MI SONO FERITA DA SOLA

Il 2 marzo 1948 alla Questura di Catanzaro arriva un uomo tutto trafelato che dice al piantone:

– Correte, presto, l’Agente Ignazio Judica ha sparato un colpo di pistola alla moglie!

Dopo qualche istante di incredulità, immediatamente alcuni sottufficiali ed agenti corrono a casa di Judica per verificare l’attendibilità della denuncia. La porta è aperta, dentro non c’è nessuno, ma è chiaro che deve essere davvero accaduta qualcosa di grave perché l’unica stanza di cui è composto l’appartamento è in disordine e sulla coperta del letto c’è una chiazza di sangue, mentre un foro prodotto dal proietto di un’arma da fuoco traversa la coperta stessa e i materassi. Sul letto c’è anche la pistola a rotazione d’ordinanza, carica con cinque colpi, mentre il sesto risulta essere stato esploso.

Una donna esce dall’appartamento di fianco e chiama i poliziotti per avvertirli che Judica è in casa sua:

Mia moglie, maneggiando l’arma, ha fatto partire un colpo che l’ha attinta all’inguine destro… adesso è in ospedale… – dichiara, mentre la donna scuote la testa come a voler dire che non è vero.

A sirene spiegate gli Agenti corrono in ospedale e trovano Nunzia Battiato stesa su una barella in attesa di essere ricoverata:

Ho preso per scherzo la pistola di mio marito e avendo, per errore, lasciato partire un colpo, mi sono ferita… – conferma.

Gli Agenti non sono convinti della versione offerta dai coniugi e arrestano Judica, sottoponendolo a più dettagliato interrogatorio:

Mia moglie mi aveva rimproverato per il fatto che non le avevo consegnato la paga riscossa qualche giorno fa, ma io avevo dovuto estinguere qualche debito… poi si è calmata e mi ha chiesto la pistola dicendomi, in tono scherzoso: “ora ti sparo!”. Io, sempre scherzando, le ho dato l’arma mettendo la sicura, ma poi mi sono accorto che Nunzia aveva messo l’arma in condizioni di potere far fuoco e ho tentato di impadronirmi della pistola per timore che avesse potuto far partire, inopinatamente, qualche colpo. Disgraziatamente mia moglie ha opposto resistenza ed è partito un colpo

Cosa? Un Agente di Polizia consegna a sua moglie la sua pistola di ordinanza carica “per scherzo”? Sconcertante sia se fosse vero, sia se fosse un tentativo di coprire un altro reato.

Ad una ad una vengono interrogate le vicine di casa e l’accaduto prende pian piano contorni più precisi.

Sono corsa in casa Judica attratta dall’esplosione, la signora Nunzia era distesa sul letto ed appena mi ha vista, mi ha detto testualmente: “Signora… mi ha ammazzato!”, poi ha precisato che il marito in un primo tempo le aveva puntato la pistola all’orecchio e che ella aveva deviato l’arma con la mano, sicché il colpo aveva attinto il basso ventre. Mentre la signora Nunzia diceva queste cose, il marito cercava di confortare la moglie invocando il suo perdono e subito dopo è stato colpito da malore, tanto che ha dovuto essere trasportato altrove – racconta Matilde Albi e le sue parole sono confermate dalla figlia, accorsa insieme a lei.

– Anche io sono accorsa dopo lo sparo, ma Nunzia non mi ha detto niente perché era in condizioni tali da non poter parlare – dice Immacolata Carì.

Poi le vicine aggiungono altri particolari ancora più significativi per arrivare a stabilire il perché dell’accaduto. Riferiscono di frequenti scenate fra i due coniugi, causate dal fatto che il marito era solito rispondere con vie di fatto ai rimproveri della moglie che lo accusava di non fornire il denaro necessario per la spesa giornaliera e di avere un’amante. Ecco, questi sono motivi che troppo spesso, purtroppo, causano tragedie immani.

Raccolti questi elementi, gli inquirenti procedono formalmente contro Ignazio Judica per tentato uxoricidio, maltrattamenti e violazione degli obblighi di assistenza familiare.

A questo punto, Judica modifica la propria versione dei fatti affermando di avere ripreso l’arma dalle mani della moglie allorché il colpo era partito per errore.

– Pare che tua moglie abbia detto ad una vicina, in tua presenza, che le avevi puntato la pistola alla tempia…

– Si, è vero, ma l’ho fatto soltanto per scherzo – inaudito anche questo stupido tentativo di giustificarsi.

– E l’amante la hai davvero?

– Si…

– E quindi deve essere vero anche che picchiavi tua moglie…

Ho menato vita un po’ scapestrata… e talvolta ho inferto qualche schiaffo a mia moglie.

Bene, dovrebbe essere tutto risolto, non manca che la conferma di Nunzia che, però, sorprendentemente non arriva:

– Confermo che il colpo è partito per errore mentre l’arma si trovava nelle mie mani.

Ma perché ostinarsi a difenderlo nonostante sia salva per miracolo? Forse spera ancora di poter cambiare il loro rapporto tossico? Forse non capisce che quel rapporto non cambierà mai e non le è chiaro che la prossima volta potrebbe essere anche l’ultima?

Ignazio Judica viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro e, il 23 febbraio 1950, in aula conferma l’interrogatorio precedentemente reso.

La Corte, letti gli atti e ascoltati i testimoni, osserva che la tesi della disgrazia non può meritare credito alcuno, attesa la sua manifesta assurdità e la palese discordanza fra le versioni rese dall’imputato e dalla parte lesa, che compie il nobile quanto inane sforzo di salvare l’indegno marito. La Corte reputa di dovere accogliere la versione resa dai testi accorsi immediatamente dopo il colpo, e particolarmente la narrazione di Matilde Albi, particolareggiata e circostanziata, confermata in sede istruttoria, in confronto con l’imputato e in dibattimento. È facile scorgere una causale adeguata per fondarvi una affermazione di volontarietà del gesto compiuto dall’imputato. È pacifico, infatti, che da qualche tempo fra i due coniugi accadevano frequenti scenate per la vita scioperata di lui, dedito al giuoco ed alle donne, per le insistenti querele di lei. Queste ultime dovevano avere esasperato il marito che, ben sapendo come quelle insistenze e quelle rampogne fossero giustificate e non volendo mutare linea di condotta, covava un sordo risentimento verso la moglie. È caratteristico, a tal riguardo, un episodio avvenuto quello stesso giorno 2 marzo, in mattinata, riferito da Matilde Albi. Narra costei che alla sua presenza Judica aveva percosso la moglie in seguito ad una delle solite scenate.

La Corte, però, in considerazione dei fatti che non ci fu pericolo per la vita di Nunzia e che non sono residuati postumi, ritiene che non si sia trattato di un vero tentativo di omicidio, ma piuttosto della volontà dell’imputato di ferire la moglie e di conseguenza modifica la rubrica in lesioni personali.

Potremmo ragionare per mesi sul fatto che Judica avesse puntato la pistola alla tempia della moglie e che se non le sparò un colpo in testa fu solo perché lei gli spostò il braccio ed il proiettile la colpì al quadrante destro dell’addome, uscendo dalla natica destra senza ledere organi vitali, ma cosa fatta, capo ha.

Comunque, assodata la responsabilità di Ignazio Judica per tutti i capi d’imputazione, la Corte condanna Ignazio Judica ad anni 3 e mesi 10 di reclusione, più pene accessorie, spese e danni.

Danni? Più che di danni si dovrebbe parlare di beffa perché, visti gli articoli 1 e 3 del D.P. 23 dicembre 1949, la Corte dichiara condonati anni 2 della pena e quindi, dato che l’imputato ha già scontato la pena con la carcerazione preventiva, ne ordina la scarcerazione.[1]

NON È MAI UNA COSA DA NIENTE, NON È MAI “PER SCHERZO”. IL SILENZIO UCCIDE.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.