DELITTI E ATROCI VENDETTE IN FAMIGLIA

Pietro e Gaetano Venneri sono fratelli, nati e cresciuti a Perito; il primo ha 33 anni ed il secondo 31. Da un po’ di tempo non vanno d’accordo con Gaspare, il loro vecchio padre, perché costui non si presta a dar loro quanto essi gli chiedono, benché di tratto in tratto li governi nei loro bisogni.

La sera dell’8 settembre 1891 i due fratelli, tornati dalla campagna dopo aver zappato tutto il giorno, vanno a casa del padre per le solite richieste. Bussano e si annunciano, ma dall’interno la voce del vecchio li gela:

Se volete qualcosa tornate domani!

I due si guardano negli occhi e, senza bisogno di dirsi nemmeno una parola, sanno già cosa faranno. Tornano nelle loro rispettive case, Gaetano stacca dal muro il suo fucile ad una canna, lo carica a palla ed esce; Pietro invece prende la sua scure, esce e va da suo fratello e poi, insieme, a casa del padre.

Provano ad aprire la porta azionando il saliscendi, ma è chiusa dall’interno. Non perdono di nuovo tempo a bussare, sanno che sarebbe inutile, e Pietro comincia a dare colpi di scure sulla porta per scardinare la serratura. All’interno, il vecchio Gaspare e la sua governante, in realtà si sono sposati solo in chiesa, Teresa Martino capiscono subito che stavolta le cose possono davvero finire male e temendo che la porta ceda sotto i vigorosi colpi di scure, si mettono a puntellarla colla propria persona. In questo preciso momento da fuori parte una fucilata. Il proiettile, perforando il legno, trapassa la coscia destra di Gaspare, che cade a terra urlando per il dolore, poi spappola il ginocchio sinistro di Teresa Martino, che sviene per il dolore.

La ferita riportata da Gaspare guarirà in poco più di due mesi, ma la ferita riportata da Teresa Martino è molto seria e le costa l’amputazione della gamba sinistra dal ginocchio in giù. I due fratelli vengono arrestati con l’accusa di lesioni personali volontarie e porto d’arma abusivo, ma in attesa del giudizio viene concessa loro la libertà provvisoria.

Dal giorno dei ferimenti sono passati due mesi, è la notte tra il 10 e l’11 novembre 1891 quando un uomo che sorregge una donna bussa alla porta della caserma dei Carabinieri di Pedace:

– Sono Michele De Marco di Perito e questa è mia sorella Maria, maritata a Pietro Venneri – dice l’uomo facendo notare le ferite sul corpo della sorella, soprattutto lo squarcio alla gola che quasi le impedisce di parlare. La donna dovrebbe essere subito visitata e, magari, ricucita o portata in ospedale, ma il medico del paese non c’è e i Carabinieri la trattengono su un lettino in caserma per provare, se possibile, a farle dire qualcosa sull’aggressione che ha subito. Nonostante la ferita al collo metta in bella mostra la trachea recisa, pur tuttavia avendo buoni sentimenti, Maria, in presenza di testimoni, riesce a farfugliare qualche parola e a mimare situazioni:

– Mio marito… Elisabetta… coltello…

Dai gesti, i presenti capiscono benissimo che Pietro Venneri e la sua amante Elisabetta Marano l’hanno accoltellata, ma il perché non si sa. A questo punto il Brigadiere Angelo Foroni, comandante la stazione di Pedace, ordina a due suoi uomini di andare a Perito e appostarsi nei pressi della casa di Pietro per cercare di esplorare qualche sua mossa. Poco dopo arriva il medico che, riscontrata la lesione della trachea e varie ferite nelle mani e sul capo, dispone che Maria può tornare a casa, sorretta da suo fratello.

I due Carabinieri non devono aspettare molto. Sentono un mormorio sommesso, si avvicinano alla casa e vedono Michele De Marco con sua sorella Maria mentre bussa alla porta di Pietro Venneri. Pochi secondi e la porta si apre lasciando intravedere il padrone di casa, indifferente come nulla sapesse del fatto. È un attimo: Michele De Marco gli si avventa addosso e avendo trovato casualmente una piccola scure in terra, nell’impeto dell’ira, mena un colpo al cognato sopra il ciglio sinistro. A questa scena i due Carabinieri intervengono, arrestano i due uomini e li portano in caserma.

La ricostruzione dell’aggressione a Maria però non viene dai protagonisti, vuoi per impossibilità a farlo, vuoi per strategia difensiva, ma dalle informazioni che i Carabinieri ottengono dagli abitanti di Perito, confermate dai rilievi sui luoghi. Così si scopre che da parecchio tempo Pietro Venneri tiene relazione illecita con Elisabetta Marano e si vuole che la notte dal 10 all’11 Maria De Marco si sia recata sotto la finestra della Marano per esplorare se vi fosse il suo marito. Sorpresa dai due amanti, di comune accordo, la malmenarono e prova ne è sia che sotto la detta finestra, la quale mette in un orto, si scorge orma a nudo piede, come di fatti andava la ferita, più si scorge che la infelice, dopo ferita, prese giù per un muro ove lasciò appiccato un piccolo fazzoletto da naso, che venne riconosciuto per suo, poi varcò un altro muro di cinta dell’altezza di metri uno e mezzo, ove si riscontra traccie di sangue.

Maria De Marco non ce la fa e il 14 novembre muore. Adesso si tratta di omicidio ed Elisabetta Marano confessa:

Il fatto di avere io ucciso Maria De Marco è vero, ma Pietro Venneri me lo impose; rammento benissimo che egli, tenendola per le braccia, mi disse: “uccidila”. Io commisi il reato perché ero assai dolente contro essa De Marco, la quale si era permessa più volte di intaccare il mio onore e pubblicamente chiamarmi puttana. Sempre che dal marito veniva maltrattata, ella si recava da me ad ingiuriarmi ed oltraggiarmi nell’onore. Il reato fu commesso un’ora dopo la mezzanotte del dieci, quando Pietro Venneri si trovava nell’orto sottostante alla mia casa

Confessa anche Pietro Venneri, ma con una versione dei fatti un po’ diversa:

Nella notte dal dieci all’undici io mi recai in casa di Elisabetta e con costei mi addormentai nel letto. Mentre dormivo fui destato da Elisabetta, la quale mi disse che nell’orto, sotto la finestra, aveva inteso la voce di mia moglie la quale si era diretta a lei con le seguenti parole: “Ohi civuru viecchiu, siti curcati ‘ntru liettu?”. Io risposi che non era possibile, ma Elisabetta, non tenendo affatto alla mia risposta, vestitasi, scavalcò una piccola finestra e immantinenti fu nell’orto. In quell’istante fui anch’io sollecito a seguirla, ma non appena posi il piede nell’orto ella mi respinse dicendo: “Vattene che sono affari che non ti riguardano, devo vedermela io perché mi ha tolto l’onore!”. Vidi che poco distante da lei era per terra mia moglie, la chiamai per seguirmi, ma non mi rispose. Elisabetta invece mi respingeva continuamente ed io mi ritirai a casa. Non è vero, quindi, che io avessi tenuto mia moglie nel momento che la Marano la feriva

Il 5 febbraio 1892 la Sezione d’Accusa rinvia a giudizio i due amanti per il reato di omicidio volontario e rinvia a giudizio anche Michele De Marco per le lesioni volontarie prodotte a Pietro Venneri. Ad occuparsi del caso sarà, nelle udienze del 3 e 4 maggio 1892, la Corte d’Assise di Cosenza.

Michele De Marco viene assolto.

Pietro Venneri viene condannato ad anni 24 di reclusione.

Elisabetta Marano viene condannata ad anni 21 di reclusione.

Per entrambi le pene accessorie, spese e danni.

Il 6 luglio 1892 la Suprema Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dei Elisabetta Marano e respinge quello di Pietro Venneri.

Dopo cinque mesi arriva anche la sentenza contro i fratelli Venneri per le lesioni causate dalla fucilata al loro padre e a Teresa Martino: la Corte condanna Pietro Venneri ad anni 5, mesi 3 e giorni 7 di reclusione, da aggiungersi agli anni 24 di cui è precedente condanna; condanna Gaetano Venneri ad anni 8, mesi 9 e giorni 5 di reclusione. Per entrambi pene accessorie, spese e danni.

Il 10 marzo 1893 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso degli imputati.

Ma i guai in casa Venneri non sono finiti.

Una delle pene accessorie inflitte a Pietro Venneri per l’omicidio di sua moglie è stata la perdita della patria potestà sui suoi tre bambini, i quali vengono affidati al nonno Gaspare, che convive sempre con Teresina Martino, costretta, dopo l’amputazione della gamba sinistra, a muoversi a fatica, aiutata da una rudimentale stampella.

Teresina è una persona che non dimentica facilmente e, non potendo vendicarsi direttamente, comincia a sfogare la sua vendetta contro quegli orfani sventurati.

Una vendetta subdola, che consiste nel non somministrare ai bimbi il cibo necessario al loro sostentamento e nel batterli con la stampella. Se questo non è sufficientemente orrendo, aggiungiamo che a seviziare i bambini pare che si sia unita anche una nipote di Teresina, la tredicenne Angelina, il tutto coll’acquiescenza del nonno Gaspare, tutore dei piccoli.

Questa vergogna, in una piccola comunità come quella di Perito, non può passare inosservata e qualcuno va a raccontare ai Carabinieri ciò che quotidianamente vede e ascolta. Il risultato è che il 13 novembre 1892 i fatti vengono formalmente portati all’attenzione del Pretore di Spezzano Sila, che convoca i tre bambini per saperne di più.

Ma cosa volete che possano raccontare tre bambini terrorizzati dalla prospettiva di subire maltrattamenti e sevizie ancora peggiori per ritorsione? Niente, negano recisamente i fatti e le particolarità delle sevizie. Ma le cose non possono fermarsi qui perché la popolazione è stanca e la denuncia arriva al Giudice Istruttore, che richiama i bambini e, adoperando la sua energia, li convince a raccontare di essere stati seviziati dalle due Martino mediante continuate percosse e facendo loro mancare il cibo necessario. A questo punto, essendo intervenuta la Legge, tutti si aspettano che la situazione dei tre piccoli possa migliorare, ma non è così perché le due donne vengono denunciate a piede libero e le tre creature restano in quella casa, continuando a subire tutte quelle crudeltà che la malvagità umana sa adoperare, senza che nessuno intervenga per farle cessare. Poi, il 6 marzo 1893, arriva la sentenza istruttoria contro le due imputate, che vengono rinviate al giudizio del Pretore di Spezzano Sila per rispondere dei maltrattamenti e delle lesioni inflitti ai bambini. Forse tutto questo finirà una volta per sempre.

Ma il 19 marzo 1893 sul tavolo del Sindaco di Pedace arriva una nota dei Carabinieri:

La notte scorsa, essendo morto nella casa dell’avo e tutore suo Gaspare Venneri, il bambino omonimo Gaspare Venneri e vociferandosi che tale morte possa essere avvenuta in seguito a maltrattamenti o sevizie ricevute dalla mantenuta del Venneri Gaspare, Martino Teresina, come altre volte ebbe a fare, abbiamo sospeso il seppellimento di detto bambino in attesa di quelle disposizioni che crederà opportuno di dare al riguardo.

Non si doveva arrivare a questo. Chi ha sbagliato? Magari se ne parlerà in seguito, adesso bisogna capire come è perché il piccolo Gaspare è morto a soli 4 anni. Certamente qualcosa possono dirla i risultati dell’autopsia. E quello che il perito, dottor Pasquale Caruso, verbalizza è il racconto della via crucis quotidiana subita da Gaspare e dai suoi fratellini: il cadavere che mi si presenta è di un bambino di costituzione fisica debolissima e di colorito generalmente pallido; i muscoli sono atrofici. Sulla superficie del corpo noto quanto appresso: tre cicatrici lineari di vecchia data sulla fronte; due soluzioni di continuo sulla regione temporale sinistra prodotte approssimativamente fan cinque o sei giorni; una escoriazione coperta di crosta sull’occipite, prodotta da dieci giorni circa: una scalfitura lineare sulla guancia destra, ricoperta da crosta, prodotta anch’essa da circa dieci giorni; un’abrasione di cute sulla regione ipocondriaca prodotta da circa quindici giorni; una vasta escoriazione sulla regione inguinale sinistra, prodotta fan tre o quattro giorni; due escoriazioni alla regione sacrale ricoperta da essudato fibrinoso, prodotte da circa dieci giorni; una escoriazione al solco tra il calcagno ed il malleolo, prodotta da sei o sette giorni; una vasta ecchimosi alla regione anteriore interna della radice della coscia ed altra ancora più vasta alla regione laterale esterna della gamba ed al collo del piede, prodotte da corpo contundente quale bastone o altro sei o sette giorni dietro; contusione alla regione lombare destra, prodotta or fan dieci o dodici giorni; contusione a metà della gamba sinistra, prodotta da quattro o cinque giorni; infine, sedici piccole scalfiture in diversi punti del corpo, che montano ad epoche differenti. Tutte le soluzioni di continuo possono essere state prodotte da unghie, corpi scabbri ecc.

A parte l’orrore di queste evidenze, sono le conclusioni che fanno rabbrividire: dichiaro di aver rilevato nel Gaspare Venneri: 1) Edema ed anemia cerebrale. 2) Versamento sieroso nelle cavità. 3) Edema diffuso. 4) Flaccidità delle pareti cardiache. 5) Leggero catarro gastro intestinale. 6) Contusioni ed ecchimosi multiple. 7) Soluzioni di continuo multiple. 8) Anemia pronunziatissima e denutrizione generale, nonché nefrite acuta traumatica. La causa della morte è stata principalmente la nefrite traumatica e tutte le altre lesioni ne furono certo concause, come concausa fu la condizione di denutrizione assoluta in cui si è trovato il bambino.

Ovviamente vengono visitati anche gli altri due fratellini, sui quali si riscontrano lo stesso tipo di lesioni esterne accertate sul corpicino di Gaspare.

Teresina Martino e sua nipote, tredicenne, Angiolina vengono denunciate per avere, mediante maltrattamenti e sevizie, occasionato la morte del bambino Gaspare Venneri. Il nonno Gaspare Venneri viene denunciato di concorso nel reato perché, essendo il tutore legale dei nipotini, non ha impedito che il reato fosse commesso. Non si doveva arrivare a questo punto per fermare gli aguzzini, c’erano già tutti gli elementi per farlo prima. L’unica consolazione è che gli altri due bambini adesso sono al riparo da ulteriori orrori.

I tre imputati respingono con sdegno tutte le accuse, ma anche qualche testimone da loro citato a discarico parla espressamente di maltrattamenti. D’altra parte, da alcune dichiarazioni le posizioni del nonno e di Angiolina Martino sembrano alleggerirsi. E questo sembra confermato anche dalle dichiarazioni dei testimoni citati dalla Procura.

Il mulattiere Francesco De Marco racconta:

Sulla pubblica via di Perito trovai il piccolo Gaspare con una contusione ad un occhio. A mia domanda mi esponeva essere l’autrice di quella contusione la “Frannina”, soprannome di Teresina Martino.

Antonio De Marco, proprietario:

Ebbi occasione diverse volte di vedere i fratellini Venneri per essermi io recato in casa della Martino onde accertarmi se vera fosse la voce che correva in paese di gravi sevizie che la Martino usava verso i fratellini e ho verificato che quei tre ragazzi si trovavano in condizione cattiva di salute, per cui domandai a Gaspare, il nonno, come quei fanciulli si trovassero in tale modo. Per tutta risposta Gaspare intimò ad uno dei fratellini di uscire immantinenti di casa e il bambino ubbidì tutto tremante.

Caterina Pagliaro:

Non ho mai detto che la nipote della Martino abbia compresso il ventre di Gaspare con un ginocchio – ma agli inquirenti il contegno titubante della Pagliaro dà a vedere schiettamente di essere reticente.

Maria Guglielmelli:

Essendo vicina di casa di Teresina Martino, quasi ogni giorno sentii che nell’abitazione di costei i fanciulli Venneri disperatamente piangevano ed avendo, un giorno, trovato in strada la bambina le domandai quale fosse la causa di quei pianti. Per risposta la poverina mi mostrava un braccio tutto contuso, dicendomi che la nonna, Teresina insomma, l’aveva percossa con la stampella. Mi consta che Caterina Pagliaro disse un giorno al nonno materno Sebastiano De Marco che volesse subito provvedere, perché diversamente la Martino avrebbe finito i bambini a furia di bastonate.

Il sarto Raffaele Bruno:

Tutti a Perito sanno che la Martino sempre e fin dal primo giorno usò maltrattamenti e sevizie ai poveri ragazzi, che seminudi e scarni erano spesso costretti a cercare un tozzo di pane ai passanti.

Può bastare per chiudere l’istruttoria e chiedere il rinvio a giudizio per tutti e tre gli indagati. Il 3 novembre 1893, la Sezione d’Accusa non è d’accordo con l’impostazione della Procura e ritiene che gl’indizi raccolti contro gl’imputati Angiolina Martino e Gaspare Venneri non si reputano di tale serietà e gravezza da potere su di essi basare l’accusa a loro carico e per questo li proscioglie. Ad affrontare il processo per avere, mediante maltrattamenti e sevizie, cagionato la morte del fanciullo Gaspare Venneri, sarà la sola Teresina Martino.

Il dibattimento si tiene presso la Corte d’Assise di Cosenza il 26 gennaio 1894. Tutto si svolge in poche ore, poi la Corte si ritira per emettere la sentenza. Al rientro in aula Teresina Martino si alza in piedi reggendosi con la sua stampella, la stessa usata per colpire i bambini, e ascolta in silenzio:

La Corte condanna Teresina Martino, di anni quarantacinque, alla pena della reclusione per la durata di anni nove, con la riduzione di tre mesi pel regio condono del 23 aprile 1893 ed escomputandosi la carcerazione preventivamente sofferta, all’interdizione perpetua dei pubblici uffici, al risanamento dei danni in pro degli eredi del morto Gaspare Venneri ed alle spese del procedimento.

In conseguenza di questa sentenza, il processo per maltrattamenti a carico di Teresina Martino e sua nipote Angiolina, da tenersi presso la Pretura di Spezzano della Sila, viene cancellato dal ruolo.

Il 25 aprile 1894 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’imputata.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.

N.B. I fatti raccontati in questa storia provengono da 4 diversi procedimenti penali.