CI SPOSIAMO A DICEMBRE

Giovannina Tangari è di San Giovanni in Fiore ma abita a Cerenzia, dove si è sposata, e nel 1942 rimane vedova con tre bambini da crescere. Trova lavoro a Moccone e qui conosce Luigi Granieri, che comincia a corteggiarla romanticamente. Giovannina è confusa, non sa se accettare la corte, Luigi le piace ed il cuore le dice di si, ma la gente ed i parenti del marito potrebbero condannarla come puttana e poi ci sono i tre bambini, come la prenderebbero?

– Luì, lasciami in pace, non è cosa per me, sono vedova e ho tre figli a cui badare ed assicurare un futuro…

– Ma io ti amo e voglio sposarti! – insiste. Dai e dai, Giovannina si convince a seguire la strada del cuore e i due iniziano la loro storia d’amore. È la fine di ottobre del 1942.

I due sono così innamorati, che anche per i più bigotti è un piacere vederli tubare come piccioncini. Dopo appena un mese per Giovannina arriva una sorpresa che la lascia senza parole:

– Ci sposiamo a dicembre, adesso dobbiamo fare le carte! – dice Luigi con un sorriso da un orecchio all’altro. Quando le carte sono pronte, il 7 dicembre i due vanno dal parroco di Cerenzia per le pubblicazioni di matrimonio e poi al Municipio a presentare tutto, ma la data delle nozze slitta per i tempi tecnici delle pubblicazioni.

In Sila i lavori per la stagione invernale si fermano e Giovannina torna a Cerenzia con Luigi a bordo di un carro trainato da due buoi. Comincia così la loro vita more uxorio che, tuttavia, dura solo pochi giorni perché Luigi, lasciati il carro ed i buoi a Giovannina, se ne va a Camigliatello presso tale Giulia D’Ambrosio, con la quale da vari anni è in intimi rapporti e con la quale ha procreato due figli.

Passano più di due mesi, siamo ormai a marzo 1943, quando a casa di Giovannina si presenta un uomo, Francesco Lettieri, che dice di essere stato incaricato dal proprietario del carro e dei buoi, tale Luigi Gervasi, e ne chiede la restituzione.

Mi dovete rimborsare le spese per il mantenimento degli animali – gli risponde Giovannina. Dopo un fastidioso tira e molla, i due si accordano per seimila lire ed il carro con gli animali vengono consegnati a Lettieri.

Sembrerebbe che questo episodio non c’entri nulla con la storia di Giovannina e Luigi, ma non è così perché Francesco Lettieri a Cerenzia è andato proprio con Luigi, il quale ha pensato bene di non farsi vedere a casa della sua promessa sposa. Ma a Cerenzia, come in ogni altro paese, anche i muri hanno gli occhi e la gente non passa inosservata, così qualcuno va da Giovannina a chiedere come mai il convivente non è andato a casa sua. Giovannina alla notizia resta sorpresa, poi avvilita e poi nera di rabbia, così approfitta di un paesano che sta andando a Camigliatello e va a trovare il promesso sposo.

– Dobbiamo fissare la data del matrimonio, adesso! – gli dice a muso duro.

– Ma…

– Ma che ma e ma! Luì, un fissiare!

– Stai tranquilla, sistemerò tutto quando tornerai in Sila e ti prometto che ti troverò anche un’occupazione – la tranquillizza abbracciandola e baciandola.

Giovannina, rasserenata, torna a Cerenzia a prendere i figli e la sua roba e il 20 marzo riparte per la contrada Cupone dove, come promesso, Luigi le ha trovato lavoro come panettiera e commessa nello spaccio del posto. Ma qualcosa tra i due è cambiata perché Luigi non si sistema nella stessa baracca con Giovannina, ma la va a trovare solo di notte e ogni volta lei gli ripete la richiesta di legalizzare la loro unione, tanto più che è rimasta incinta. A questa rivelazione, Luigi non trova altre parole che queste:

Potrei fornirti delle erbe onde provocare l’aborto

– Provocare l’aborto? Luì, ci dobbiamo sposare se no ti ammazzo! – Luigi prudentemente non risponde e continua ad andarla a trovare di notte ed a sentirne ogni notte le lamentele e le minacce di morte.

Anche la sera del 9 luglio 1943 Luigi va a casa di Giovannina e come al solito mangiano insieme. Stranamente questa volta lei non gli dice una sola parola sul matrimonio e Luigi tira un sospiro di sollievo, poi si stende sul letto e iniziano a discutere.

È notte fonda quando nella montagna riecheggiano cupi quattro colpi di rivoltella. Da una baracca esce una donna, che a passo svelto va a bussare alla porta della baracca della milizia forestale:

– Mi chiamo Giovannina Tangari e con questa rivoltella ho appena ucciso il mio amante Luigi Granieri – dice porgendo l’arma al milite che le ha aperto la porta.

– Come? – fa il milite, incredulo.

– Gli ho sparato quattro colpi alla testa… il primo mentre dormiva

Quando i Carabinieri, il Pretore di Spezzano Sila ed il medico legale arrivano sul posto, trovano il cadavere di Luigi steso sul letto senza giacca e senza scarpe e si rendono subito conto che solo due dei quattro colpi esplosi hanno centrato la vittima alla testa: uno alla regione auricolare sinistra e l’altro alla regione preauricolare destra. E questo vuol dire che Giovannina ha detto la verità perché, infatti, non è facile colpire un uomo con due colpi in tali parti vitali della testa se l’uomo è seduto, tanto meno facile se l’uomo è in piedi. Inoltre, dai caratteristici margini bruciacchiati delle lesioni potrebbe con certezza dirsi che l’arma fu quasi appoggiata sulle regioni colpite.

– Come mai era sul letto vestito? – Chiede il Pretore a Giovannina.

– Dopo mangiato si stese sul letto e parlammo, si fece notte alta e così decise di restare a letto. Neppure io mi spogliai per coricarmi…

– Come avete fatto a sparargli?

– Luigi dormiva profondamente, io gli tolsi delicatamente la pistola da sotto il guanciale e gli sparai il primo colpo

– La rivoltella era vostra? Dove la tenevate?

– La rivoltella era sua, se l’era tolta e l’aveva messa sotto il cuscino come faceva sempre, poi si addormentò…

– Perché lo avete ucciso?

Era una situazione protrattasi per molti mesisi era opposto al matrimonio perché ho tre figli, dopo la vita passata in comune, mi capite? Ogni volta che lo vedevo speravo che ci ripensasse dopo avermi posseduta e resa incinta, poi le delusioni che seguivano i rifiuti

Ma sulla rivoltella sembra che Giovannina menta, sia perché la madre e l’altra amante di Luigi (che è anche incinta di lui) depongono che non aveva mai avuto armi, sia perché aggiungono di avere appreso direttamente da Giovannina che camminava sempre con il coltello e la rivoltella, che portava nascosta nel petto. Poi ci sono altri due testimoni che dicono di essere stati incaricati da Giovannina di acquistare per essa proiettili di pistola, cosa che però, precisano, non fecero. Comunque, a prescindere da queste deposizioni, gli inquirenti sono convinti che sia del tutto inventato, o almeno impossibile, che la donna avesse potuto, anche se una pistola il Granieri avesse posto sotto il guanciale, togliergliela senza che se ne accorgesse.

Quando la interroga il Giudice Istruttore, Giovannina cambia completamente versione:

– Non è vero che dormiva e malgrado fosse sveglio riuscii a togliere l’arma da sotto il guanciale. Ci fu una lotta tra noi due perché Luigi cercava di disarmarmi e fu proprio in questi momenti che lui premette sul cane dell’arma, facendo così partire un colpo che lo attinse. Dopo di ciò, stando sull’uscio della baracca esplosi gli altri colpi, che tutti lo attinsero

Ma siccome i rilievi svolti sulla scena del crimine dicono che il fatto non può essersi svolto così, probabilmente si tratta di un maldestro tentativo di avanzare lo stato di legittima difesa e evitare l’aggravante della premeditazione, che puntualmente arriva, senza calcolare che, se davvero fosse andata come sta raccontando Giovannina, dopo che Luigi era stato già ferito e non poteva porre in essere alcun fatto che costituisse pericolo di offesa per l’imputata, che bisogno c’era di sparargli altri tre colpi?

L’accusa, a questo punto, è di omicidio doppiamente aggravato dalla premeditazione e dalla minorata difesa ed è con questa terribile accusa che viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. Il dibattimento è fissato per il 24 febbraio 1944 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva: non c’è ragione alcuna di porsi in dubbio che la Tangari esplose i quattro colpi di arma da fuoco mentre Granieri dormiva. E non deve essere trascurato un rilievo di carattere psicologico ai fini di accertare la sussistenza delle aggravanti contestate. Si è sempre ripetuto che certi mezzi per la consumazione di delitti sono più delle donne che degli uomini: così l’uso di sostanze venefiche, così pure la uccisione durante il sonno. È più facile per una donna consumare un delitto di omicidio mentre l’uomo dorme anziché mentre questi è sveglio: la differenza di forza fisica tra l’uomo e la donna spinge questa a consumare il delitto quando dorme. Un brutto esordio per Giovannina perché con questo ragionamento la Corte sembra orientata a confermare la premeditazione, ma poi precisa: deve però negarsi che nel fatto attribuito alla imputata ricorra l’aggravante della premeditazione, anche se non può negarsi siano gravi i risultati accertati dei fatti che, ragionevolmente, potrebbero far ritenere abbia la Tangari agito con quel più di dolo che costituisce la caratteristica della premeditazione. Non può negarsi che l’imputata, parlando con alcuni testi, abbia detto che avrebbe ammazzato Granieri se questi non avesse legalizzato la situazione con il contrarre con essa matrimonio, come non può negarsi che abbia cercato di procurarsi dei proiettili per pistola, incaricando due testi di farne acquisto; come non può dubitarsi che la rivoltella con cui fu consumato il delitto ad essa apparteneva e non fu tolta da sotto il guanciale. Ma tutti questi elementi, considerati nel loro insieme, non danno il sicuro convincimento che la Tangari abbia premeditato di uccidere Granieri. A dare vita alla premeditazione non è sufficiente vi siano dei segni esteriori, i quali facciano ritenere che vi fu una preparazione del delitto poiché non vi è, normalmente, delitto per cui non vi sia stata una preparazione. Continuando nel ragionamento, la Corte è certa di non riscontrare nel delitto gli altri elementi tipici della premeditazione: l’elemento psicologico, cioè la riflessione inerente al proposito criminoso protratta nel tempo, e l’elemento cronologico. Ed è su quest’ultimo che la Corte si sofferma maggiormente per dimostrare che non può dirsi che le minacce di morte che essa fece costituissero un segno rivelatore del proposito omicida che in essa si era formato. Non va, a questo riguardo, trascurato il rilievo che non a tutti coloro ai quali ebbe a manifestare l’idea di sopprimere Granieri, ebbe a dire quando avrebbe ucciso, se le nozze non fossero state celebrate. Non vuole la Corte affermare l’improbabilità di avere una premeditazione condizionata, vuole soltanto affermare che il fatto stesso di far dipendere da una condizione, da un avvenimento incerto la consumazione di un delitto, dà la prova che non vi è ancora una precisa e ferma risoluzione a consumare il delitto. Anche il distacco di tempo tra il momento in cui le parole di minaccia furono pronunziate – marzo 1943 – ed il momento in cui il delitto fu consumato – 10 luglio 1943 – fanno pensare che ancora una precisa decisione alla consumazione del delitto non vi era stata. Tra le due date altre volte la Tangari aveva avuto occasione di incontrare Granieri, diverse volte aveva avuto occasione di avere con lui rapporti carnali ed era rimasta incinta nel maggio 1943, essendosi sgravata nel 19 gennaio scorso, eppure mai la decisione di uccidere Granieri aveva avuto la sua attuazione.

Per la Corte non c’è la prova che Giovannina abbia cercato l’occasione per attuare il proposito di uccidere Granieri. Al contrario, era Granieri che cercava lei e andava a trovarla nella sua baracca. Non c’è nemmeno la prova di quanto tempo prima Giovannina era riuscita a procurarsi i proiettili per la rivoltella, dal momento che nessuno dei due testi ai quali avrebbe dato incarico di procurarglieli ha saputo dare una data, sia pure approssimativa. Ma soprattutto, per la Corte, manca l’elemento principale, preciso della premeditazione: la persistenza nella determinazione, senza che vi sia alcuna incertezza o deviazione. E di incertezze Giovannina deve averne avute, visto che Granieri mai ebbe a dire che non l’avrebbe sposata.

Quindi, se non c’è stata premeditazione, quella maledetta notte deve essere accaduta qualcosa che ha spinto Giovannina al delitto: qualche contrasto, una qualche discussione dovette esserci tra i due. L’uomo, che pure era andato a trovare la donna, non credette fosse il caso di porsi a letto; la donna non credette neppure fosse il caso di invitare l’uomo a giacere con lei. Dovette certamente tra i due essere ripreso l’argomento del matrimonio; dovette l’uomo, ancora una volta, proporre ancora un rinvio ed allora la donna decise di sopprimere Granieri. Ebbe, quindi, dopo ciò la riflessione nel proposito già formato e quando l’uomo fu colto dal sonno il proposito fu attuato. Un breve spazio di tempo trascorse quindi tra decisione ed attuazione del delitto ed in questo breve spazio di tempo non può riscontrarsi alcuna premeditazione.

Ma c’è un fatto nuovo nel dibattimento perché esce fuori che Luigi Granieri in passato fu processato due volte per violenta congiunzione carnale, sebbene ne uscì assolto una volta per insufficienza di prove e l’altra perché il fatto non costituiva reato. I due relativi processi vengono acquisiti dalla Corte, che chiama a deporre Giulia D’Ambrosio, una delle due donne che denunciarono Luigi, nonché sua seconda e contemporanea amante. Giovannina trema, la sua rivale in amore la precipiterà all’inferno?

Era abitudine di Luigi Granieri promettere il matrimonio alle donne che circuiva. L’ha fatta all’altra, poi a me e poi a lei – dice indicando Giovannina – era il suo modo di fare per possedere una donna…

È la svolta, dopo questa testimonianza tutti hanno la sensazione che sul banco degli imputati non ci sia più Giovannina ma Luigi e la Corte, prendendo spunto dalle parole di Giulia D’Ambrosio, traccia la personalità della vittima: le due formule di assoluzione non escludono che Granieri non avesse posseduto le due donne, oggetto della libidine dell’uomo. Una delle due vittime di Granieri, interrogata, dice che era sua abitudine promettere il matrimonio alle donne che circuiva. Questa stessa promessa fece alla Tangari onde potere arrivare a possederla. Era quindi un sistema fraudolento che egli poneva in essere per raggiungere lo scopo di possedere una donna. E continua: quanto fece Tangari nella notte del 10 luglio non è altro che una reazione contro un fatto di larga slealtà di cui fu autore Granieri nei confronti di essa. La Tangari, che dapprima aveva resistito a passare a matrimonio con Granieri adducendo che era una vedova e doveva provvedere al sostentamento di tre figli procreati con il defunto marito, cedette alle lusinghe ed alle insistenze di Granieri di iniziare la vita in comune soltanto dopo che egli aveva provveduto alla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio. Fu così carpita la buona fede della donna la quale, dopo la richiesta di pubblicazioni di matrimonio, aveva tutte le ragioni di ritenere che la promessa sarebbe stata mantenuta. Ma all’adempimento della promessa, come nei confronti delle altre donne, Granieri si sottrasse.

Un fatto, questo, determinante per la sorte dell’imputata e la difesa cerca di approfittarne per raggiungere il massimo possibile e, riprendendo il racconto fatto da Giovannina al Giudice Istruttore, chiede che sia riconosciuta la legittima difesa o almeno la semi infermità mentale al momento del delitto, ma la Corte respinge le richieste, concedendole, in base a quanto ha appena affermato, due attenuanti: quella di avere agito per motivi di particolare valore morale – la difesa del proprio onore – e quella di avere agito in stato d’ira causato da fatto ingiusto della vittima.

Essendo chiara la responsabilità penale di Giovannina Tangari, la Corte deve, cancellata l’aggravante della premeditazione, calcolare la pena tenendo presente l’aggravante della minorata difesa e le attenuanti concesse. Fatti complicati calcoli, la Corte stima equo infliggere la pena di anni 9 e mesi 4 di reclusione, oltre alle pene accessorie, spese e danni.

È il 24 febbraio 1944.

La Corte d’Appello di Catanzaro, l’8 marzo 1950, dichiara condonati anni 3 della pena.[1]

Fatti i calcoli, Giovannina ha scontato un anno in più del dovuto.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.