IL PIEDE NUDO DI CONCETTA

È il 12 novembre 1863, mezzogiorno. In casa di Fortunato Jovino, ventisettenne bracciante di Casole Bruzio, il pranzo è pronto. Seduti a mangiare ci sono Fortunato, la ventunenne moglie Concetta Prato, la suocera Maria Leonetti, e Teresa Jovino, la sorella di Fortunato.

– Il linaro lo avete chiamato? – fa Fortunato, riferendosi a Carlo Colosimo, che sta maciullando lino nel basso sottostante.

– Eccomi! – risponde l’uomo facendo capolino dal cataratto che comunica col basso, seguito dal suo bambino che lo ha accompagnato.

I sei mangiano in tutta allegria, poi Fortunato si alza e, stiracchiandosi, dice:

– Vado dal Sindaco onde sbrigarmi la patentiglia di Guardia Nazionale perché domani devo partire per Cervicati. Ci vediamo più tardi – termina mentre esce di casa.

A questa notizia Concetta cambia espressione, si rabbuia in viso e senza dire niente si mette a sparecchiare, Colosimo ridiscende nel basso con il figlio per continuare il lavoro, Maria torna a casa sua e Teresa esce davanti alla porta per fare quattro chiacchiere con le vicine.

Concetta, non appena finisce di rassettare, scende nel basso e si mette a giuocare e divertirsi col bambino del linaro, baciandolo e abbracciandolo tanto stretto da farlo piangere.

Acquietatevi, ve ne prego – le dice Colosimo, chiamando a sé il figlio per farlo calmare. Concetta, senza dire una parola, si blocca e si siede in un cantuccio ad osservare il lavoro e dopo qualche minuto risale in casa attraverso il cateratto, si affaccia alla finestra e vede passare il cuginetto Giuseppe Mancuso:

– Peppì! Peppino! – gli urla.

– Che vuoi? – le risponde sorridendo.

Peppì, porta sta sacchetta a mamma mia – gli dice lanciandogli un sacchetto. Il bambino lo afferra al volo, sente col tatto che ci sono delle chiavi, saluta e continua per la sua via, mentre Concetta rientra in casa.

In questo stesso istante Fortunato è nel putighino per comprare un sigaro; Teresa, seduta sul gradino di casa, sta chiacchierando con Maria Greco e insieme hanno appena salutato, ricambiate, Peppino Mancuso.

Concetta è in casa, si sente triste e gli occhi le si fanno lucidi. Va nella stanza da letto, si siede sul materasso e con gesti lenti toglie gli orecchini e li posa sul letto; poi si sfila dal collo tre fili di oro e li posa accanto agli orecchini. Tira un profondo respiro mentre asciuga col dorso della mano una lacrima che le sta rigando il viso. Sembra accasciarsi, ma subito, come scossa da qualcosa che le viene da dentro, si rimette a sedere dritta. Poi con calma si alza e va verso la porta. Si ferma. Ciò che cerca, il fucile che suo marito lascia sempre carico, è appeso al muro davanti a lei. Lo prende e lo poggia a terra in verticale: è alto quasi quanto lei. Fa una smorfia e resta pensierosa per qualche secondo, poi vede la sedia accanto. Posa a terra il fucile, si siede e toglie prima la scarpa destra e poi la calza, che lascia lì, quindi si alza, riprende il fucile, arma il cane e rimette in piedi l’arma davanti a lei, poggia la mascella sulla bocca del fucile e, restando in equilibrio sul piede sinistro, solleva il piede destro nudo e poggia l’alluce sul grilletto.

Teresa Jovino e Maria Greco stanno chiacchierando sedute sul gradino di casa quando sentono rimbombare la detonazione che le fa sobbalzare.

Chi c’è in casa mia? – urla Teresa, supponendo che qualche animale abbia fatto cadere il fucile del fratello facendolo esplodere. Con il cuore a mille per lo spavento sale i gradini di casa e nella seconda stanza, la stanza da letto di Fortunato e Concetta, trova la cognata distesa sul pavimento alla supina, immersa nel proprio sangue, col fucile sopra il ventre. Non resiste all’orrendo spettacolo e scappa via urlando. Intanto si è fatta gente ed i più coraggiosi salgono a constatare l’accaduto, mentre qualcuno va a chiamare i Carabinieri che arrivano in pochi minuti e allontanano i curiosi, in attesa dell’arrivo del Pretore di Spezzano Sila. Ma sarà un’attesa vana per tutto il resto del giorno e anche del giorno dopo, nonostante le sollecitazioni del Sindaco. Il motivo? Il Pretore è stato convocato a Cosenza dal Procuratore del re per partecipare alla Commissione sul Brigantaggio. Ed il Vice Pretore? Trovasi fisicamente impedito. Per ovviare al problema si decide di incaricare il Pretore del Mandamento di Celico, che il 14 novembre va a fare un sopralluogo in casa Jovino.

Il cadavere di Concetta Prato giace a terra alla supina, la testa però piegata a lato destro. Sull’addome si vede un fucile a fulminante, verticalmente dai piedi sino al petto. A parte destra del cadavere, che ha il destro piede senza scarpa e calzetta, esiste una sedia sulla quale si vede riposta la calzetta; accanto alla sedia si trova un tavolino sul quale esiste una cosiddetta conocchia ed il fuso con della stoppa di lino. Infine, sul pavimento e sotto il cadavere si vede una gran quantità di sangue.

Poi arrivano i dottori Michele Mangone e Francesco Scarnati per procedere all’autopsia: nella testa si è trovata una ferita prodotta da arma a fuoco, sita sotto l’osso mascellare inferiore, porzione orizzontale destra parte interna, con uscita nella cavità del cranio in corrispondenza della sutura delle ossa fronto-parietali. Sono stati interessati la massa muscolare sottolinguale laterale destra, l’arcata dentaria superiore e porzione della volta palatina parte destra, l’osso mascellare superiore, l’orbita destra e sua volta ed il lobo anteriore dell’emisfero destro del cervello.  Morte istantanea.

Se la dinamica del suicidio è chiara, più difficile è individuare il motivo che ha spinto Concetta a togliersi la vita, perché sia i familiari che i testimoni indicano contemporaneamente due elementi che sembrano contrastare tra di loro. Racconta Fortunato, il marito:

Non so trovare  ragione da persuadermi come una tale sciagura mi sia sopravvenuta. Con mia moglie ci amavamo a vicenda, così teneramente da farci invidiare. Non avea altri motivi di dispiacere che quando mi vedea allontanare alla sua vista. Ed io perciò sospetto che, vivendo a me tanto affezionata, e siccome Mariantonia Mazzei, vedova di Antonio Leonetti, credendo che io fossi stato  consenziente coi briganti alla uccisione di suo marito, spesso spesso m’imprecava dicendo a mia moglie che la stessa cosa le fosse avvenuta. Mia moglie, ripeto, che nel semplice sentirmi nominare piangeva di tenerezza, non potendo più soffrire il dispiacere che le si dava nel sentirmi imprecare e vedendomi in procinto di partire, sorpresa da estrema collera, avesse risoluto di acquietarsi rendendosi suicida.

I coniugi si amavano a dismisura. Dispiacere di sorta Concetta non avea, tranne di quello quando sentiva parlare male del marito e siccome Mariantonia Mazzei attribuiva a costui una specie di complicità nella uccisione del marito, spesso imprecava dicendo a Concetta di vederla vedova come lei… – conferma Teresa Jovino.

Anche Carlo Colosimo, il linaro, conferma:

Posso assicurarvi che l’affezione tra marito e moglie era stragrande. Invidiabile era l’amore de’ parenti. Si vuole che una certa Mariantonia Mazzei, imprecando il marito, di cui Concetta vivea troppo tenera, fosse stata la causa del dispiacere da togliersi la vita

La stessa cosa raccontano i genitori di Concetta e le zie Carolina e Maria Gaetana Leonetti, che aggiungono particolari interessanti:

Tra me considerando onde fosse potuta nascere tanta sventura, l’attribuisco alla soverchia sensibilità e sincero amore di Concetta verso il marito ed alle frequenti imprecazioni di Mariantonia Mazzei, vedova di Antonio Leonetti, mio fratello… – dice Carolina.

Già sapete che nella scorsa està, dalla comitiva Monaco venne in Regia Sila barbaramente ucciso il mio fratello Antonio Leonetti, marito di Mariantonia Mazzei. Costei, credendo che Fortunato Jovino, marito di mia nipote Concetta Prato, avesse avuto scienza di quel fatto criminoso senza avvertirlo, spesso spesso imprecava Concetta dicendole che desiderava vederla come lei

Quindi Fortunato Jovine sarebbe stato complice della banda del famigerato Pietro Monaco e di sua moglie Ciccilla Oliverio nell’omicidio dello zio acquisito e questa convinzione avrebbe causato una specie di tortura psicologica da parte di Mariantonia Mazzei nei confronti di Concetta Prato, una ragazza evidentemente molto fragile, tale da indurla al suicidio.

Ma gli inquirenti ritengono che non ci siano elementi per procedere contro Mariantonia Mazzei e, il 14 febbraio 1864, il Giudice Istruttore, letta la requisitoria del Pubblico Ministero, scrive:

Dagli atti si osserva che Concetta Prato, nel 12 novembre 1863, si tirò nella testa  un colpo d’arma da fuoco che restò esanime. Considerando che nel fatto in esame non concorse colpa o dolo altrui, dichiara non esservi luogo a procedimento penale.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.