LA FATALE PUNTA DEL COLTELLO

È la sera del 10 giugno 1938, nella piazza di Roggiano Gravina, Gennaro Paletta sta chiacchierando con Eugenio Salerno quando viene chiamato in disparte da Luigi Iannuzzi, che gli comincia a parlare a bassissima voce e poi, all’improvviso, gli molla due cazzotti in faccia. Gennaro, istintivamente, reagisce dando un calcio al suo aggressore, dandosi poscia a precipitosa fuga. Iannuzzi è furioso, non può sopportare che un pusillanime come Gennaro abbia reagito in quel modo davanti a tutti, lo rincorre e lo raggiunge dopo qualche centinaio di metri, precisamente in Via Vittorio Emanuele nei pressi della casa della guardia municipale Luigi Scalise, ove, urtandolo, lo fa cadere a terra e, messosi a cavalcioni su di lui, lo tempesta di pugni. Per fortuna di Gennaro Paletta sul posto si trova Francesco Nocito che interviene e tira via Iannuzzi, urlandogli:

Lascia stare questo povero giovanotto! – questi brevi attimi danno la possibilità all’aggredito di rialzarsi e tentare nuovamente la fuga. Ma Iannuzzi è una furia e, nonostante sia trattenuto, gli assesta un calcio, urlandogli:

Cornuto, miserabile! Hai avuto il coraggio di tirarmi un calcio!

Gennaro si sente perduto, teme seriamente che una volta libero Iannuzzi gli farà molto, molto male e allora estrae di tasca un coltello e fulmineamente gli vibra due colpi: il primo al ventre ed il secondo, mentre Iannuzzi gira su sé stesso, alle spalle. Poi scappa.

Il ferito viene portato nella vicina farmacia, dove arriva il medico per prestargli le prime cure e si accorge della gravità delle ferite, ordinando che sia immediatamente trasportato all’ospedale del capoluogo per essere sottoposto ad intervento chirurgico.

Lesione da arma da punta e taglio della lunghezza di 5 centimetri sulla regione ombelicale sinistra, con fuoriuscita e perforazione dell’intestino; altra lesione all’angolo scapolare destro, penetrante pur essa in cavità. L’intervento riesce e Iannuzzi riesce anche a rispondere alle domande del Giudice Istruttore:

Mi imbattei in Paletta e questi mi chiese perché mai propalassi che sua sorella avesse avuto rapporti carnali col marito prima di sposarsi. Nonostante negassi di aver mai detto una cosa simile, dandomi del “carogna”, Paletta mi vibrò due colpi di coltello. Al primo colpo caddi, onde Paletta, saltatomi addosso, mi diede il secondo colpo e fuggì… il mio aggressore ha l’abitudine di andare in giro armato di pistola e coltello, come ho potuto constatare

È evidentemente una dichiarazione falsa, fatta forse non dubitando che sta per rendere l’anima a Dio perché, purtroppo per lui, sopraggiunge una peritonite septica e la sera del 13 giugno muore.

La mattina del 15 giugno Paletta si costituisce davanti al Pretore di San Marco Argentano e racconta la sua versione dei fatti:

La sera del 10, mentre passeggiavo con alcuni amici, fui avvicinato da Iannuzzi il quale, trattomi in disparte, mi domandò perché mai, giorni prima, fossi stato in casa della sua amante, ove esso effettivamente mi trovò. Alla risposta che c’ero stato perché chiamato da lei che voleva cinque lire in prestito, che non potei darle perché ne ero sprovvisto, Iannuzzi mi prese a pugni e calci. Cercai di reagire, ma impaurito scappai. Mi raggiunse e mi buttò a terra… dovetti, per liberarmi di lui, che mi era saltato addosso, estrarre un coltello con il quale lo colpii due volte e poi scappai.

Omicidio semplice è il reato che gli viene contestato e per il quale viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza, che esamina il caso nelle udienze del 21, 22 e 24 marzo 1939.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva: Iannuzzi, nel rendere il suo esame, non ebbe altra preoccupazione che quella di aggravare enormemente la responsabilità di Paletta e di volere apparire vittima mansueta ed incolpevole; ma secondo la versione dell’imputato, confortata da testimonianze ineccepibili e dalla logica, che trova valido appoggio nello stesso temperamento delle dramatis personae (violento e capace a delinquere l’ucciso, lavoratore ed onest’uomo l’imputato), quegli si sarebbe comportato da imprudente ed ostinato aggressore. È certo, in punta di fatto, che fu proprio l’ucciso a provocare la quistione. Egli, invero, mentre l’imputato se ne stava a discorrere con i suoi amici, lo chiamò in disparte e dettegli alcune parole a bassa voce, lo aggredì a pugni, come hanno deposto i testimoni. È falso, pertanto, che sia stato l’imputato a chiamare Iannuzzi per chiedergli conto di una pretesa maldicenza a danno della di lui sorella. Già è assai difficile che l’imputato, giovanotto imberbe, appena diciottenne, volesse sfidare la collera di Iannuzzi, ventottenne e capacissimo di atti violenti come rivelano i suoi precedenti penali, ma non è logico che Paletta, la cui sorella da oltre un anno era passata a matrimonio, avesse vaghezza di chieder conto di una diceria circa i rapporti intercorsi tra la sorella ed il di costei marito anteriormente al matrimonio e che, se anche veri (il che è negato) erano stati legalizzati dalle giuste nozze.

Peraltro Paletta, come rilevasi dal suo comportamento, è un pusillanime e non è credibile che desse causa alla quistione. Egli, difatti, si fa schiaffeggiare più volte e tosto che reagisce con un calcio, fugge. Ma la paura gli mortifica la celerità del movimento per cui si fa raggiungere, accoppare e percuotere; liberato dalla stretta dell’avversario per il probo intervento del Nocito, tenta altra volta di fuggire e reagisce solamente quando Iannuzzi gli sferra, per soprassella, un primo ed un secondo calcio onde egli, nel timore di altra violenza, brandito il coltello che asportava, colpisce fulmineamente per due volte e torna a fuggire. È intuitivo che egli, che non ha mai avuto a che fare con la Giustizia, come rassicurano il suo certificato penale ed i Carabinieri, egli, uomo buono e lavoratore, come riconoscono perfino l’ex fidanzata ed il di costei padre, non avrebbe certamente provocato un violento contrasto con Iannuzzi, che il Carabiniere Diona descrive prepotente, ubriacone, vagabondo e sfruttatore di prostituta.

Quindi la versione di Iannuzzi è da rigettare senz’altro come immeritevole di alcuna credibilità. È da pensare, in contrario, che egli, che viveva del ricavato della prostituzione dell’amante, in casa della quale avea trovato pochi giorni prima Paletta, abbia voluto chiedergli conto non del motivo per il quale Paletta si era recato in quella casa (del che tempestivamente non si dolse), ma perché mai avesse rifiutato di dare all’amante quelle cinque lire che ella gli aveva richiesto e, forse, non avendo avuto una risposta che valesse almeno un impegno pel futuro, ricorse alla violenza.

Da questa disamina dei fatti e delle personalità di Iannuzzi e Paletta, sembrerebbe che la Corte si stia indirizzando verso il riconoscimento della legittima difesa, come chiesto dai difensori di Paletta. Ma seguiamo il successivo ragionamento, a partire dal quesito che la Corte si pone: è egli responsabile in pieno, come pretendono i due difensori delle parti civili?

La risposta non può essere che recisamente negativa, a meno che non si voglia chiudere gli occhi alla luce e non vedere la serie di violenze a cui fu ingiustamente sottoposto l’imputato. Il Pubblico Ministero, più umano, ha concluso che compete al prevenuto soltanto la diminuente dello stato d’ira determinato da fatto ingiusto. Evidentemente il pubblico accusatore non ha ben valutato che, quando l’imputato diè di piglio all’arma e ferì, trovavasi, benché fosse stato sottratto alla stretta del suo aggressore, ancora a portata di mano e cioè nella reale possibilità di poter subire ulteriori vie di fatto ad opera del temibile Iannuzzi. Egli non poteva ritenersi al riparo di altre violenze dalla presenza di Nocito poiché, nonostante il di costui buon volere e la di costui opera attiva di paciere, Iannuzzi poté assestargli due calci. Né poteva confidare nella fuga, alla quale non era moralmente né giuridicamente obbligato, poiché poco prima altra fuga si era ad dimostrata, per la maggiore agilità di Iannuzzi nel correre, un mezzo non idoneo a proteggerlo dalla di costui aggressività. Per cui, ineluttabilmente, devesi concludere che nel momento in cui l’imputato ferì perdurava ai suoi danni il pericolo di altre possibili violenze. Consegue che egli agì in stato di legittima difesa.

Sembra fatta per Gennaro Paletta, ma la Corte ha ancora qualche rilievo da fare: la sua difesa, però, fu indubbiamente eccessiva. Egli poteva fare assegnamento sull’aiuto di Nocito e delle persone che al gridio della rissa sarebbero certamente accorse, senz’uopo di rimettere la sua salvezza alla fatale punta del coltello. Col solo rischio di qualche contusione potea limitarsi a scambiare pugni e calci contro altri pugni e altri calci che, eventualmente, per qualche attimo ancora gli sarebbero venuti da Iannuzzi. La sua eccessività diventa manifesta considerando che reiterò i colpi di coltello. E l’eccesso diventa imperdonabile se si tenga presente che egli aggredì la regione dello stomaco ove, come è a notizia di tutti, la poca resistenza del tessuto consente facilmente che l’arma entri in cavità fino ad attingere gli intestini i quali, tosto lesi, determinano a volte, per le impurità che riversano, la peritonite settica. Non occorrono sforzi di fantasia per pensare ch’egli poteva tenere a bada il violento avversario con la sola minaccia a mano armata di coltello o ledendolo in parti non vitali. Non essendosi così comportato, ha ecceduto i limiti della legittima difesa e però l’evento letale deve attribuirglisi a titolo di colpa e credesi equo, valutate le modalità del fatto e tutte le circostanze oggettive e soggettive inerenti a lui e alla sua azione, irrogargli la pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione per l’omicidio colposo, nonché di giorni 15 di arresti per il porto abusivo di coltello. Oltre, ovviamente, a pene accessorie, spese e danni.[1]

È il 24 marzo 1939 e Madrid, assediata dai fascisti di Franco, sta per cadere.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.