MEGLIO UN BICCHIERE DI SANGUE

Domenico Caravetta, trent’anni, sposato e padre di tre tenere creature, è uno dei coloni che lavorano le terre del conte Giannone di Acri. Ma nella primavera del 1934 accade qualcosa che gli stravolge la vita: si invaghisce della giovane e formosa contadina Angelina Zicaro, a sua volta sposata e madre di tre figlioletti. Domenico comincia a perseguitarla con una corte così molesta e tenace che Angelina è costretta, dopo che l’uomo spinge la sua audacia al punto da recarsi in casa sua durante una notte in cui il marito è lontano per lavoro, ad andare dai Carabinieri di Acri per denunciarlo.

Ma, purtroppo, Domenico non demorde e continua a molestare Angelina in ogni modo, costringendola ad andare di nuovo dai Carabinieri, ma questa volta da quelli di Bisignano, per pregarli di farlo smettere. E nemmeno questa volta la cosa funziona.

Il 27 luglio 1934, verso le 14,00, Angelina va di nuovo dai Carabinieri di Bisignano. Il Maresciallo capisce subito che è successa qualcosa di grave perché la giovane ha l’aria sconvolta, i capelli scarmigliati e la camicetta strappata. La fa sedere, le dà un bicchiere d’acqua e lei, tenendo in mano un fazzoletto col quale si asciuga lacrime e sudore, racconta:

– Potevano essere le nove, io stavo pulendo con la zappa i solchi dell’orto vicino alla mia casetta colonica per dargli l’acqua, quando, improvvisamente, arrivò alle mie spalle Domenico Caravetta il quale, dopo aver deposto per terra una bottiglia di vino che portava in mano, e lasciata pure a terra una scure che teneva sul braccio, mi afferrò allo scopo di congiungersi violentemente con me. Io, per difendere il mio onore, essendo riuscita per un momento a svincolarmi, gli assestai due colpi col dorso della zappa, qui – dice mettendosi una mano sulla tempia destra –. Lui stramazzò a terra ed io, dopo aver fatto un breve ritorno a casa per affidare i bambini a mia madre, sono venuta qui a costituirmi…

I Carabinieri, giunti sul luogo del delitto, sito sul displuvio di un bosco della contrada Gallice del Comune di Acri, trovano il cadavere di Caravetta per terra, disteso bocconi in posizione alquanto obliqua lungo il margine di un canaletto d’irrigazione nascosto tra i roveti. La testa è scoperta e la schiena è imbrattata di terriccio, facendo pensare che sia prima caduto supino e poi essersi rovesciato nel momento estremo. Ad una ventina di centimetri dal cadavere c’è il cappello della vittima ed a circa un metro c’è la zappa di Angelina, sporca di sangue sul dorso e sul manico. Poco più lontano, vicino al canale d’irrigazione, ci sono la scure di Caravetta e una bottiglia di birra Peroni piena di vino e chiusa con un turacciolo bianco. Tutto quadra.

A circa 300 metri di distanza dal luogo del delitto c’è il fondo del settantenne Pasquale Vitiritti, all’interno del quale si trova la vasca che serve ad irrigare anche l’orto di Angelina e i Carabinieri vanno ad interrogarlo:

– È venuta stamattina verso le otto e mezza per chiedermi di aprirle l’acqua e aveva la zappa. Abbiamo parlato per qualche minuto e, su mio invito, ha raccolto delle pere, poi se ne è andata per innaffiare l’orto…

Poi il Maresciallo va a casa di Caravetta per dare la triste notizia e per ricostruire i movimenti della vittima nella mattina.

– È uscito di buona mattina per recarsi a legnare nel bosco qui vicino, ad un quarto d’ora da dove lo avete trovato – dice, piangendo, la moglie –. Dopo circa un’ora, giusto l’ordine che aveva avuto in precedenza, lo ha raggiunto nostra figlia, la grande, con l’asino, sul quale Domenico ha caricato la legna tagliata e poi la ragazzina è partita con l’asino per andare a Santa Sofia d’Epiro a vendere la legna, lasciando il padre nel bosco. Nessuno di noi si è preoccupato perché Domenico spesso restava lontano da casa per tutta la giornata… e non è più tornato! – termina, cominciando a battersi il viso e a strapparsi i capelli.

Tutto combacia e tutto viene confermato dalle notizie che i Carabinieri raccolgono: Angelina è una donna onestissima, le notizie su Domenico Caravetta, per il quale tutta la gente della contrada non ha alcuna buona parola, confermano ciò che già si sapeva, ma nello stesso tempo fanno rabbrividire: era un ubriacone che si ostinava a insidiare l’onore di Angelina, nonostante parenti e amici avessero cercato di dissuaderlo dal suo insano proposito e perciò si è, in un certo modo, meritata la sorte toccatagli.

Quando il giorno dopo il Pretore di Acri ed il medico legale arrivano sul luogo del delitto per verificare lo stato dei luoghi e del cadavere, non ancora spostato dalla posizione in cui è stato trovato, sembra evidente che le modalità dell’omicidio non corrispondono con la prima ricostruzione dei fatti. Intanto il Pretore rileva varie stille di sangue anche sul manico e sul taglio della scure dell’ucciso. Il medico legale, da parte sua, accerta che Caravetta ha sul viso e sul capo diverse lesioni: due gravi ferite contuse alla regione temporo-parietale destra, con vasta frattura e profondo avvallamento del tavolato cranico, prodotte verosimilmente da colpo inferto col dorso di una zappa; ben 12 ferite lacero-contuse, di varia lunghezza e profondità, in diversi punti del viso dovute, probabilmente, allo sfregamento violento del volto sul terreno e contro gli sterpi e i detriti del bosco; altre 2 ferite sulla stessa regione del viso, così distribuite: una ferita dall’alto in basso lunga 4 centimetri, a margini netti e ad angoli acuti, sotto lo zigomo destro; un’altra ferita con le stesse caratteristiche della prima che interessa il padiglione dell’orecchio destro e che si unisce alla prima, sì da formare angolo retto. Poi c’è una ferita con le stesse caratteristiche delle prime due nella regione lombare destra. Infine, una ferita a margini netti ed angoli acuti nella zona tra il collo e la clavicola, lato sinistro.

– Queste quattro lesioni sono state cagionate da corpo tagliente, molto probabilmente da una scure – afferma il medico.

Bisogna che Angelina spieghi come sono andate davvero le cose ma, interrogata, conferma punto per punto quanto ha già dichiarato ai Carabinieri, giurando di aver dato solo due colpi col dorso della zappa sulla testa di Domenico. Perché si ostina a negare l’evidenza? Perché, così sospetta il Pretore, al delitto hanno partecipato un’altra o più persone e Angelina sta cercando di coprirla, o coprirle, addossandosi la responsabilità dell’omicidio, che vorrebbe far passare come un delitto d’onore.

Così i Carabinieri ricominciano ad indagare in questa direzione e viene anche sollecitato il custode del carcere di Acri, dove viene rinchiusa Angelina, di riferire sulle manifestazioni della detenuta e dei parenti che vanno a trovarla, in relazione al delitto. Dopo circa un mese, durante il quale vengono raccolte le dichiarazioni dei parenti di Caravetta, secondo cui Angelina non sarebbe affatto la donna onestissima descritta dai Carabinieri di Acri, ma una donna che, dopo avere per lungo tempo avuto relazioni illecite con il morto, si era poi guastata con costui per coltivare simultaneamente una duplice tresca col cognato Natale Fabbricatore e con il vecchio Luigi Guglielmelli, guardiano di campi del conte Giannone.

Messa alle strette, Angelina ritratta la prima versione dei fatti e dice:

Ad uccidere Domenico sono stati Luigi Guglielmelli e Santo Luzzi, altro colono del conte. Io sono stata semplice spettatrice dell’avvenimento e mio cognato Salvatore Fabbricatore sopraggiunse a delitto compiuto.

– Racconta per bene come andò.

– Il mattino del 27 luglio, verso le sette, capitò nella mia casetta colonica, con in mano un bastone, Luigi Guglielmelli, che stimo come un padre. Poco dopo siamo andati insieme all’acquaro e subito sono andata a chiedere l’acqua al vecchio Vitiritti. Dopo essermi trattenuta col vecchio circa una mezz’ora, ritornai all’acquaro portando la zappa sulle spalle. Qui mi raggiunse e mi ghermì improvvisamente alle spalle Domenico Caravetta, che cercò di piegarmi per terra. Era appena riuscito a baciarmi, che ad un tratto sbucò dal bosco, accompagnato da Santo Luzzi, Guglielmelli il quale colpì al capo col suo bastone Domenico, che stramazzò a terra e tentò invano di rialzarsi perché Guglielmelli col suo bastone e Luzzi con la mia zappa continuarono a colpirlo, finché Domenico non si abbatté completamente. Anzi, anche dopo che non dava più segni di vita, Santo Luzzi, imbrandita la scure del morto, continuò a colpirlo. Compiuta la strage, Guglielmelli tolse dalla tasca una bottiglia di vino e la pose nei pressi del cadavere mentre Luzzi, dal canto suo, sciacquata la scure insanguinata, la pose vicino all’ucciso insieme alla zappa. Mi dissero che avevano messo là quella bottiglia per far credere che Domenico era venuto con l’intenzione di farmi bere per poi possedermi e mi dissero anche che del fatto dovevo farmene colpa io sola perché la legge non mi avrebbe condannata in quanto avrei potuto dimostrare, specialmente con la bottiglia sul posto, che avevo ucciso per ragioni d’onore. Dopo di ciò mi mandarono via ed essi si allontanarono.

– Secondo te cosa spinse Guglielmelli e Luzzi ad uccidere Domenico Caravetta?

Luzzi, da più di trent’anni coltiva le terre della contrada Gallice e conosce molto bene il conte Giannone, padrone delle terre. Domenico Caravetta, da circa un anno, avrebbe voluto sfruttare la situazione di Santo Luzzi, sollecitandolo perché costui avesse influito sul conte per far licenziare Guglielmelli e farlo nominare nuovo guardiano al suo posto. Caravetta si confidava con Luzzi perché erano compari, ma Luzzi non lasciava occasione per avversare in sordina i propositi di Caravetta e ciò principalmente perché Luzzi è in ottimi rapporti con Guglielmelli e non avrebbe voluto sostituirlo a nessun costo.

Potrebbe anche essere. Ma, siccome Angelina ha parlato solo marginalmente di suo cognato, bisogna capire se e quale ruolo abbia potuto avere nel delitto. Dalle indagini, risulta che proprio nell’ora in cui presumibilmente è avvenuto il delitto, le otto e mezza del 27 luglio, i parenti di Domenico Caravetta videro Salvatore Fabbricatore avviarsi verso la casetta colonica di Angelina, che adesso deve spiegare per bene la posizione di suo cognato:

Quella mattina venne in casa mia per ragioni di lavoro e non avendomi trovata venne a cercarmi all’acquaro, ma arrivò quando il delitto era già stato consumato, ve l’ho già detto…

Gli inquirenti, prima di procedere ad arresti, hanno bisogno di riscontri e ricostruiscono i movimenti fatti dai tre uomini nelle ore successive al delitto, così notano uno strano viavai. Verso le 13 Luigi Guglielmelli fu visto arrivare, armato di fucile, in contrada Gallice, ove il delitto fu commesso, provenendo da Duglia, ove egli abita con la famiglia; dopo essere passato dalla casetta della Zicaro senza trovarla perché già partita per Bisignano, si era recato alla casetta colonica di Santo Luzzi e subito dopo nell’aia di certo Giuseppe Vitiritti, ove lavorava Salvatore Fabbricatore. Qui apprese dell’uccisione di Domenico Caravetta ma, invitato da Santo Luzzi a recarsi a vedere il cadavere, si era rifiutato. Nella sera successiva al delitto Salvatore Fabbricatore andò a casa di Luzzi e fece chiamare Guglielmelli all’aperto e tennero un colloquio misterioso. Il giorno dopo Guglielmelli dimostrò un contegno preoccupato. Infine, Guglielmelli, vuoi per la gelosia che nutriva contro Caravetta per via di Angelina, vuoi per il tentativo di soppiantarlo nelle sue funzioni di guardiano, gli era tanto nemico che una sera, trovandosi con costui in una cantina, aveva rifiutato l’offerta di un bicchiere di vino dicendo che, prima di accettare una tale offerta avrebbe preferito bere un bicchiere di sangue. I sospetti e gli indizi su Guglielmelli cominciano a diventare prove quando il Maresciallo Pati interroga il figlio minore di Angelina:

– La mattina che hanno trovato il morto, a casa nostra era venuto Guglielmelli portando una bottiglia di vino con turacciolo rosso. Subito dopo, mamma, con la zappa, e Guglielmelli con un bastone, una scure e la bottiglia di vino, sono andati insieme all’acquaro e sono tornati dopo un bel pezzo. Guglielmelli si allontanò verso il vallone e mamma, dopo avermi raccomandato di non dire quello che avevo visto, si allontanò, dicendo che andava a fare una ambasciata.

– E tuo zio Salvatore è venuto quella mattina?

– Si, quando mamma e Guglielmelli erano andati all’acquaro…

– Adesso devi dirmi una cosa importante: Guglielmelli veniva spesso a casa vostra? Per esempio, veniva anche quando non c’era tuo padre?

– Si, quando papà non c’era, Guglielmelli è venuto più di una volta e ha dormito con mamma. Era coricato con mamma pure la notte che Domenico Caravetta era venuto a bussare

Le dichiarazioni del bambino, unite alla seconda versione dei fatti data da Angelina convincono gli inquirenti che non c’è più tempo da perdere e Guglielmelli, Luzzi e Fabbricatore vengono arrestati. Tutti e tre si dicono estranei al delitto anche messi a confronto con Angelina. Luzzi fornisce un alibi parziale, raccontando che la mattina del 27 luglio aveva fatto ritorno in contrada Gallice, ove il delitto fu commesso, solo alle 10,00, di ritorno da Santa Sofia d’Epiro. Tutto verificato come vero. Guglielmelli, da parte sua, racconta che la mattina del 27 luglio si trovava a Duglia e partì per la contrada Gallice verso le 11,00 e arrivando verso le 13,00. Dai riscontri fatti risulta che Guglielmelli era certamente a Duglia tra le 9,00 e le 11,00. Un rompicapo, forse gli inquirenti hanno sbagliato a fidarsi del racconto di un bambino di otto anni, ma quando la carcerazione preventiva comincia ad andare per le lunghe, Salvatore Fabbricatore dice al Pretore:

Quello che Angelina ha detto nel secondo interrogatorio è la verità, sono stati Guglielmelli e Luzzi, io sono arrivato dopo.

No, se ha tentato di farsi scarcerare addossando la responsabilità sugli altri due, così non funziona, deve portare fatti concreti. Ma, forse, i fatti concreti li porta Angelina in un nuovo interrogatorio:

Già una settimana prima del delitto io, mio cognato e Guglielmelli avevamo concertato di dare una lezione a Domenico Caravetta per punirlo delle molestie che mi faceva e stabilimmo che io avrei cercato di attirarlo nel mio orto col pretesto di un convegno d’amore

– Una bella lezione! Lo avete proprio conciato per le feste!

– Non doveva andare come è andata, chiedete a mio cognato…

E Fabbricatore conferma, ma Guglielmelli, e soprattutto Luzzi, continuano a negare. Ormai è tempo di chiudere l’istruttoria, ma il Pretore decide di fare un ultimo tentativo con Luzzi e lo interroga:

La mattina del delitto, appena tornato da Santa Sofia, erano circa le 10,00, fui invitato da Guglielmelli ad andare nel bosco dove fu ucciso Caravetta. Lì lo trovammo che voleva congiungersi con violenza con Angelina e Guglielmelli, ciò vedendo, lo colpì al capo prima con un bastone e poi con la zappa della donna. C’era pure Fabbricatore e colpì anche lui Caravetta con la scure… io sono rimasto semplice spettatore inattivo

Fabbricatore ammette, ma Guglielmelli continua a negare. Nega di aver nutrito gelosia verso Caravetta per via di Angelina, che ha sempre considerato come una figlia. Ammette soltanto di sapere delle aspirazioni di soppiantarlo nelle funzioni di custode, ma di non essere mai stato preoccupato di ciò.

Può bastare, Angelina Zicaro, Luigi Guglielmelli, Santo Luzzi e Salvatore Fabbricatore vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio in concorso con le aggravanti della premeditazione e crudeltà.

Durante il dibattimento Angelina ritratta tutto e torna alla prima versione dei fatti: è stata lei sola ad uccidere Domenico Caravetta per la difesa del suo onore e aggiunge:

– Incolpai loro tre perché fui circuita e avviluppata dalle suggestioni in tal senso fattemi dal custode delle carceri di Acri, che mi fece credere che così facendo mi sarei salvata e sarei uscita subito dal carcere.

Anche Luzzi e Fabbricatore ritrattano e si dichiarano estranei ai fatti ed accusano anche loro il custode delle carceri di averli indotti a dire di aver partecipato al delitto, perché così sarebbero tornati subito in libertà. Guglielmelli, da parte sua, non fa altro che confermare di essere innocente.

Letti gli atti ed ascoltati i testimoni, la Corte è costretta ad ammettere che non solo tutti gli imputati, ma anche molti testimoni hanno dichiarato, in buona sostanza, che non di tutto ciò che si legge nei verbali delle rispettive dichiarazioni fatte al Pretore possono assumerne la paternità in quanto “se essi dicevano una parola, il Pretore ne scriveva cento per conto suo”. Un bel guaio e per uscirne, la Corte decide di effettuare autonomamente alcuni accertamenti per stabilire i tempi che occorrono, camminando a passo molto svelto, dalla contrada Duglia alla contrada Gallice. La prova pratica dice che per andare da Duglia a contrada Gallice e viceversa occorrono almeno quattro ore e ventidue minuti. Impossibile che Guglielmelli abbia potuto commettere il delitto. La tesi dell’accusa vacilla paurosamente anche perché la Corte afferma che la tesi, basata sulla seconda dichiarazione di Angelina, non può non apparire frutto di troppo alacre e superficiale esame degli elementi di prova generica e specifica del processo, sol che si ponga seria mente a quelli di essi che costituiscono dei veri punti fermi, che a nessun organo giudiziario è lecito di obliterare in un procedimento penale che ha per porta l’ergastolo e la disperazione di quattro imputati.

Non solo. La Corte dubita anche della bontà della perizia medica sulla natura delle quattro lesioni che si vogliono prodotte da colpi di scure e troppo affrettatamente accolta dagli organi inquirenti: data la scarsa profondità delle lesioni e la loro breve lunghezza (una soltanto di 4 centimetri e le altre di circa 3 appena), esse non poterono essere prodotte né dalla scure dell’ucciso, trovata sul posto, perché ha un’ampiezza di taglio di 9 centimetri, né da altra più piccola perché avrebbe dovuto avere una lunghezza di taglio non maggiore di 3 centimetri, cioè una scure piccoletta, da bambola ed è ridicolo pensare che di una siffatta scure, se mai ne fu fabbricata alcuna, possa essersi armato alcuno degli imputati per recarsi a consumare un delitto che, secondo l’accusa, sarebbe stato premeditato e concertato da uomini carichi di odio e di gelosia contro la vittima designata. Niente di più verosimile, quindi, che la vittima si sia prodotte anche quelle quattro ferite come le altre 12 che aveva al viso, cadendo per terra tra i detriti e gli sterpi della boscaglia. Ond’è che il Maresciallo di Acri ben ha potuto dire che “nel corso della sua carriera gli è occorso di vedere almeno un centinaio di ferite da scure, ma niuna di quelle riscontrate sul viso di Caravetta gli è sembrato che avesse i caratteri di lesione da scure”. E allora come spiega la Corte che sulla scure di Caravetta furono riscontrate varie macchiolina di sangue? Se anche di macchie di sangue si trattasse, anziché di ruggine come è sembrato alla Corte, può ben darsi che esse siano spruzzate sulla scure, che fu trovata a pochi centimetri dal cadavere, dalle numerose ferite riportate dalla vittima. Quindi due soltanto furono i colpi inferti dalla mano dell’uomo, i due colpi di zappa alla tempia destra.

Ma poi perché, si chiede la Corte, Santo Luzzi, vecchio contadino, incensurato e padre di sette figli si sia deciso a partecipare al delitto, dato che non aveva alcun motivo di rancore verso Caravetta, col quale era legato da vincoli di parentela spirituale? Solo per fare piacere a Guglielmelli? Illogico. Tanto illogico che lo stesso Pubblico Ministero si affretta a ritirare le accuse.

Ed è illogico anche pensare che Guglielmelli e Fabbricatore, accusati solo dai familiari della vittima di essere amanti di Angelina per alcuni episodi, forse innocenti, gonfiati e deformati, si siano associati per uccidere l’amante respinto, quando sarebbe molto più logico pensare che condividere la stessa amante avrebbe dovuto determinare un sentimento di rivalità e di avversione reciproca fra di loro.

La verità, dice la Corte, è che le accuse fatte da Angelina contro Guglielmelli sono false ed immaginarie, come false ed immaginarie sono le accuse mossegli da Luzzi e Fabbricatore e come false ed immaginarie sono le accuse reciproche di Luzzi e Fabbricatore. Quindi è Angelina Zicaro l’unica responsabile dell’omicidio di Domenico Caravetta, essendosi determinata unicamente per difendere il suo onore contro il pericolo attuale dell’ingiusta aggressione, ma è pur vero che ella, nell’esercizio della difesa di tale suo diritto, eccedette colposamente i limiti imposti dalla necessità della difesa  in quanto, essendo essa una giovane assai robusta e vigorosa, ben poteva respingere l’assalto di Caravetta, altrimenti che in maniera letale. Ricorre, quindi, la fattispecie dell’eccesso colposo di legittima difesa e va dichiarata colpevole di omicidio colposo. La Corte, con riguardo alle modalità del fatto e ai buoni precedenti dell’imputata, stima giusta e congrua la pena di anni 3 di reclusione, oltre alle pene accessorie, spese e danni. Poi va applicato il R.D. 25 settembre 1934 e gode del condono di anni 2 della pena.

Luigi Guglielmelli, Santo Luzzi e Salvatore Fabbricatore vengono assolti per insufficienza di prove.[1]

È il 30 dicembre 1935 e Angelina ha scontato circa 5 mesi in più rispetto alla condanna.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.