I DELITTI DELLA CASSERUOLA

Sono le 5,30 del 14 ottobre 1925 e ancora manca una mezzoretta al sorgere del sole, quando Giuseppe Guglielmelli, 69 anni, appena uscito dalla sua casa sita in via Giovanni Grasso a Pedace per andare a zappare la vigna, sente prima uno strano borbottio provenire da un vicolo poco più sopra e poi le urla. Istintivamente si gira e vede venire verso di lui Giuseppe Magliari che agita scompostamente le braccia e continua, piangendo, ad urlare:

– Mamma… mamma… Zù Giuvanni… ammazzati… ammazzati… io…

– Ch’è successo? – gli chiede andandogli incontro

– Ho ammazzato mamma e Zù Giuvanni – adesso farfuglia.

Guglielmelli, alla fioca luce che viene da dietro le montagne, nota che, in effetti, qualcosa di grave deve essere accaduta perché Giuseppe Magliari è completamente coperto di schizzi di sangue e due rivoli di sangue gli scorrono sul viso. Cerca di fermarlo e farsi raccontare cosa diavolo ha combinato, ma Magliari prosegue il cammino verso la piazza del paese dove, arrivato, si siede sul davanzale di una finestrella bassa.

– Giusè, ma che è successo? – insiste.

Giuseppe Magliari è in evidente stato confusionale, risponde con frasi sconnesse e Guglielmelli riesce a capire solo qualche parola, che però gli fanno piegare le ginocchia:

– Dormivo… una voce… svegliato… una voce… San Pietro… Giusè, mina, mina‘a cassarola

– San Pietro ti ha detto di picchiare con una casseruola tua madre e Zù Giuvanni?

Sini

– E il sangue chi te lo ha fatto?

– Io…

– Calmati adesso, aspettami qui e non muoverti – gli dice, mentre va a vedere cosa è successo a casa Magliari e lungo il breve tragitto incontra Pietro De Donato, al quale racconta ciò che gli ha appena detto Giuseppe. De Donato va in piazza a sincerarsi che Giuseppe sia ancora lì e lo trova ancora seduto sul davanzale, grondante sangue dal capo e con gli occhi stralunati e vitrei. Gli chiede di raccontare che cosa è accaduto, ma Giuseppe non gli risponde. Poi gli dice:

– Dammi la mano e andiamo dal medico – Giuseppe ubbidisce docilmente, ma De Donato non lo porta dal medico, bensì dai Carabinieri.

Il Maresciallo Amato Zangari li accoglie in mutande e, mentre si riveste in fretta e furia per andare a vedere cosa è successo in casa di Magliari, cerca di farsi raccontare qualcosa, ma le frasi sono sempre smozzicate, confuse, a volte apparentemente senza senso. Giuseppe ripete la storia di San Pietro e poi aggiunge:

Mina… mina… alzato… cassarolaZù Giuvannidue botte alla capu… mamma… gridava… tirava… cassarola… due botte a mamma… caduta… pigliata in braccio… sul letto… coperta… io morire… botte… – dice mimando il gesto di colpirsi la testa con qualcosa – no… coltello… rotto… tagliato… non sono morto… nella pancia un verme duro… – continua mimando il gesto di ferirsi all’addome con un coltello. Poi racconta il fatto in vari modi diversi, per esempio racconta che non fu San Pietro a parlargli, ma suo padre che gli disse: “Mi hanno ammazzato!” e che, avendo avuto paura anche per la sua vita, uccise la madre e lo zio. Il Maresciallo, però, ritiene che la versione dei fatti più credibile sia la prima, seppure sembri inverosimile che i due omicidi siano stati commessi con una casseruola. Chiuso Giuseppe in camera di sicurezza, Zangari sta per uscire, quando arriva il Pretore di Spezzano della Sila, tempestivamente avvisato e ancora più tempestivamente arrivato sul posto, così i due, chiamato il medico condotto, vanno insieme a constatare l’accaduto.

Entrando nell’abitazione di Magliari, ad un metro e mezzo dalla porta di entrata si nota una chiazza di sangue del diametro di circa 50 centimetri. A sinistra dell’entrata vi è un lettino ad una sola piazza con le coperte rimboccate, con un guanciale intriso di sangue come le lenzuola. Sulla coperta un calzino di lana. A destra si trova un letto ad una piazza e mezza con una coperta a quadri rossi e bianchi. Sul letto giace, in decubito dorsale, il cadavere di una donna dell’apparente età di anni 60, col capo adagiato sul guanciale di destra. La faccia è tutta intrisa di sangue. Sollevata la coperta, si vedono gli arti superiori incrociati sul seno. Sulla guancia sinistra si nota una lesione che dalla metà dell’orecchio arriva fino allo zigomo. In vicinanza della bocca si notano dei residui alimentari vomitati. Alla parete opposta dell’entrata si appoggia un altro lettino, ove giace il cadavere di un vecchio dell’apparente età di 80 anni colle spalle completamente scoperte. Sul letto si nota una casseruola vuota, alquanto deformata, il cui manico in ferro, completamente intriso di sangue, si trova in mezzo alla stanza, nei pressi di un paniere di fichi. Le due pareti vicine al letto sono chiazzate di sangue fino ad un metro e mezzo al di sopra del letto. Si nota un rivoletto di sangue fluente dal materasso sul pavimento.Il guanciale è quasi coperto di fuliggine nera, staccatasi dalla casseruola. La regione parietale sinistra è alquanto affossata e da una larga ferita, che interessa anche l’osso, fuoriesce la sostanza cerebrale. In mezzo alla stanza, su di una sedia, vi è un coltello da tavola con la lama spezzata ed il manico intriso di sangue.

Incredibile, ma Giuseppe, forse ancora inconsapevole dell’orrore che ha causato, ha detto la verità: ha ucciso la madre e lo zio a colpi di casseruola! Ma è dalle autopsie che emergono la violenza e l’accanimento usati da Giuseppe su sua madre e suo zio. E c’è da inorridire.

Sulla povera donna, il perito riscontra:

Deterso il viso ed asportati i capelli notiamo: 1) sul parietale destro, in prossimità della sutura fronto-parietale, una ferita lacero contusa a margini tumidi, interessante i tessuti fino al piano osseo sottostante; 2) sul temporale destro, al di sopra del padiglione auricolare, una ferita lacero contusa interessante i tessuti ed il muscolo temporale in tutto il suo spessore; 3) il padiglione dell’orecchio destro lacerato; 4) sulla guancia destra e nella corrispondente metà della fronte, contusioni multiple; 5) sullo zigomo sinistro una ferita lacero contusa che con la sua estremità posteriore raggiunge l’orifizio auricolare esterno, scollando il padiglione stesso. Sulla parte destra del cranio notiamo una vasta frattura del temporale e in parte del parietale, del frontale e del mascellare superiore. Vari frammenti ossei sono avvallati in corrispondenza della fossa del temporale. Asportati questi frammenti ed aperta la scatola cranica, la dura madre è intrisa di sangue travasato, però integra nella sua struttura. Asportata la massa encefalica, notiamo frattura della base cranica. Morte praticamente istantanea, entro i primi dieci minuti dalle inferte lesioni.

E sul cadavere del vecchio zio:

Dalle narici cola del sangue nerastro, le palpebre sono serrate ed ecchimotiche. In corrispondenza del parietale di sinistra, attraverso una larga breccia, fuoriesce della sostanza cerebrale; sul sopracciglio, nelle regioni frontale, parietale e temporale di sinistra si notano multiple lesioni lacero contuse. Detersa la regione parieto-temporale sinistra, si presenta una lesione interessante i comuni tegumenti e lo scheletro sottostante: dissecate le parti molli della testa, notiamo che le ossa del frontale, del parietale e del temporale di sinistra sono completamente frantumate, con affondamento nella massa encefalica di vari frammenti. Aperta la scatola cranica, non è possibile estrarre intatta nella sua totalità la massa encefalica. Comunque, rileviamo una vasta frattura della base cranica. Morte istantanea.

Ma chi è Giuseppe Magliari per essere arrivato a compiere una strage così atroce e orrenda? Lo racconta Angelina, una delle due sorelle, al Pretore:

Mio fratello partì nel 1921 per gli Stati Uniti d’America a scopo di lavoro e andò a Lawrence in Massachussets, dove c’è mia sorella Maria Francesca col marito. Nel Natale del 1922 ricevemmo dal Console Italiano una lettera comprovante che per l’incipiente mania suicida di mio fratello, che si era colpito al collo con un coltello, era stato ricoverato in un manicomio. Dimesso dal manicomio, mio fratello fu rimpatriato e accompagnato in paese da un agente di Pubblica Sicurezza in borghese che, il 29 luglio 1924, lo consegnò al Municipio e poi a mio padre. Mostratosi taciturno e poiché non volle risiedere con i genitori trovando la scusa che faceva caldo, lo presi presso di me e vi restò per circa quattro mesi, non dandomi motivo di richiami di sorta. Poi tornò dai genitori e poco o niente volle sapere di lavoro e spesso richiedeva ai genitori del denaro per l’acquisto di non meno di due pacchetti di sigarette al giorno. Per questi motivi vi erano continui lamenti tra i miei genitori e mio fratello. Debbo ritenere che mio fratello abbia ucciso mamma e Zù Giuvanni in un accesso di follia e forse la lite si sarà dovuta originare dal fatto che mia madre l’ha dovuto svegliare poco dopo la mezzanotte, invitandolo a recarsi in montagna, al Colle della Vacca, da nostro padre, che ivi carbonizza, per portare il mangiare, compreso il paniere di fichi e di qui si sarà dovuta originare tutto

– Quindi i genitori lo rimproveravano spesso, se ho capito bene…

Siamo stati tutti di casa sempre arrendevoli verso Giuseppe perché speravamo che si fosse guarito dalla mania. Prima di partire in America, mio fratello era di indole docilissima e molto caritatevole. Dopo emigrato pare che si sia abbandonato a rimarchevoli libazioni di sostanze alcooliche, donde lo squilibrio mentale

Al principio del suo ritorno era taciturno al punto che lo si disse ammutolito – racconta l’anziano padre, distrutto per la tragedia -. A mio figlio piaceva poco il lavoro e spesso mi diceva che doveva bere,mangiare, dormire e fumare, che io avrei dovuto sovvenirlo ed io, nonostante la mia età ed i miei acciacchi, ho continuato a lavorare per sovvenire la famiglia

Che Giuseppe, da quando fu rimpatriato, avesse qualche problema psichiatrico era già noto a tutti e tutti sapevano, per esempio, che dopo un mese dal rientro in paese si buttò da una finestra alta più di quattro metri e circa un mese prima della strage si mise a sparare in aria all’impazzata con una rivoltella da una finestra di casa.

Ma torniamo in caserma, dove Giuseppe viene visitato dal medico condotto Giuseppe Montoro e giudicato guaribile in una decina di giorni e dove cominciano a sfilare i testimoni, i quali ripetono quasi come una cantilena la stessa cosa:

Era poco dedito al lavoro e lo si vedeva per strada sempre a fumare da mane a sera. ha dato segni tangibili di non essere sano di mente, difatti spesso si faceva chiacchierare dai ragazzi che gli facevano codazzo mentre cantava delle canzoni americane. Spesso ha litigato coi genitori, pretendendo denaro per fumare

Giuseppe Guglielmelli, a questa tiritera aggiunge qualcosa:

Conosco Giuseppe Magliari e lo giudico non un pazzo, ma un idiota, poco amante del lavoro, dedito al fumo in modo esorbitante. Andava d’accordo coi genitori soltanto quando costoro gli fornivano i danari per fumare. A dimostrare l’uomo, valga il ricordo che una volta lo vidi fumare con due sigarette e spesso mi ha domandato del tabacco. Spesso, Zù Giuvanni mi diceva che suo nipote qualche volta l’avrebbe ammazzato, pretendendo anche da lui danaro

Anche il Carabiniere Onofrio Cagliari aggiunge qualcosa:

Conosco Magliari per uno squilibrato, al punto che un giorno, al principio che io venni in questa stazione, lo incontrai per via e lo stesso mi disse, con uno sguardo stralunato: “Sopra la terra c’è il sangue!”. Capii di avere a che fare con un anormale e gl’ingiunsi di andarsi a ritirare, cosa che fece in seguito a mia minaccia.

Giuseppe viene trasferito nel carcere di Cosenza e le cose peggiorano perché non è più calmo, ma agitato e aggressivo sia nei confronti degli altri detenuti, che nei confronti dei carcerieri e anche contro sé stesso, tanto da indurre il Direttore dell’Istituto di Pena a sottoporlo a visita medica e poi a scrivere al Giudice Istruttore. È il 5 novembre 1925:

Per gli eventuali provvedimenti di ricovero in un manicomio giudiziario, trasmetto alla S.V. l’unito certificato medico relativo al detenuto giudicabile Magliari Giuseppe il quale, usando violenze contro sé stesso e contro gli altri, non può essere assistito neanche dai piantoni, i quali si rifiutano di sorvegliarlo perché pericoloso. Stamani il Magliari prima ha lanciato diversi oggetti contro i piantoni e poi, con un piatto rotto, si è ferito alla fronte.

Stando così le cose, gli inquirenti ritengono che sia il caso di sottoporre Giuseppe a perizia psichiatrica e l’incarico viene affidato al professor Mario Zalla, Direttore del manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, ed al Dottor Franco Cammarata, alienista nello stesso manicomio.

Percezione lenta, difettosa. Il Magliari va senza dubbio soggetto ad allucinazioni, prevalentemente uditive a contenuto vario e mal definito; molto probabilmente anche ad illusioni e a pseudo allucinazioni: dice di sentire delle “voci” e dei “rumori” senza meglio specificare. Gli atteggiamenti d’attenzione e di difesa in cui viene sorpreso, confermano queste sue asserzioni. L’attenzione presenta grossolane deficienze e possiamo dire che essa è tra le facoltà intellettive più gravemente compromesse; solo con difficoltà e dopo reiterati ed energici stimoli si riesce a portare la sua attenzione su una domanda e mai per un tempo sufficientemente lungo. Questa estrema deficienza dell’attenzione è, nello stesso tempo, causa ed effetto dell’assoluto disinteresse del periziando per tutto ciò che lo circonda: disinteresse veramente mostruoso. La memoria è gravemente disturbata. La coscienza risulta pure disturbata dal disorientamento  che il periziando dimostra, specie rispetto al tempo. Il processo ideativo è incoerente, il giudizio quasi sempre inesatto. Manca abitualmente, nel Magliari, ogni traccia d’emozionabilità: nulla turba la sua profonda apatia. La rievocazione della strage da lui compiuta vien da lui fatta con termini e con atteggiamenti che si potrebbero dire di cinismo illimitato, se non fossero da attribuirsi allo stato di psicopatia che ha travolto la sua primitiva personalità. Naturalmente, la sfera volitiva viene ad essere gravemente compromessa dai disturbi delle facoltà intellettive e da quelli, ancora più gravi e forse primari, della sfera affettiva. Si è dimostrato mal proprio, privo del senso di schifo e di ogni senso di convenienza: più volte ha cercato di masturbarsi in presenza dei custodi e dei ricoverati.

Zalla e Cammarata escludono che l’abuso di alcol durante la permanenza negli Stati Uniti possa avere una qualsiasi relazione con la malattia di Giuseppe, poi  concludono: In atto noi riscontriamo nel Magliari i sintomi di una gravissima psicopatia, purtroppo assai frequente, che colpisce a preferenza individui nel fiore della gioventù. La demenza precoce, di cui sono sintomi fondamentali, presenti ed accentuatissimi nel Magliari, l’indifferenza affettiva, l’apatia, la fatuità, le turbe psico-sensoriali (allucinazioni e pseudo allucinazioni), le idee deliranti assurde, incoerenti, instabili, la perdita di ogni senso d’amor proprio e di dignità. Data questa diagnosi, sulla cui esattezza non abbiamo dubbi di sorta, concludiamo che l’imputato Giuseppe Magliari è affetto da demenza precoce, forma conclamata ed in fase terminale dal punto di vista psichiatrico. Egli, quando commise la strage, trovavasi in pieno stato di psicopatia e non può ritenersi imputabile della strage stessa perché la sua malattia mentale era di tal natura e di tale gravità da toglierli la coscienza e la libertà dei propri atti. Magliari è un pazzo pericoloso e come tale deve essere rigorosamente custodito in manicomio.

È il 23 marzo 1926 e la diagnosi è una sentenza impietosa, un fine pena mai, non in carcere, ma in un inferno peggiore. Amen.

Il 21 maggio 1926, la Sezione d’Accusa presso la Corte d’Appello delle Calabrie, accogliendo la richiesta della Procura Generale, dichiara non doversi procedere a carico di Magliari Giuseppe non essendo egli punibile perché, quando egli commise il fatto ascrittogli, era in tale stato di infermità di mente da non potere avere né la coscienza, né la libertà dei propri atti e dispone che lo stesso Magliari sia scarcerato e, nel medesimo tempo, ricoverato in un manicomio a cura dell’Autorità di Pubblica Sicurezza.[1]

Data la condizione mentale di Giuseppe, la strage, purtroppo, sarebbe stata commessa ugualmente e bisogna dire che i periti, cercando le cause della malattia, ignoravano gli effetti devastanti degli intrugli alcolici che negli anni ’20 del Novecento venivano propinati nei locali clandestini americani, che proliferavano a causa del Proibizionismo, e che causarono decine di migliaia di morti, oltre che di altrettante malattie.

[1] ASCS, Processi Penali.