SOLA E DISPERATA

Santa Marasco è di Soveria Mannelli e ha 26 anni quando si lega in relazione illecita con il suo paesano Angelo Sirianni. Per questo viene considerata una poco di buono e non importa che i due vivano come marito e moglie, amandosi. Le cose non cambiano nemmeno quando alla fine di marzo del 1876 nasce un bel bambino, che Angelo riconosce immediatamente. Ma se Santa è una poco di buono che vive nel peccato con Angelo, figurarsi cosa comincia a dire la gente dopo che per una brutta malattia Angelo muore e Santa deve darsi da fare in ogni modo per tirare avanti e crescere il suo bambino. Darsi da fare in ogni modo, è questo il problema perché agli occhi del pubblico ciò significa passare da poco di buono a puttana, che per giunta se la farebbe con i malandrini della zona.

Ma Santa non ci sta a farsi dare della puttana e così comincia a girare per i paesi più ricchi del circondario alla ricerca di una onesta occupazione, magari come domestica, quella che una volta chiamavano serva di casa. Nel suo peregrinare di paese in paese arriva a Rogliano e, finalmente, trova ciò che cerca: viene assunta come domestica dal signor Francesco Deni. Siamo negli ultimi giorni del giugno 1878. Santa è felice, piena di speranze per il futuro suo e del bambino, anche se per lavorare è costretta ad affidare la creatura a sua madre.

È il pomeriggio del 18 luglio 1878, non sono passate ancora tre settimane da quando Santa è a casa del signor Deni, quando si presenta sua madre col piccino in braccio:

– Te lo devi riprendere, non posso tenerlo – le dice porgendogli il bambino.

– Ma… eravamo d’accordo, appena mi pagano ti mando i soldi, qui non posso tenerlo…

– E che ci posso fare io? Io so solo che te lo devi riprendere!

Non potevi o non volevi tenerlo? Sei senza cuore! Non sei mia madre!

– Io non ho figlie puttane!

La discussione comincia a degenerare e le due donne cominciano a spintonarsi mentre il bambino piange disperato. Le urla e gli insulti che si lanciano vicendevolmente attirano l’attenzione di Deni che, spazientito, interviene:

– Cos’è ‘sta storia del bambino? Io figli qui non ne voglio, non è che adesso devo dare da mangiare a tutti e due, vai a raccogliere i tuoi stracci e vattene! – ordina freddamente a Santa che, piangendo esterrefatta, ubbidisce. Ma quando sta per andarsene gli fa una proposta:

Don Francì, se trovo qualcuno che si prende cura del bambino mi riprendete?

– Se torni da sola puoi lavorare…

– Grazie! Grazie! – dice buttandosi in ginocchio e prendendo le mani di Deni per baciarle.

– Via, via, vattene e torna da sola!

Santa accompagna con lo sguardo sua madre, continuando a ricoprirla di insulti, ma adesso ha una impellente necessità: trovare una sistemazione al bambino per due o tre giorni e non farlo soffrire sotto il sole dell’estate in mezzo alla strada, permettendole così di andare in giro a trovargli una sistemazione più duratura, poi si vedrà. Conosce, a Parenti, Antonia Amato la fornaia e le chiede il piacere di tenerle il bambino per un paio di giorni:

– Il tempo che vado a Soveria e chiedo a qualche cugino di prendersi il bambino per allevarlo

La fornaia accetta e Santa si mette in cammino verso il suo paese. È di parola, dopo due giorni, il 20 luglio, torna tutta allegra con la buona notizia che un suo cugino si è offerto di sostentare vantaggiosamente il bambino.

– Sei stanca? Ti vuoi fermare qui stanotte?

– No, meglio se partiamo subito, prima arrivo e prima torno da don Francesco per lavorare!

Antonia la vede allontanarsi col bambino in braccio e risponde al saluto che Santa le fa con la mano alzata prima di sparire dietro una curva della mulattiera che porta a Soveria Mannelli.

La sera stessa Santa torna a Rogliano madida di sudore. Non va a casa Deni, è tardi e sicuramente sono tutti già a letto, ma va da Domenico Altimari e sua moglie Maria Salvino, che abitano lì vicino. Sembra stranamente agitata quando racconta:

– Stavo andando a Soveria per condurre il bambino da un mio parente e in contrada Tavolaria ho incontrato un paesano con un asino che si offrì ben volentieri a sottrarmi dai trapazzi del lungo viaggio e che lo avrebbe portato lui dal mio cugino. Allora ho messo il bambino in una delle ceste legate all’imbasto della cavalcatura, facendo un guancialetto della piccola giacca che indossa il bambino, poi l’ho salutato e li ho visti incamminarsi verso il paese. Mi potete fare dormire qui perché è tardi e i padroni dormono?

Domenico e Maria la accolgono e se ne vanno a letto, ma l’uomo durante la notte si sveglia più volte sentendo l’ospite sospirare e respirare affannosamente. Poi la mattina Santa ringrazia e torna dal signor Deni libera da ogni problema e viene riammessa in servizio.

È la mattina del 22 luglio 1878, Francesco Stumpo ed il fratellino Antonio, seguiti dal loro cane, sono appena arrivati nel loro castagneto in contrada Tavolaria, territorio del comune di Marzi, per pulire gli alberi, quando vengono sorpresi da un violento temporale. I due fratelli ed il cane si precipitano nella casupola che è nel fondo e si siedono a terra, mentre il cane comincia a frugare sotto un cumulo di frasche. Francesco lo guarda divertito, ma all’improvviso salta in piedi urlando e bestemmiando: il cane ha tra i denti il cadavere di un bambino! Terrorizzato, Francesco afferra il fratellino e corre via verso Rogliano per andare dai Carabinieri.

Quando il Maresciallo, il Pretore ed il medico, incaricato della perizia sul cadaverino senza nome, arrivano sul posto, trattengono a stento il vomito per lo spettacolo disgustoso che si presenta davanti ai loro occhi, ma il dovere è dovere ed il medico annota: il cadavere appresentasi in uno stato di putrefazione avanzata, da far ritenere che la morte sia avvenuta sette o otto giorni dietro. Denudato ed esaminato con ogni scrupolo e diligenza, si è scorto nell’esterno tutto tumido e gonfio per gli effetti della corruzione e rosicchiato in svariate parti dai topi. Il capo, poi, ha segnatamente attirato la mia attenzione perché denudato in buona estensione delle parti molli, meno l’occipite e quelle posteriori delle ossa parietali, che sono coperte dal cuoio capelluto e dei comuni tegumenti. Del resto, faccia, fronte, occhi, naso, orecchie e mascelle superiori e inferiori mancano interamente perché strappati e divorati da qualche cane. Però, in mezzo a tante mutilazioni e sfacelo, avendo attentamente osservato le singole regioni del cranio, ho rinvenuto una frattura lineare sul lato destro e anteriore dell’osso occipitale e nell’osso parietale corrispondente veggonsi le tracce di una larga ecchimosi e un’impronta di tinta rosso-bruna. Inoltre, avendo portato la mia attenzione sul collo, ho osservato del pari rosicchiati i tessuti molli, ma i ruderi degli stessi sono tutti intinti da profonde ecchimosi e sangue stravasato. In più è notevole la completa lussazione della prima vertebra cervicale. La regione omerale del braccio destro mostrasi contusa nel davanti. Né è da omettersi che la camicia che circuiva il collo presentasi macchiata da molto sangue sgorgato dalle descritte offese. Son quindi di parere e giudico che la morte dell’infelice bambino derivò dal contorcimento del collo, causa della lussazione, con lo svoltamento del midollo allungato, nonché dai colpi simultanei sulla testa mercé corpo contundente che trasse seco la commozione cerebrale.

Bisognerà indagare a fondo perché in nessuno dei paesi del circondario è stata denunciata la scomparsa di un bambino tra i due e i tre anni e si spera che, diffondendo il più possibile la notizia del macabro ritrovamento, qualcuno che ha visto qualcosa di sospetto parli. E qualcosa di sospetto pensano di aver visto Domenico Altimari e sua moglie i quali, dominati da cupi e tristi presentimenti che possa trattarsi del bambino di Santa, decidono di andare dai Carabinieri a raccontare della sua visita notturna, del suo nervosismo, del suo respiro affannato. Quando i due escono di casa, la intravedono che si allontana dalla casa di Deni con un fagotto in mano e sembra avere molta fretta.

Domenico Altimari viene portato nella camera mortuaria del cimitero di Rogliano per vedere se riconosce quel corpicino martoriato. Lo osserva attentamente, poi fa cenno di si con la testa mentre si mette le mani nei capelli per lo spavento, dicendo:

Povero figlio… che avevi fatto per essere così ingiustamente assassinato da tua madre? Questo cadavere che ci sta dinnanzi è di quel bambino oggetto della mia dichiarazione e lo conosco anche dalle vesti che sono quelle che indossava il giorno venti passato

E come fa a dire con certezza che è stata Santa ad uccidere il suo bambino?

La notizia del ritrovamento del corpicino martoriato arriva anche a Parenti e quindi alle orecchie di Antonia Amato, la quale corre dai Carabinieri a raccontare ciò che sa. Il cadavere non glielo fanno vedere, ma le fanno descrivere gli indumenti che indossava il bambino per avere la conferma che si tratti proprio di lui:

Il bambino era di belle forme ed ispirava simpatia. Aveva una giacca di tricò in cotone biggio, un calzoncino dell’istesso panno rigato, una camicetta di tela ed una fascia di tela bianca attorno al busto. Non occorre dire che se lo rivedessi lo riconoscerei anche vedendolo cadavere

Gli indumenti corrispondono e quindi non ci sono più dubbi, è il bambino di Santa Marasco. E, nonostante al momento non ci siano indizi per sospettare che sia stata la mamma ad uccidere il bambino, viene emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. I Carabinieri vanno a casa del signor Deni, ma la donna non c’è, è sparita, e questo si che è un indizio della sua colpevolezza! Con l’occasione, i Carabinieri interrogano il padrone di casa:

Santa Marasco si collocò al mio servizio il trenta giugno ultimo ed il diciotto luglio mi determinai licenziarla poiché la madre di lei le presentò nella mia casa l’unico suo figlio, di circa anni tre, dicendo che non poteva più alimentarlo. Ebbe luogo fra esse un animato diverbio e se non mi trovavo presente ne sarebbero seguite vie di fatto. Poi, al sentire che si era trovato il cadavere di un bambino nella contrada Tavolaria, la vidi subito impallidire ed in preda a seria agitazione; senza frapporre tempo in mezzo, fatto un fardello dei pochi oggetti che possedeva, mi rivolse le seguenti parole: “Forse crederà qualcuno che mio figlio sia morto, ma voglio ora andare a Soveria per portarlo qui!”. Non seppi oppormi e immantinente scomparve, ignorando quale direzione abbia preso. Riflettendo ora meglio su questo suo contegno, non posso nascondere i sospetti che si sono ingenerati in me, quantunque l’animo ripugna a credere che una madre possa essere tanto snaturata ed iniqua da disfarsi del proprio figlio

Ovviamente omette di aver detto di non voler dare da mangiare al bambino e chissà se al signor Francesco Deni sia venuto in mente, seppure per un solo istante, che se si dovesse accertare la responsabilità di Santa nell’orribile morte del suo bambino, forse un po’ di colpa ce l’ha anche lui che l’ha messa alla porta nel momento del disperato bisogno di aiuto che aveva per badare al suo bambino. Ma anche se la responsabilità di Santa dovesse essere accertata, il signor Deni per legge non potrà essere ritenuto responsabile di nulla e sarebbe giustizia se almeno per un istante provasse, a prescindere, un briciolo di vergogna. Ma non accadrà, il mondo va così, tutti a dare addosso al mostro fuori di noi e tutti ad assolvere il mostro dentro di noi e adesso ci si mettono anche i paesani di Santa, che corrono dai Carabinieri per dire che la sua condotta morale, tranne che per il periodo in cui convisse con Angelo Sirianni (ma allora non dicevano che per quella unione era una poco di buono?), è sempre stata pessima, votata al commercio del suo corpo. In tutto questo, la cosa strana è che per il Comune e la Parrocchia di Soveria Mannelli la sua condotta morale è stata sempre buona. Misteri dell’ufficiale e dell’ufficioso!

Santa resta latitante fino alla mattina dell’8 agosto 1878, quando viene casualmente fermata da due Carabinieri mentre cammina in stato confusionale a Cosenza:

Ignoro se mio figlio sia vivo o morto

Perché, non appena si sparse la voce che era stato trovato il cadavere di un bambino nella contrada Tavolaria, partisti immantinente senza più ritornare in casa del tuo padrone? Fosti a Soveria giusta la promessa fatta al padrone?

Non so… ora non ricordo bene… si, partii subito alla volta di Cosenza per dimostrare la mia innocenza.

– Smettila di dire fesserie e confessa!

Santa si chiude nel silenzio abbassando il capo e tenendo gli occhi fissi sul pavimento. Dopo qualche minuto si scuote e risponde ad una nuova domanda:

– È vero che tua madre ti ha riportato il bambino a casa del tuo padrone? Tu cosa hai fatto?

– Diceva che non poteva più alimentarlo… a me era d’impaccio e di ostacolo per l’esercizio del mio mestiere di domestica… il padrone mi licenziò…

– E poi?

– Quando lo ripresi dall’abitazione di Antonia Amato lo tenevo in braccio e mossi per Soveria onde consegnarlo ad un mio parente. Verso una mezz’ora di notte, giunta nella contrada Tavolaria, m’incontrò uno sconosciuto il quale, con proposte poco oneste, mi dié una stretta di mano e siccome mi cadde il bambino sulla via, non tardai darmi alla fuga. A breve distanza udii le grida del mio pargoletto e fattami a quella volta, verificai che quell’ignoto l’aveva ucciso e perché il cadavere non fosse rimasto insepolto, lo trasportai in un vicino casolare, la di cui porta si apriva e chiudeva con un semplice saliscendi. Su quanto fatto serbai il più stretto silenzio

Non è credibile, ma c’è l’ammissione di aver occultato il cadavere del bambino e questo vuol dire che in qualche modo è responsabile. Il giorno dopo la interrogano di nuovo e rivela:

Quello che ha ucciso mio figlio è Antonio Martino La Greca. Quando lo incontrai aveva un rasoio nelle mani e con quest’arma gli tagliò interamente la gola

No, non ci siamo. Primo, la gola del bambino non è stata tagliata, quindi la dichiarazione è falsa; secondo, non si capisce il motivo per cui una persona incontra casualmente una donna con un bambino in braccio e non ha niente di meglio da fare che tagliare la gola al bambino.

Che ne so io, così è e se non mi volete credere sta a voi! – urla quando glielo fanno notare.

Antonio Martino La Greca è completamente estraneo ai fatti e non lo interrogano nemmeno.

È evidente che Santa è fuori di sé. Uccidere il proprio bambino torcendogli il collo come si farebbe con un pollo e fracassargli la testa per essere sicura di averlo ucciso perché altrimenti avrebbe perso il posto di lavoro non è affatto facile da accettare e allora si raccontano le cose come se si fosse stati presenti ma impossibilitati ad intervenire, come in un brutto sogno. Chissà se col tempo Santa riuscirà a raccontare le cose come realmente sono avvenute, perché è chiaro, a questo punto, che lei è pienamente responsabile.

E questo momento forse è arrivato quando una detenuta di passaggio nel carcere di Cosenza, dove è rinchiusa Santa, chiede di parlare col capo delle Guardie e gli dice che Santa le ha raccontato tutto per filo e per segno, così portano questa donna davanti al Giudice Istruttore e racconta qualcosa che convince il Cancelliere a riportare le sue parole in dialetto, senza mediazione, perché hanno più forza:

La notte scorsa Santa, richiesta da me sul motivo del suo arresto, mi fece la seguente dichiarazione: “Avìa nu figliu e siccome lu patrune nun putia dare a mangiare a tutti i due, li turciniai lu cuallu, mi lu cacciai di tuarnu e lu purtai intra na caselluzza, ma era megliu si l’avissa fattu mangiare alli cani… mancai di tagliarmi i capilli e minarmi in campagna, ma si tiegnu n’acinu di largu minne fuju…”. Dietro queste parole restai esterrefatta e fu tale la paura da non poter chiudere gli occhi durante la notte, anche perché avevo meco la mia bambina di un anno e mezzo e non esagero affermando che ancora mi tremano le gambe

Un racconto orribile che mette in evidenza la disperazione di Santa per non aver potuto, forse non aver saputo, trovare una via d’uscita per il suo bambino.

Assassinio per premeditazione in persona del proprio figlio, reato che prevede la pena capitale, ed è con questa terribile imputazione che viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

L’udienza è fissata per il 26 aprile 1879 e tutto si svolge nel giro di poche ore. La Corte, in considerazione della sua condotta penale illibata, decide di accordarle le attenuanti generiche e spiega: atteso che, indipendentemente dall’affermato parricidio (l’omicidio di un parente in linea retta, ascendente o discendente che sia, è classificato come parricidio. Nda) che per le Provincie napoletane sarebbe passibile dei lavori forzati a vita, come l’omicidio volontario accompagnato dalla premeditazione costituisce l’assassinio e va punito con l’estremo giudizio; atteso che per le ammesse attenuanti la detta pena deve diminuirsi di un grado, onde discende a quella dei lavori forzati a vita; atteso che le sentenze per condanne ai lavori forzati a vita debbano stamparsi, pubblicarsi ed affiggersi nei modi e luoghi voluti dalla legge, condanna Santa Marasco alla pena dei lavori forzati a vita.[1]

I figli non si toccano. I bambini non si toccano. Ma la disperazione, quella vera e nera, fa compiere azioni estreme e lo vediamo ogni santo giorno, come ogni santo giorno vediamo donne alle quali viene negata la maternità con la minaccia del licenziamento.

Personalmente spero che la madre di Santa, il signor Francesco Deni e tutti quelli che hanno espresso giudizi affrettati, almeno per un istante durante il corso della loro vita si siano vergognati di loro stessi. Ma so che è una speranza vana.

[1] ASCS, Processi Penali.