LE ANIME PIE DEL PAESE

Graziano Raimondo e Vittoria Gagliardi si sposano a maggio del 1931 a Torre Ruggero, in provincia di Catanzaro. Dalla loro unione nascono tre figli, l’ultimo dei quali viene alla luce tre mesi e mezzo dopo che Graziano è stato richiamato alle armi, il primo aprile 1939, e mandato in Africa Orientale. Poi scoppia la guerra e il 19 maggio 1941 viene fatto prigioniero dagli inglesi, che lo rinchiudono in un campo di prigionia in Kenia, dove contrae la malaria, fino al 15 dicembre 1946. Il viaggio di ritorno è, tutto sommato, breve e arriva in paese il primo gennaio 1947, con la voglia matta di riabbracciare moglie e figli dopo otto anni di sofferenze.

Ma le sue aspettative vengono stroncate sul nascere dalle notizie che i parenti si affrettano a dargli: durante la sua assenza Vittoria ha stretto relazione adulterina col mugnaio Domenico Retirati. Graziano non vorrebbe credere a quella che gli sembra una delle solite calunnie paesane, ma il contegno freddo e indifferente di Vittoria quando lo vede, comincia a far vacillare le sue certezze, certezze che crollano nei pochi minuti che i due sono a contatto, quando Vittoria, mentre raccoglie le sue cose per lasciare marito e figli ed andare ad abitare da sola in una casetta colonica che suo padre le aveva assegnato al momento del matrimonio, gli conferma di non amarlo più e di amare Domenico.

Graziano e Vittoria si dimostrano persone sensate, così vanno da un avvocato in un paese vicino e sottoscrivono una scrittura privata nella quale stabiliscono che i figli resteranno col padre, che Vittoria rinuncia agli alimenti e che ciascuno dei coniugi non dovrà interessarsi dell’altro. Ma, nonostante questa dimostrazione di civiltà che sancisce uno stato di fatto condiviso dai due, i genitori e la sorella di Vittoria insistono con avvertimenti e rimproveri, perché torni a casa con marito e figli, facendo cessare lo scandalo suscitato dalle quotidiane visite del mugnaio.

Graziano, da parte sua, sembra essersene fatto una ragione e, seppur invalido di guerra, aiutato da sua madre, impiega ogni sua energia per la cura e il mantenimento dei tre figliuoli. Certo è che non possono fargli piacere le parole che la gente sussurra quando passa per le vie del paese e, man mano che i mesi passano, comincia a pensare ad una possibile riconciliazione con Vittoria, ma il suo progetto viene ostacolato dal mugnaio il quale, più volte invitato a cessare la relazione, si oppone fermamente. Allora Graziano, visto fallire il progetto, tenta di emigrare clandestinamente in Francia per rifarsi una vita lontano dal paese, ma il tentativo fallisce e rischia anche di essere arrestato. E se è andato tutto storto per la Francia, magari andrà bene il tentativo che si appresta a fare per andarsene in Argentina. No, tutto viene bloccato da una lettera che gli arriva da un suo congiunto emigrato a Buenos Aires, che gli prospetta le difficoltà di poter ivi emigrare.

Adesso Graziano è depresso e a farlo andare sempre più a fondo contribuiscono alcune cose che gli accadono in paese. Un giorno incontra Vittoria e resta sorpreso dal vederla in avanzato stato di gestazione, poi le confidenze delle anime pie del paese che gli riferiscono le parole, evidentemente di scherno, che il mugnaio va dicendo: “se il nascituro sarà maschio lo chiameremo Graziano e se sarà femmina, Graziella!”; e poi che dire del contegno spavaldo ed arrogante del mugnaio che, passando ogni giorno davanti casa di Graziano, gli rivolge frizzi e motti salaci?

Lo stato di abbattimento di Graziano, col passare dei giorni si tramuta in uno stato d’animo tempestoso ed è in tale situazione gravida di furori iracondi che il reduce comincia a maturare il disegno di vendicarsi dell’onta subita, sopprimendo sia il mugnaio che Vittoria.

Graziano va a Chiaravalle e compra quattro cartucce calibro 12, con pallini N. 4, che serviranno per caricare il fucile trovato tempo prima in campagna e aspetta l’occasione giusta. L’occasione giusta si presenta il 23 settembre 1949, dopo aver studiato per bene le abitudini del mugnaio, che solitamente va al suo mulino a cavallo di un asino verso le 2,30. Quando lo vede avvicinarsi imbraccia il fucile e aspetta che gli arrivi ad una ventina di metri, poi prende la mira e gli scarica addosso tutti e due i colpi, freddandolo all’istante. Con calma toglie i bossoli, ricarica l’arma con le altre due cartucce e si avvia verso la casetta colonica dove abita Vittoria. Aspetta che faccia giorno e che Vittoria esca di casa. La osserva mentre è intenta a distendere sull’aia del granone da essiccare, aiutandosi con un mastello. Prende accuratamente la mira e le scarica addosso i due colpi, freddando anche lei all’istante. Poi si mette il fucile in spalla e con passo lento va a Chiaravalle dove si consegna ai Carabinieri, confessa il duplice omicidio e ne spiega le ragioni, cioè di avere agito per vendetta.

Concluse le indagini, Graziano Raimondo viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro per rispondere di duplice omicidio aggravato dalla premeditazione. Il dibattimento si tiene il 25 marzo 1950 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva che, siccome il duplice omicidio commesso da Raimondo è tenuto insieme dalla identità del disegno criminoso in quanto unica è stata l’ideazione originaria dei due delitti, pur estrinsecandosi in una pluralità di atti solitari, ne consegue che Raimondo, anziché di duplice omicidio, deve rispondere di omicidio continuato, aggravato dalla premeditazione, di cui ricorrono tutti gli elementi caratteristici. Ma, accanto a questa aggravante, nel fatto delittuoso concorrono circostanze attenuanti a favore dell’imputato. Innanzi tutto la provocazione: Raimondo trascese al delitto in preda all’ira ed al dolore suscitati nel suo animo da una serie di atti provocatori dei due amanti adulteri. Poi l’attenuante di avere agito per motivi di particolare valore morale: col suo atto intese realizzare uno scopo etico, cioè far cessare una scandalosa relazione adulterina che offendeva l’onore, l’amore e la santità della famiglia legittima.

In realtà quest’ultima attenuante è in contrasto con le dichiarazione dell’imputato, nelle quali ha ammesso di avere agito per vendetta, ch’è essenzialmente un sentimento egoistico ed antisociale. Ma la Corte trova il modo di giustificare la propria scelta, affermando che, essendo i moventi di ogni azione umana complessi, lo strumento della vendetta può, come nel caso in esame, essere unito a moventi nobili, cioè quello di ristabilire un principio morale offeso. In ultimo, Raimondo può beneficiare anche delle attenuanti generiche in considerazione dei suoi precedenti incensurati, della sua qualità di reduce ed invalido di guerra, da cui in parte dipese la sua disavventura coniugale, e dei suoi tre figliuoli minorenni.

Adesso la Corte deve quantificare la pena da infliggere a Graziano Raimondo: stimasi equo fissarla per l’omicidio continuato aggravato nell’ergastolo e riducendola, per le tre circostanze attenuanti accordategli, in anni 10 di reclusione, oltre a mesi 3 di reclusione e lire 3.000 di multa e lire 2.500 di ammenda per la detenzione e porto abusivo di arma da fuoco, oltre alle pene accessorie, spese e danni.

È il 23 settembre 1950.

La Corte d’Appello di Catanzaro, il 15 luglio 1954, dichiara condonata l’ammenda di lire 2.500 e la residua pena di anni 3 di reclusione.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.