NEL BORDELLO DI DONNA EVA

Per campare la vita, Rosa Zangaro si prostituisce nel bordello di donna Eva Tripodoro a Rossano e in un bordello di Bisceglie in Puglia. Verso la metà del mese di novembre del 1945 Rosa va a Bisceglie e torna a Rossano un mese dopo, il 19 dicembre, e nel bordello di donna Eva incontra Giovanni Tramonti, quello che, da circa tre anni, si definisce suo “amante”, ma che invece la sfrutta selvaggiamente.

– Che cazzo te ne sei venuta a fare? Perché non mi hai avvisato che tornavi? Ti avrei detto di restare ancora lì per guadagnare di più, lo sai che qui soldi ne girano pochi! Quanto hai guadagnato? – le urla in faccia.

– Seimilalire…

– Seimilalire? Me ne devi dare almeno trenta o quarantamila!

– Non le ho… però ti ho portato qualche capo di vestiario e un orologio… magari, se vuoi, posso darti il grammofono

– Muoviti, dammi quello che hai! – le intima, poi se ne va.

Giovanni la sera stessa torna nel locale di pubblico meretricio di pessimo umore e Rosa gliene chiede il motivo. Tramonti le risponde:

– Mi devi dare di più, domani mattina riparti per Bisceglie e basta!

– Non è possibile, ormai sono qui e devo starci… vieni in camera e facciamo l’amore… – cerca di rabbonirlo, ma Tramonti, scuro in volto come la notte, gira i tacchi e se ne va.

Nel pomeriggio del giorno dopo, lo sfruttatore va nel bordello per chiarire a modo suo la questione, ma ci trova suo fratello e ne rimane tanto conturbato da prenderlo per un braccio e accompagnarlo fuori. Poi rientra e Rosa gli va a chiedere di nuovo il perché del cattivo umore. Tramonti non risponde con parole, ma con uno spintone. Poi, dopo qualche secondo, sbotta:

– Mi devi ridare le mie fotografie, con te non voglio più averci a che fare!

Rosa, meravigliata e dolente per siffatto atteggiamento di Tramonti, per non irritarlo maggiormente si dichiara disposta alla restituzione e si avvia dalla sala comune verso la propria stanza.

– Puttana! Troia! Lorda! – le urla con altre oscenità irripetibili, poi le si avvicina e le dà un altro spintone tanto forte da farle sbattere il viso contro lo spigolo della porta della stanza, che rimane ferita alla fronte ed alla bocca.

A questo punto, sia donna Eva che le altre ragazze del bordello e alcuni clienti cercano di mettersi tra i due per evitare guai peggiori, ma Tramonti, estratta dalla tasca la sua rivoltella, gliela punta contro ed urla:

– Fatevi i cazzi vostri e non muovetevi se non volete una palla! – tutti si paralizzano e nella sala cala un silenzio irreale, interrotto a tratti dai lamenti di Rosa, che è entrata nella sua camera. Tenendo l’arma puntata contro i presenti, anche lo sfruttatore entra e ricomincia ad insultare e minacciare Rosa, sventolandole la pistola a pochi centimetri dal viso insanguinato.

Tramonti sembra un demonio con quegli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata per vomitare insulti; Rosa si tappa le orecchie e chiude gli occhi, mentre il sangue dal mento gocciola a terra. Ai presenti, immobili e terrorizzati, sembra di assistere ad una scena irreale, di vivere ad occhi aperti uno di quegli incubi nei quali si ha la sensazione che qualcuno stia urlando, ma non si sente alcun suono. Poi, invece, il terribile rimbombo di una detonazione e l’odore acre della polvere da sparo riportano tutti alla realtà.

Rosa è stata colpita alla coscia sinistra, ma resta in piedi, appoggiata alla spalliera del letto, nonostante il dolore. Tramonti continua ad urlarle in faccia come un ossesso e a sventolarle la rivoltella davanti agli occhi. I presenti, vedendo Rosa in piedi non hanno ancora capito che è ferita, lo capiscono dopo qualche secondo, quando un rivolo di sangue comincia a scorrerle lungo la gamba e a formare una piccola pozza sul pavimento. A questo punto uno dei clienti si rende conto che da un momento all’altro Tramonti potrebbe piantare una pallottola in testa a Rosa e decide di rischiare il tutto per tutto lanciandosi addosso allo sfruttatore per cercare di disarmarlo, così riesce ad afferrargli la mano armata ma, nella colluttazione, parte un altro colpo. Tutti i presenti, Rosa compresa, si toccano per capire se siano stati colpiti. No, nessuno si è fatto male, il colpo si è conficcato in una parete.

Come d’incanto, Tramonti si calma. È addirittura premuroso verso Rosa, tanto premuroso da andare personalmente a chiamare un medico per farle prestare le cure necessarie. Appena uscito lo sfruttatore, uno dei clienti si precipita a chiamare i Carabinieri, che arrestano l’aggressore.

– Vi giuro che non ho mai avuto intenzione di ammazzarla! – si difende.

– Le modalità del fatto però dicono l’esatto contrario. Potremmo dire che non hai fatto in tempo ad ammazzarla, ma si vedrà a tempo debito. Intanto che ci dici sullo sfruttamento della prostituzione? – gli contestano.

– Quale sfruttamento? Siamo amanti

– E come no! Piuttosto, che ci racconti delle ultime seimila lire di provenienza vergognosa, degli abiti e del grammofono?

– Me li ha regalati. Chiedete a donna Eva che lo sa…

Ma evidentemente donna Eva sa altre cose, perché racconta una verità diversa da quella sperata da Tramonti:

Rosa mi chiedeva sempre di consegnarle i risparmi che mi dava per tenerglieli. Da circa tre anni, cioè da quando i due divennero amanti, Rosa mi confidava che spesso dava del denaro a Tramonti e io posso assicurarvi che quasi tutti i guadagni che ritraeva dalla sua prostituzione andavano a finire nelle mani di Tramonti.

Rosa guarisce completamente in un paio di mesi, giusto il tempo per chiudere le indagini ed ottenere il rinvio a giudizio dello sfruttatore, che dovrà rispondere davanti alla Corte d’Assise di Rossano di tentato omicidio, minaccia a mano armata, sfruttamento della prostituzione e porto d’arma abusivo.

Ma i tempi sono quelli che sono e per iniziare il dibattimento ci vorranno poco più di due anni, il 16 gennaio 1948. Nel frattempo è intervenuto il Decreto Presidenziale 22 giugno 1946, N. 4, la cosiddetta amnistia Togliatti, e i reati di minaccia a mano armata e porto d’arma abusivo sono stati amnistiati.

La Corte, letti gli atti e ascoltati i testimoni, osserva che, in ordine al tentato omicidio addebitato a Tramonti, non può parlarsi di intenzione omicida nel prevenuto in quanto, sebbene costui fosse in possesso di un’arma certamente idonea a procurare la morte anche con un solo colpo e sebbene la distanza brevissima che intercedeva tra il giudicabile e la parte offesa fosse altrettanto idonea al raggiungimento di un esito letale, l’azione di Tramonti si dimostrò diretta unicamente a ledere l’integrità fisica della donna. In effetti egli, allorché fece partire il colpo, diresse l’arma al basso ferendo la donna alla coscia sinistra. Né intenzione più pericolosa e temibile dimostrò dopo la prima esplosione in quanto nulla gli avrebbe impedito, se avesse avuto intenzione omicida, di esplodere subitamente dopo il secondo colpo contro la Zangaro, che continuava a stargli di fronte a limitatissima distanza e invece fu sorpreso dal teste mentre, nel perdurare della sua eccitazione, impugnava l’arma, roteandola in vicinanza del capo della donna, che tuttavia ricopriva di insulti e rampogne. Ne consegue che la imputazione di tentato omicidio debba essere modificata in quella di lesione grave, aggravata per l’arma ed in correlazione a ciò debba essere affermata la responsabilità dell’imputato. In ordine al reato di sfruttamento della prostituzione, la Corte rileva che sono emersi elementi più che sufficienti per affermare la penale responsabilità del prevenuto. Da rimarcare è il fatto che la Zangaro ha molto chiaramente affermato che la ragione del malcontento di Tramonti allorché essa fece ritorno da Bisceglie, era dovuta precisamente al fatto che Tramonti non fu soddisfatto della somma di lire seimila datagli dalla parte offesa, pretendendone una molto maggiore e cioè dalle trenta alle quarantamila lire.

Riguardo alle pene, stimasi giusto partire da anni 5 di reclusione per la lesione grave, da aumentarsi di un terzo per l’aggravante dell’arma. Per lo sfruttamento della prostituzione stima equo partire da anni 3 di reclusione e lire 3.000 di multa. I precedenti incensurati di Tramonti e la sua giovane età, consigliano di concedere il beneficio delle attenuanti generiche, diminuendo di anni 2 e mesi 2 la pena per le lesioni gravi e di anni 1 e lire 1.000 di multa per lo sfruttamento della prostituzione.

Fatte le dovute sottrazioni, la pena resta fissata complessivamente in anni 6 e mesi 6 di reclusione e lire 2.000 di multa, più pene accessorie, spese e danni.

Ma la Corte non ha finito di fare sottrazioni perché dichiara condonati dalla pena anni 3 di reclusione e l’intera multa. Quindi, degli iniziali anni 9 e mesi 8 di reclusione, restano anni 3 e mesi 6.

Il 14 luglio 1950 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Giovanni Tramonti.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano.