È domenica 7 novembre 1869. A Cosenza il Corso Guicciardi, intorno al quale si sta costruendo la Villa Comunale, verso le 17,30 è gremito di popolo essendo questa l’ora del passeggio generale. Tra la folla passeggiano anche il prete don Giuseppe Valentini con alla sua destra Ferdinando Balsano, Preside del Liceo Convitto, che ha alla sua destra l’avvocato Raffaele Conte. I tre hanno appena valicato di pochi passi l’ultimo angolo della Villetta, quando sentono una voce alle loro spalle:
– Preside, Preside!
Balsano, sentendosi chiamare, si gira e urla. Poi una detonazione. Istintivamente si girano anche don Giuseppe e l’avvocato Conte i quali vedono il Preside barcollare mentre un uomo, ad un paio di passi da lui, estratto un coltello gli si lancia addosso. Don Giuseppe Valentini resta un attimo impietrito, poi vede un gruppo di soldati a pochi passi di distanza e si mette ad urlare:
– All’assassino! Prendetelo!
L’avvocato Conte cerca invece in tutti i modi di bloccare l’aggressore afferrandogli il braccio armato e frapponendosi tra questi ed il Preside, tuttavia non riesce ad impedire che questi venga colpito numerose volte. Quando il Preside è a terra, l’aggressore si allontana freddamente, ma viene subito raggiunto dai soldati che lo bloccano e lo arrestano.
Ferdinando Balsano, 42 anni da Roggiano Gravina, è ferito gravemente e viene portato a casa.
Ma chi e perché lo ha aggredito con l’evidente intenzione di ucciderlo? Sono queste le domande che il Giudice Istruttore Marinelli, immediatamente precipitatosi a casa del Preside, gli rivolge ed alle quali Balsano risponde con un filo di voce:
– Colui che mi ha ferito è Nicola Corritore, già dispensiere nel Convitto di questo Liceo, che io avevo congedato dal servizio negli ultimi giorni del prossimo passato ottobre in seguito ad avviso da me provocato del Consiglio di Amministrazione…
– Come sono andati i fatti?
– Appena ho prestato il volto, Corritore mi ha scaicato sul petto una pistola, producendomi la ferita orribile che osservate. Poi mi ha investito con un coltello vibrandomi diversi colpi…
I diversi colpi di coltello sono stati sei, oltre al colpo di pistola che lo ha raggiunto fra la terza e quarta costola a destra: uno nella parte posteriore del collo, tre al di sotto della mammella destra, uno nella regione pubica e l’ultimo sulla natica sinistra.
Lasciato il ferito in imminente pericolo di vita, il Giudice Istruttore torna nel suo ufficio per interrogare il trentanovenne Nicola Corritore, l’aggressore:
– Da sei anni io ero addetto al servizio del Convitto di questo Liceo in qualità di refettoriere e meritai sempre la soddisfazione e gli elogi dei diversi Presidi e Rettori succedutisi. Nel settembre ultimo seguii i convittori ed il personale insegnante del Liceo in Rogliano e quivi, oltre agli incarichi inerenti al mio uffizio, me ne furono affidati altri di più delicati come quello di provvedere la frutta e il vino, lo zucchero e il caffè e quello della custodia dello intiero locale, l’ex convento dei cappuccini, ove i convittori villeggiavano. Il giorno ventotto settembre feci entrare nel refettorio una donna di Rogliano, a nome Raffaeluccia, per portarvi del pane, secondo il solito. Non so chi volle riferire al Preside Balsano che io mi ero chiuso nel Refettorio con quella donna. La dimane ventinove, il signor Balsano mi chiamò a sé e, rimproverandomi quel fatto meramente innocuo, sordo alle mie giustificazioni, mi congedò dal servizio e m’ingiunse di muover presto. A questo obbedii, sperando che, sfumata la prima ira del Preside, egli si fosse persuaso della mia innocenza ed avesse revocato quel suo provvedimento. Verso gli undici o dodici del prossimo passato ottobre, egli rientrò a Cosenza ed io andai a presentargli le mie scuse ed a pregarlo perché mi riammettesse al mio posto, ma egli mi disse che la cosa non dipendeva da lui ma dal Consiglio di Amministrazione. Allora pensai di provvedermi di raccomandazioni presso i membri del Consiglio, i signori Giovanni Orsimarsi, marchese Ferrari Spada e don Baldassarre Telesio. Ai signori Orsimarsi e Telesio parlai io personalmente e ne ebbi assicurazioni favorevolissime, tutti dicendomi che si trattava di un caso da nulla, che il Preside avrebbe potuto dimenticare volentieri, sicché io mi tenevo sicurissimo di essere riammesso al mio uffizio. Il ventotto ottobre il Consiglio si riunì e la sua decisione fu contraria ai miei voti. Ciò nonostante non ho cessato di raccomandarmi al Preside e tentai tutte le vie per disarmare la sua collera. Ieri mandai mia moglie dal marchese Ferrari, il quale le disse che la faccenda oramai dipendeva tutta dal Preside e le consigliò di andare da costui a pregarlo personalmente. Mia moglie vi è andata stamattina per tempissimo, ma il Preside non ha voluto riceverla e le ha fatto appena sentire, per mezzo di un cameriere, che il mio era un affare finito. Questa risposta che mia moglie è venuta a riferirmi ha messo il colmo alla mia irritazione. Verso le cinque e mezzo di questa sera sventuratamente mi sono imbattuto nel Preside… la sua vista mi ha fatto ricorrere al pensiero la gravezza della ferita che con lo espellermi dal Convitto egli aveva recato al mio onore e in un momento di cieco sdegno ho brandito la pistola di cui ero provveduto e gliel’ho scaricata sul petto e poi gli ho portato diversi colpi con un coltello a molla, pienamente deliberato a spegnere una vita, che era la sola causa della mia rovina.
– Ho sentito dire in giro, ma lo verificherò subito, che la mancanza che avete commesso sarebbe ben più grave di come dite…
– La mancanza non è stata che la causa apparente, la causa vera era che egli, espellendo me, voleva far posto ad un tale Gustavo da Domanico, antico servitore e protetto del suo amicissimo don Saverio Albo.
– È che siete stato convocato in Questura perché avevate minacciato di morte il Preside?. È esatto?
– Sette od otto giorni fa fui chiamato dall’Ispettore Pasquale Trisolini ed ammonito perché cessassi dalle minacce che egli diceva che io pronunziavo contro il Preside. Le minacce non erano punto vere ed io risposi smentendole, come le smentisco ora.
– Mi sembra chiaro che, essendo uscito di casa con la pistola ed il coltello, avete premeditato il delitto…
– Portavo quelle armi soltanto a difesa della mia persona e non nell’intento di attentare a quella del Preside. Vi dico questo con la stessa serenità con cui vi ho detto che, tratto da subita ira alla vista del Preside, l’ho investito con quelle armi con l’animo deliberato di togliergli la vita e con la stessa sincerità con cui vi ho detto e vi ripeto che in quel momento io non ero affatto ubbriaco ed avevo, anzi, intiera la coscienza di quel che facevo.
– Ma per fortuna non siete riuscito ad ucciderlo. Avete altro da dire a vostra discolpa?
– A mia discolpa può attestare il mio irreprensibile comportamento nel Convitto durante il tempo che vi son rimasto… – poi ci pensa su un attimo e continua – possono sentirsi Don Pasquale Monaco, Don Beniamino Miceli e Don Gabriele Caracciolo…
L’Ispettore di Pubblica Sicurezza Pasquale Trisolini, interrogato, conferma che Corritore ha negato di aver minacciato il Preside e dice che a riferirgli delle minacce non fu il Preside, ma l’Economo Alessandro Gatti, poi aggiunge:
– Corritore, dopo aver respinto le accuse, disse che sperava ancora di essere riammesso al posto lasciato, augurandosi che il Consiglio di Amministrazione gli avrebbe fatto ragione. Posteriormente all’ammonizione fatta a Corritore ho visto anche il signor Gatti ed il signor Preside, ma né con l’uno, né con l’altro ho tenuto più proposito delle minacce in parola.
Il Giudice Istruttore però si è sbagliato nella valutazione della salute del Preside perché Ferdinando Balsano muore il 10 novembre, per effetto della ferita di arma da fuoco che ha leso il polmone e sue necessarie patologiche conseguenze. Adesso per il suo assassino sono davvero guai molto molto seri e le deposizioni che il Magistrato raccoglie non fanno che rendere la sua situazione a dir poco drammatica perché c’è in ballo la pena di morte.
– Fin dal mese di agosto, in compagnia del Preside, di altri Professori e degli alunni, sono stato in Rogliano a villeggiare – racconta don Saverio Albi, professore del Liceo –. Nel settembre i camerieri e l’altra servitù del Convitto cominciarono ad avvertire delle mancanze commesse dal refettoriere Nicola Corritore, mancanze contro il buon costume, mentre si permetteva di far entrare nel luogo di dimora dei convittori donne di piacere, non solo di notte ma anche di giorno. In sulle prime il Preside non ci ha voluto credere, ritenendole voci sparse ad arte dai camerieri e dagli altri individui addetti al servizio del Convitto per livore contro Corritore. Però, ben presto, il signor Preside si è dovuto convincere delle gravi mancanze di Corritore ed infatti il Preside, in mia compagnia, lo ha sorpreso un giorno racchiuso in uno stanzino di seguito al refettorio con una donna di perduta condotta. La sera dello stesso giorno, mentre noi professori eravamo a cena, cercò d’introdurre la medesima donna, credendo che noi eravamo, giusto il solito, rientrati nelle nostre stanze. Da’ suaccennati fatti tutti noi altri professori ci trovammo nella posizione di dover pregare il Preside a mandare via Corritore, mentre la di lui condotta era di sommo pregiudizio alla disciplina del Convitto ed anche perché il luogo da noi occupato per estivare, essendo mal sicuro, avrebbe potuto il Corritore permettere a scorritori di campagna l’entrata nel locale medesimo. Così il Preside fu obbligato di sospendere il refettoriere e quindi, avendolo riferito al Consiglio di Amministrazione, venne espulso. Dopo l’uscita di Corritore, in Rogliano si è saputo di aver lasciato de’ debiti non solo in Rogliano, ma anche in Cosenza, mentre egli, dopo aver introitato il denaro, prendeva a credito i commestibili e quanto altro occorreva al Convitto.
– Avete inteso parlare di minacce fatte da Corritore al Preside?
– Ne ho inteso parlare dopo l’avvenuta disgrazia…
– Diverse volte Nicola Corritore, dopo di essere stato licenziato, si presentò al Liceo dicendo che voleva parlare col Preside, ma io non l’ho mai fatto penetrare nella stanza del Preside perché non mi persuadeva il suo brusco atteggiamento – racconta il bidello Luigi Cipparrone, che continua – lo stesso Preside mi disse di essere stato minacciato di morte da Corritore e m’incaricò di licenziarlo ogni volta che avesse domandato di lui.
Licenziato Corritore, al suo posto è stato nominato Gaetano Riggio da Domanico. Domanico, il paese di don Saverio Albi e di quel tale Gustavo indicato dall’imputato. Ma ha sbagliato il nome di battesimo, è solo una coincidenza il paese di origine o è una insinuazione per giustificare il suo risentimento verso Ferdinando Balsano? Intanto Riggio, interrogato, racconta:
– Nei primi giorni del volgente mese di novembre, il Preside, stando a tavola, mi disse: “guardiamoci perché Corritore non solo minaccia di uccidere me, ma anche a te”. Le minacce contro il Preside derivavano per essere stato licenziato, ma contro di me non potevano avere altro fondamento che il dispetto per averlo provvisoriamente sostituito.
La cosa curiosa è che Gaetano Riggio, che deve gestire acquisti e fare pagamenti, dichiara di non saper né leggere e né scrivere.
– Nicola Corritore si permetteva di far entrare nel luogo di dimora de’ convittori in Rogliano donne di piacere, non solo di giorno, ma anche di notte. Le prattiche scandalose di Corritore furono scoperte anche dagli alunni e quindi assolutamente si dovette adottare contro di lui le misure di rigore. In quell’occasione non mancò di eruttare minacce di morte contro il Preside e, fra le altre, si è notato di aver detto alla stiratrice Pasqualina Caruso: “il Preside mi à licenziato ed io lo ammazzo”. Corritore andava sempre armato di coltello a molla e di pistola – dichiara Luigi Grillo, cameriere del Convitto.
Pasqualina Caruso, chiamata in causa, smentisce Grillo riguardo la minaccia di morte:
– Io la facevo da stiratrice pel Convitto quando villeggiava a Rogliano. Verso la fine di settembre venne in mia casa Nicola Corritore e mi disse che recavasi in Cosenza. Richiestolo del perché, mi rispose tutto sdegnato: “il Preside mi ha licenziato, ma a Cosenza ce la vedremo!”. Io cercai calmarlo e persuaderlo che se avesse interposto qualche persona a parlare in suo favore col Preside, questi lo avrebbe riammesso. Ma egli, ostinato e dispiaciuto, si riprese il fucile e se ne andò via.
“Ce la vedremo!”. Potrebbe, si, essere una minaccia, ma potrebbe anche aver voluto dire che avrebbe fatto intervenire qualcuno per rientrare e vincere la battaglia in questo modo. Chissà.
Dopo tutto questo, il reato viene rubricato come omicidio qualificato assassinio per premeditazione e Nicola Corritore viene chiamato a risponderne davanti alla Corte d’Assise di Cosenza il 17 marzo 1870.
Il dibattimento non presenta sorprese e quando l’avvocato di parte civile ed il Pubblico Ministero terminano le loro arringhe con la richiesta della pena capitale, l’immenso pubblico, che è quasi stivato nella grande sala della giustizia, manifesta clamorosissimi applausi. La difesa dell’imputato insorge temendo che la giuria non conservi la perfetta calma e l’indipendenza necessaria, tanto più che le manifestazioni sono ripetute altre volte fino al termine del riassunto del Presidente.
Quando il Presidente della Corte legge la sentenza nell’aula gremita regna un silenzio irreale e sembra che nessuno respiri:
Letto il verdetto de’ giurati, col quale il Corritore è stato dichiarato colpevole di assassinio per premeditazione.
Considerando che un crimine siffatto è punito con la pena dell’ultimo supplizio.
Considerando che il condannato è tenuto ai danni ed alle spese verso la parte civile ed al pagamento delle spese del procedimento in favore dell’Erario Nazionale.
Condanna Nicola Corritore di anni 33 alla pena di morte, al ristoro de’ danni in pro della parte civile ed al rimborso delle spese del procedimento in pro alla parte civile e dell’Erario Nazionale.
Poi scoppiano le urla di giubilo del pubblico e l’aula deve essere sgombrata.
Nicola Corritore ricorre per Cassazione e il 2 giugno 1871 la Suprema Corte accoglie con rinvio uno dei motivi proposti, rimettendo gli atti alla Corte di Assise di Catanzaro.
Qui la causa viene fissata al 7 settembre 1872, ma il risultato è uguale: pena di morte. Parte immediatamente un nuovo ricorso per Cassazione ed il 28 luglio 1873 le speranze di Nicola Corritore vengono deluse, il suo ricorso viene rigettato e si aspetta solo l’esecuzione della sentenza.
Ma le speranza di Nicola Corritore si riaccendono quando le carte del processo finiscono sulla scrivania di Vittorio Emanuele II il quale, con Reale Decreto del dì 31 ottobre 1873 si degnò di commutare la pena di morte inflitta a Nicola Corritore in quella dei lavori forzati a vita.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.