio diritto. Feci, quindi, ritorno in paese e mia madre, che probabilmente aveva sentito la conversazione con la guardia, ne riferì il contenuto a Nicola. Certo è che, il mattino dopo trovai i pali spostati e di ciò mi lamentai con mia madre. Poco dopo vidi avvicinarsi Nicola il quale, avendo udito la discussione tra me e nostra madre, spronava con un bastone gli animali che teneva al pascolo con atteggiamento furioso e pronunziando al mio indirizzo frasi minacciose. Giuntomi vicino si accese la discussione e mio fratello mi vibrò due colpi di bastone alla testa. Accortomi che mi colava del sangue e temendo che mio fratello mi uccidesse, dopo una colluttazione lo colpii senza vedere dove e come. Nicola non cadde a terra e io non continuai a colpirlo… non ricordo se mia madre intervenne e se la colpiinon volevo ucciderlo

Terminata l’istruttoria, Pietro Camodeca viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari per rispondere di omicidio volontario aggravato dai rapporti di parentela e lesioni personali. La causa è fissata per il 24 luglio 1946.

La Corte rileva subito che la ricostruzione dei fatti esposta dall’imputato appare illogica e inverosimile, solo che si rifletta che egli ha detto di non aver visto, di non essersi accorto dell’intervento della madre, che rimase anche ferita e, massimamente, che egli non avrebbe potuto colpire stando nella posizione descritta, cioè col capo tenuto abbassato, considerato che il fratello era molto più alto di lui e che i colpi lo attinsero, fra l’altro, alla bozza frontale destra, alla regione emicranica, alla regione temporale sinistra e alla regione clavicolare sinistra. E non solo. Infatti la Corte continua: altri elementi e considerazioni smentiscono l’assunto difensivo ed ingenerano la convinzione che ben diversamente si svolsero i fatti e che, cioè, Pietro, visti spostati i pali, in un eccesso di odio e di sdegno, abbia atteso il fratello e proditoriamente abbia a costui, standogli alle spalle, inferto un primo colpo con il cozzo della scure all’occipite, provocandone la caduta ed abbia poi continuato a colpirlo alla fronte, alla regione temporale e clavicolare, nonostante l’intervento della madre, la quale con le sue mani tentava di far scudo al capo del povero suo figlio. Ed infatti era certo che Nicola Camodeca era aitante nella persona, più alto e robusto del fratello Pietro e che costui, invece, è di statura inferiore alla media e piuttosto magro. È assodato anche che Nicola, appunto perché più forte e robusto, teneva in continua soggezione il fratello, come egli stesso ha asserito nel suo interrogatorio. Se, dunque, esisteva tanta sproporzione di forza fisica e morale fra i due fratelli, sembra impossibile che Pietro abbia atteso il fratello, come egli ha narrato, e si sia misurato con lui a viso aperto perché, se ciò in realtà fosse avvenuto, sarebbe bastato un atto di forza di Nicola per allontanare da sé il fratello, per disarmarlo della scure e metterlo in condizione di non poter nuocere. L’ubicazione delle lesioni è un segno evidente dell’attacco proditorio. Nessuna discussione avvenne tra i fratelli immediatamente prima del delitto. La madre, che era nella casetta colonica distante appena una decina di metri dal posto ove avvenne il fatto, non intese alcun diverbio, come ha precisato in udienza, e accorse solo allorché udì un grido sommesso. L’imputato ha asserito di essere stato colpito alla testa, riportando una lesione guarita in giorni quindici e che colpì il fratello appena vide il sangue colargli il sangue sul viso. Ma nessuno vide la suddetta lesione e nemmeno la madre e la moglie ne fanno menzione.

La Corte, dimostrato che si trattò di un attacco proditorio, non può che respingere la richiesta della difesa, tendente ad ottenere la non punibilità di Pietro Camodeca per avere agito in stato di legittima difesa, ma ragiona sulla richiesta subordinata, la concessione dell’attenuante della provocazione: è certo che tra i due fratelli non è corso mai buon sangue, almeno da quando il loro padre incominciò a spogliarsi del suo patrimonio donandolo in parte prima a Nicola e poi a Pietro in occasione dei loro rispettivi matrimoni. È certo che da circa quattro anni i loro rapporti erano diventati estremamente tesi per una serie di liti, tutte, eccetto l’ultima, amichevolmente composte mercé l’intervento di comuni amici. I genitori han detto che Nicola era di animo più mite di Pietro e maggiormente arrendevole, ma dalle testimonianze raccolte emerge chiaro il carattere sprezzante di Nicola, come pure chiara risulta la sua volontà di predominare, forse anche per la sua robustezza e la sua maggiore età. Pietro alimentava da lunghi anni il suo odio, che esplose in modo violento, tragico, inumano il mattino del 7 giugno, traendo occasione dal fatto che Nicola si era permesso di spostare i pali che egli aveva posto vicino alla sua stalla per impedire il passaggio al fratello. Ma Pietro, qui sta la vera questione per concedere o meno l’attenuante richiesta, aveva il diritto di impedire il passaggio al fratello? Sono decisive le parole dei genitori, i quali affermano chiaramente che Pietro non poteva chiudere il passaggio perché lo spazio antistante alla stalla era ancora comune tra i due fratelli ed ambedue, quindi, avevano diritto di servirsi di esso. A voler essere ancora più precisa, la Corte ricorda che nemmeno Pietro era così sicuro di poter chiudere il passaggio, tanto che nel pomeriggio del 6 giugno si rivolse alla guardia Sola per chiedergli se avesse potuto chiudere il passaggio ed il teste gli rispose che prima di decidere avrebbe dovuto sentire anche Nicola, consigliandolo a lasciare stare le cose come si trovavano. E quindi non può parlarsi di provocazione. Richiesta respinta. Ma, considerati i buoni precedenti penali dell’imputato, l’atmosfera di isolamento familiare in cui viveva, il carattere prepotente e dominante di Nicola e lo stato di soggezione nei confronti del fratello, la Corte ritiene di concedergli il beneficio delle attenuanti generiche.

Assodata la responsabilità penale di Pietro Camodeca in ordine ai reati ascrittigli, la Corte deve determinare l’entità della pena da infliggere. Per le lesioni procurate alla madre, riconoscendo che sono state procurate per errore mentre tentava di colpire il fratello, derubrica il reato e dichiara non doversi procedere essendo il reato estinto per effetto dell’amnistia.

Per l’omicidio la pena ammonta ad anni 25 di reclusione, più pene accessorie, spese e danni.

Il 14 giugno 1950 la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonati anni 3 della pena:

il 15 marzo 1954 la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonati anni 3 della pena.

Il 12 marzo 1963 la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro dichiara condonati mesi 6 della pena.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.