Verso le otto di sera del 20 dicembre 1922 qualcuno bussa insistentemente alla porta di Federico Micieli a Sartano. Quando la moglie apre la porta, contemporaneamente le si spalancano la bocca e gli occhi per la sorpresa: davanti a lei c’è suo figlio Angiolino, 22 anni, con la fronte imperlata di sudore freddo e visibilmente sofferente. Angiolino guarda verso il suo addome e la madre vede la mano sinistra che ci tiene premuta sopra, dalla quale gocciola del sangue:
– O gesummaria! Angiolì, che è successo? – gli chiede mentre gli cinge i fianchi con le braccia per sostenerlo.
– Mi hanno sparato… pure al piede…
La madre gli guarda i piedi e infatti lo scarpone destro è forato ed esce del sangue. Subito accorre anche il padre e lo mettono a letto. Poi arrivano anche i vicini di casa e si occupano di avvisare il medico del paese ed i Carabinieri di Cerzeto.
– Ma chi è stato? – gli chiede il padre con un tono misto di preoccupazione e rabbia.
– Raffaele Cariati, il figlio Giuseppe e il genero Francesco Cariati…
– E come è stato?
– Ero andato a casa di Angelo Mollo perché mi doveva parlare per concludere il matrimonio con la figlia di Raffaele Cariati… quando sono uscito… – Angiolino non fa in tempo a finire il racconto perché bussano alla porta annunciando l’arrivo del medico il quale, dopo averlo visitato, dice che la ferita è molto seria perché la pallottola è penetrata in cavità e al momento non è in grado di stabilire quali e quanti danni gli ha provocato. Dopo averlo medicato, il dottor Pasquale Musacchio se ne va ed Angiolino si addormenta.
Quando la mattina successiva di buon’ora si presenta il Maresciallo Domenico Sabatini, Angiolino è sveglio e racconta l’accaduto:
– Avantieri Angelo Mollo m’invitò in casa sua e mi parlò del matrimonio che si sarebbe concluso con Anna, la figlia di Raffaele Cariati, quantunque ci fossero stati dei precedenti di rancore per aver io tentato di rapirla tempo dietro – il Maresciallo annuisce, conosce bene tutta la vicenda – . Io risposi che l’avrei sposata dopo l’esito del processo contro di me ed egli, alla mia risposta, mi disse di tornare l’indomani sera per riparlare del fatto, giusto come Cariati e sua figlia gli avevano detto. Infatti, ritornato ieri sera da Mollo, si riparlò del matrimonio ed io conclusi col dire che per il quattro agosto prossimo venturo, con o senza la definizione del giudizio, avrei sposato la fanciulla. Quando uscii dalla casa di Mollo subito mi accorsi che tre individui erano fermi a breve distanza ed io, al debole chiarore della notte, conobbi per Raffaele Cariati, suo figlio Giuseppe e suo genero Francesco Cariati. Raffaele, che si distingueva dagli altri perché più grosso, nel vedermi allontanare mi ingiunse di fermarmi e contemporaneamente mi sparò parecchi colpi con una pistola Browning, uno dei quali mi colpì all’addome. Io fuggii per evitare più tristi conseguenze e allora essi mi scaricarono dietro le loro pistole perché spararono oltre venti colpi. Un altro proiettile mi colpì al piede, ma non posso dire da chi fu sparato.
– Del primo colpo invece sei certo? – gli fa il Maresciallo, dimenticando di chiedergli come abbia fatto, al debole chiarore della notte, a riconoscere la marca della pistola di Raffaele Cariati. Ma forse sa che Cariati ha quella pistola e ha supposto che la abbia usata contro di lui.
– Niun dubbio ho sul primo che mi sparò e che distinsi anche alla voce… hanno agito per vendetta per il fatto che ho accennato…
– Ma secondo te Mollo era d’accordo con i Cariati e ti ha attirato in trappola?
– Non posso con certezza affermarlo, però non è improbabile per la ragione che è legato ai Cariati da vincoli di affinità…
– Era presente qualcuno al fatto?
– No, nessuno.
Dopo questo racconto, Sabatini ed i suoi uomini cercano di rintracciare i tre Cariati, senza tuttavia riuscirci e nelle perquisizioni domiciliari eseguite non riescono nemmeno a trovare le armi che sarebbero state usate per l’aggressione.
Interrogata, la moglie di Angelo Mollo racconta che appena Angiolino Micieli uscì da casa sua udì parecchi colpi di arma da fuoco ma, terrorizzata, non uscì a vedere cosa succedeva e chiuse la porta di casa col chiavistello per non fare uscire nemmeno il marito.
Mentre Sabatini parla con la donna, nelle immediate vicinanze i suoi uomini sequestrano cinque bossoli di pistola che il fratello di Angiolino ha appena raccolto da terra. E gli altri? Nessun mistero, forse sono state usate due rivoltelle, che non espellono i bossoli, ed una pistola. Ma c’è qualcosa che sembra non quadrare: i bossoli sono stati trovati nel fango della strada alla distanza di circa due metri dalla porta di casa di Mollo da cui è uscito Angiolino Micieli e dal punto dove sarebbe stato colpito la prima volta. Possibile che gli aggressori gli fossero così vicini e non abbiano tentato di bloccarlo? Magari sarà il caso di ordinare una perizia, vedremo.
Intanto le condizioni di Angiolino Micieli si aggravano e la sera del 23 dicembre muore. Adesso non si tratta più di tentato omicidio, ma di omicidio premeditato.
È il giorno di Natale, ma dei tre ricercati ancora non ci sono notizie. Possibile che resistano alla voglia, quantomeno, di fare gli auguri ai familiari? Con questa idea in testa, i Carabinieri nella serata vanno a fare una visita alle abitazioni dei Cariati e fanno cinquina perché trovano il figlio ed il genero di Raffaele Cariati, che però si costituisce il mattino seguente nel carcere di Cosenza.
– La sera del 20 corrente sono uscito da casa mia, sita a breve distanza dalla casa di Angelo Mollo, per andare nell’orto vicino per soddisfare un bisogno corporale, dato che in casa non vi è cesso – comincia a raccontare Raffaele Cariati –. In quel momento dalla casa di Mollo usciva Angiolino Micieli il quale, al debole chiarore della notte e per la vicinanza, mi dovette riconoscere perché mi disse: “Cornuto, ancora vai girando?” e in così dire fece un gesto che io interpretai come se volesse prendere qualche arma e inveire contro di me. Confesso che ebbi paura sia per i rancori che fra me e lui correvano e sia perché era un tipo pericoloso; allora, estratta la pistola tipo Browning di piccolo calibro, esplosi contro di lui alcuni colpi, più che per ucciderlo o ferirlo, per difendermi e anche per spaventarlo, allo scopo di non essere offeso. Il primo colpo glielo sparai mentre era fermo e gli altri, che saranno stati altri quattro o cinque, glieli ho sparati mentre fuggiva. Ai colpi, mio figlio Giuseppe, che era rimasto in casa, pensando che qualcosa avesse potuto capitarmi, accorse subito e sparò anche lui alcuni colpi in aria perché io gli dissi subito che Micieli ancora ci andava disturbando. Quindi, quando mio figlio sopraggiunse, Micieli era già lontano. Mio genero Francesco quella sera non solo non era con me, quanto non era nemmeno in casa mia e molto facilmente doveva essere a letto perché era tornato stanco dalla campagna…
– Come fate a sostenere di non aver voluto ucciderlo o ferirlo se lo avete colpito all’addome?
– Io non volevo colpirlo.
– Micieli ha raccontato che lo stavate aspettando in agguato con la complicità di Angelo Mollo.
– No, l’incontro con lui è stato per puro caso e non risponde assolutamente a verità la circostanza che io avessi indotto Mollo a chiamare Micieli in casa sua per facilitare l’agguato. Se Micieli ha dichiarato diversamente l’ha fatto, evidentemente, per vendetta e per rappresaglia dal momento che egli verso di me e la mia famiglia da qualche tempo in qua ha agito in modo da portarla alla rovina dell’onore e della posizione sociale. Egli ha mentito anche sul letto di morte e a prova del suo pravo operato contro di me e la mia famiglia sta tutta una serie di gravi fatti, dei quali alcuni sono anche a conoscenza della giustizia.
– Spiegate meglio questi fatti e se avete testimoni al riguardo.
– Egli una prima volta verso la fine di settembre ultimo, senza che mai avesse fatto parola di volere sposare mia figlia, che è una giovinetta di appena quindici anni, tentò, con violenza e minacce, di rapirla in pubblica via, spalleggiato da altro delinquente pari suo e non riuscì nell’intento per la resistenza opposta da mia figlia e dall’accorrere di altre persone. Una seconda volta, il 7 novembre scorso, quantunque avessi perdonato la grave offesa rimettendo la querela a Micieli due giorni prima, egli, spalleggiato anche allora da altri tre o quattro delinquenti, ritentò l’impresa del ratto contro mia figlia, che fu costretta a rinchiudersi, con l’aiuto di Adelina Logullo, in una casetta colonica; ma con tutto ciò, egli, non avendo potuto rapirla sulla strada, salì sulla casetta sfondando il tetto e calandosi dentro, dove ebbe luogo una viva colluttazione con mia figlia. Dopo tali losche imprese, Micieli andò pubblicamente dicendo che aveva posseduto carnalmente mia figlia e che, quando sarebbe passato qualche anno, avrebbe mandato un tipaccio della sua risma a disonorare l’altra mia figlia, che ora ha appena sei anni. Come se non bastasse, un paio di giorni prima della sparatoria, Micieli, spalleggiato da uno della sua masnada armato di pugnale, aspettò mio figlio Giuseppe e, affrontatolo nei pressi del paese, gli puntò una pistola all’orecchio e gli disse: “Caccia ora la tua pistola se hai coraggio”. Se non si fosse trovato a passare Angelo Rizzuto forse mio figlio, quella sera, sarebbe stato spacciato. Con tutto ciò io, se non gli perdonavo, per lo meno tolleravo le offese per non compromettermi e se non fosse stato l’incidente del 20 sera, e precisamente la provocazione da parte di Micieli, non sarebbe successo quello che è successo. Egli, sia perché era a capo di una masnada di giovinastri che guidava e spingeva al mal fare, aveva preso animo superiore su di me perché vedeva che io tolleravo ogni sua offesa e perciò me ne faceva delle grosse…
– Però Micieli ha raccontato i fatti in modo completamente opposto e, come è noto, in punto di morte si dice la verità…
– I fatti si sono svolti né più né meno di come li ho raccontati io e non vi era ragione di raccontarli diversamente perché ho agito per difendermi e se anche avessi agito diversamente, ciò che non è vero, sarebbe stato per difendere l’onore mio e della mia famiglia!
– Ma se fosse come dite, perché non siete andato subito dai Carabinieri a costituirvi, invece di darvi alla latitanza?
– Se mi sono trattenuto nel costituirmi prima è stato perché sono dovuto fuggire perché avevo saputo che i parenti meditavano vendetta contro di me…
Interrogati, il figlio ed il genero di Raffaele Cariati confermano il suo racconto ed anche i testimoni ascoltati confermano le violenze subite dalla figlia, l’episodio della pistola puntata all’orecchio del figlio e, anzi, aggiungono episodi inediti, come l’esplosione di un colpo di pistola contro la casa di Cariati, accompagnata dalle parole “Cornuto, esci fuori ché tieni la figlia incinta!”, contraccambiata da una revolverata di Raffaele. Al contrario, l’avvocato di parte civile Samuele Tocci, in un esposto al Giudice Istruttore, sostiene che gli imputati sono stati abilmente consigliati a Sartano, dove c’è chi compie opera d’istruzione di… difesa. Ciò che sorprende nella conduzione delle indagini è sia la mancanza di approfondimento del motivo per cui Micieli e Raffaele Cariati, da solo o con il figlio ed il genero, si siano trovati ad un paio di metri di distanza quando avvenne la sparatoria (anzi si cerca di dimostrare che l’aggressore – o gli aggressori – si nascose in una casa disabitata di fronte a quella di Angelo Mollo, la cui porta tuttavia è stata trovata chiusa a chiave), sia il fatto che non viene interrogato nessuno della masnada di giovinastri, dei quali sia Raffaele Cariati che i testimoni fanno nome e cognome. Tuttavia c’è la smentita dei coniugi Mollo sulla visita di Micieli la sera del 20 dicembre:
– La sera del 20 dicembre Angiolino Micieli venne in casa mia spontaneamente, come spesso faceva perché voleva parlare del matrimonio che intendeva fare con Anna Cariati. Quella sera, però, non se ne parlò affatto. Egli venne verso l’Ave Maria e ne uscì due o tre ore dopo. Non è affatto vero che io avessi chiamato in casa mia Micieli allo scopo di favorirne l’agguato. Appena Angiolino uscì e richiuse la porta di casa mia sentii l’esplosione di colpi, in tutto una diecina…
– E non siete uscito a vedere cosa era successo… questo contegno indifferente usato da voi durante e dopo il fatto depone male…
– Per la verità debbo dire che in quel momento sospettai come autore dello sparo proprio Angiolino Micieli che sapevo armato di rivoltella e di temperamento corrivo alle violenze; del resto nessun lamento o grido attirò la mia attenzione e Micieli, volendo sottrarsi all’aggressione, ben poteva spingere la porta di casa mia, che io non avevo avuto il tempo di chiudere.
Per la Procura le violenze ed i soprusi perpetrati da Angiolino Micieli nei confronti dei Cariati, confortati dai riscontri peritali ottenuti, non giustificano il gesto di Raffaele Cariati, spalleggiato da suo figlio e da suo genero, ma al contrario sono il movente per il quale il delitto è stato premeditato e quindi chiede, ottenendolo, il rinvio a giudizio per tutti e tre gli imputati con l’accusa di omicidio premeditato in concorso.
Ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Cosenza a partire dall’8 marzo 1924.
E c’è subito una sorpresa: Assunta Chiodo, la moglie di Angelo Mollo, dopo aver reso la sua deposizione sotto giuramento, aggiunge:
– Il parente dei Micieli, De Rose, ha minacciato di tagliare la faccia a me ed ai miei familiari perché dico la verità in questo processo…
E da questo momento non è la sola a parlare di minacce ricevute, anche immediatamente prima di andare a deporre davanti alla Corte, dalla famiglia Micieli e dagli amici, perché lo fanno quasi tutti i testimoni e il dibattimento continua in un clima di forte tensione, trasformandosi quasi in un processo contro Angiolino Micieli e la sua banda, invece che contro gli imputati. Ma si va avanti ed emerge che Angiolino Micieli aveva chiesto la mano di Anna e la richiesta era stata accolta favorevolmente dalla ragazza, ma dopo il secondo, drammatico tentativo di sequestro la ragazza cambiò idea e non volle più sentir parlare di Angiolino. A proposito dei tentativi di rapimento, emergono anche particolari inediti e drammatici, come gli spari contro chi cercava di difendere Anna Cariati. Drammaticamente significative sono le testimonianze di Giuseppina Albanito e di Adelina Logullo:
– Quando Angiolino Micieli tentò di rapire la prima volta Anna Cariati, io mi adoperai a difendere la ragazza ed allora Pietro Soriano, amico di Micieli, mi percosse col fucile sulle braccia e poi Micieli mi sparò un colpo di rivoltella, che io schivai… Anna era sconvolta, aveva gli abiti tutti lacerati e si era ridotta in modo irriconoscibile.
– Qualche mese prima dell’omicidio, io stavo in campagna con Anna Cariati, che mi era stata affidata dalla mamma, allorquando ci si fece innanzi un gruppo di giovani, composto da Angiolino Micieli, Antonio Micieli, Oreste Petrelli, Silvio Trotta ed Umile Trombino. Allarmata per la presenza di costoro e specialmente di Angiolino Micieli, che sapevo intenzionato ad offendere la Cariati, subito rinchiusi costei nella mia casetta colonica, ma Micieli, dopo di avermi ingiunto invano l’apertura della casa, si slanciò sul tetto cercando di scoperchiare la casa. Vista in pericolo la ragazza, la feci passare nella stanza successiva e quando mi accorsi che Micieli stava per penetrare anche in questo rifugio, la feci ritornare ove si trovava prima. Intanto gli altri giovanotti mi trattennero a viva forza, permettendo così che Micieli penetrasse nel luogo ove si era rifugiata la ragazza, sostandovi insieme per qualche tempo. Appena potei divincolarmi corsi in aiuto di Anna, che trovai per terra tutta esasperata e Micieli in atteggiamento scomposto, come se avesse sostenuto una lotta. Anna mi assicurò di avere con ogni forza resistito alla violenza usatale da Micieli, che non riuscì, perciò, ad offenderla. In quella occasione Micieli si mostrò di una prepotenza inaudita e non risparmiò minacce a nessuno della famiglia mia e di quella Cariati.
Tutti i racconti ascoltati sulle violenze quotidiane che si commettono a Sartano avranno un peso sulla decisione che la Corte dovrà prendere? Vedremo, perché adesso è venuto il momento di emettere la sentenza.
Sussiste a favore dell’imputato Cariati Raffaele di avere concorso al fatto per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale ed ingiusta?
Quando il Presidente della Corte tira fuori dall’urna i biglietti con la risposta dei giurati a questa domanda, la maggioranza dei voti è SI. Le risposte agli altri quesiti non servono, il processo è finito per Raffaele, suo figlio Giuseppe e suo genero Francesco perché è ovvio che se la Corte ha riconosciuto che è stato Raffaele Cariati a sparare per legittima difesa, gli altri due non sono responsabili. Tutti assolti.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.