LE MINACCIOSE INSISTENZE DI UN VECCHIO SATIRO

Il 20 luglio 1940 è giunto all’ora del tramonto. Carmine Turco, sessantanovenne fattore dell’avvocato catanzarese Le Pera, a dorso del suo asino sta tornando a casa in contrada Pileo di Paterno Calabro. Per un lungo tratto sulla mulattiera non c’è anima viva ma poi, svoltata una curva, seduta ai bordi della mulattiera a rammendar calze c’è una giovane donna, Giuseppina Esposito. Turco la vede, tira le briglie dell’asino, contemporaneamente emette il tipico verso per far fermare l’animale, e rivolge alcune parola sottovoce alla donna che gli risponde con lo stesso tono, poi pianta i talloni nei fianchi dell’asino e riprende il cammino. Pochi metri più avanti, non vista né da Turco e né da Giuseppina, c’è una ragazzina, intenta a raccogliere delle sterpaglie, che li osserva. All’improvviso un urlo emesso da una voce maschile la scuote:

O mammarella mia! Oi Giovanni

La ragazzina, Marietta Pastore, spalanca la bocca, si gira di scatto e scappa via.

È buio quando Giuseppina Esposito, con qualche graffio sul viso, i vestiti sporchi di sangue, una manica della camicetta strappata, bussa alla caserma dei Carabinieri di Dipignano e chiede di parlare col comandante:

– Stasera ho ucciso con una scure Carmine Turco… l’ho fatto per difendere la mia integrità fisica ed il mio onore perché Turco mi aveva minacciata con la rivoltella onde costringermi ad accoppiarmi con lui

– Spiegate meglio come è successo

Egli transitava con l’asino sulla stradicciuola nei cui pressi mi trovavo e mi rivolse dapprima inviti, indi minacce e poi, alle ripulse avute, disceso dall’asino mi ha puntato contro la pistola. Io gli vibrai un colpo di accetta alla mano, onde la pistola è caduta… ne derivò una lotta, Turco cadde a terra, si rialzò e io gli vibrai colpi di scure all’impazzata; si accasciò e spirò pochi minuti dopoè stata una scena fulminea che durò cinque o sei minuti al massimo

Dalle condizioni di Giuseppina e dal suo racconto sembra proprio un caso di legittima difesa, anche perché i Carabinieri, a circa un metro dal cadavere, trovano una rivoltella, presumibilmente quella caduta a Turco in seguito al colpo di scure sulla mano. Ma la mattina dopo, fatti altri accertamenti, qualcosa sembra non quadrare. Intanto sulla parte posteriore della sella dell’asino ci sono evidenti macchie di sangue e non si capisce come ci sia finito. Poi ci sono le confidenze raccolte dai Carabinieri che riferiscono di una tresca esistente tra il sessantanovenne Turco e la poco più che ventenne Giuseppina e diventa problematico pensare alla difesa dell’onore ormai già abbondantemente compromesso. Ci deve essere dell’altro sotto.

E su cosa potrebbe esserci sotto, un bagliore di luce lo getta Rosaria Tiano, la madre di Marietta Pastore, che si presenta dai Carabinieri tenendo per mano la ragazzetta:

– Ho sentito urlare mia figlia e sono uscita per andarle incontro. Piangendo terrorizzata mi ha detto che Giuseppina Esposito aveva vibrato un colpo di scure a Turco. Io sono corsa sul luogo e ho chiesto a Giuseppina che mai avesse fatto e questa mi ha risposto bestemmiando i morti a Turco

– Sapete dirmi quanto tempo poteva essere passato dal fatto fino a quando avete parlato con la Esposito?

– Beh… da casa mia ci vuole più o meno un quarto d’ora e quindi il fatto doveva essere accaduto circa mezz’ora prima

– Adesso vorrei sentire vostra figlia… vieni, stai tranquilla che non succede niente

Marietta ancora trema per lo spavento, ma riesce a raccontare ciò a cui ha assistito:

Mentre Carmine Turco, cavalcando un asino, aveva di poco oltrepassato il punto ove trovavasi Giuseppina, questa, senza profferir verbo si alzò da terra, imbrandì una scure e sferrò un colpo proprio alla schiena. Turco, che si abbattette a terra, disse: “O mammarella mia! Oi Giovanni…”

– Ma Turco è passato davanti alla Esposito senza fermarsi e scambiare qualche parola o si è fermato?

– Si è fermato un poco e hanno parlato…

– Non hai visto una rivoltella in mano a Turco?

– No, se ne stava andando ed era di spalle quando Giuseppina lo ha colpito.

E se le cose fossero andate davvero così non si tratterebbe più di legittima difesa ma di omicidio. Il problema, però, è individuare il movente e trovare i riscontri necessari che confermino le parole di una ragazzina. Poi, indicato ai Carabinieri dalla madre di Giuseppina, si presenta Amedeo Corrado, un contadino che lavora un pezzo di terra nelle vicinanze del luogo dove è successo il fatto, e racconta tutto il contrario di quanto sostiene Marietta:

Verso le 19,00 del giorno 20 luglio, stando nel mio fondo, per circa mezz’ora sentii un litigio fra un uomo ed una donna. Non distinsi le parole dell’uomo, ma distinsi a perfezione quelle della donna e precisamente queste: “Mi spari, mi spari, ma io voglio farmi i fatti miei e non voglio mettere la sventura nella mia famiglia!”. e dopo come dei colpi di bastone frammisti a parole di concitazione della donna.

Chi dice la verità? Marietta o Amedeo Corrado? Intanto i Carabinieri notano subito una contraddizione tra il racconto del testimone e la dichiarazione di Giuseppina: il primo sostiene che tutto durò circa mezz’ora, mentre la seconda ha raccontato che la scena durò cinque o sei minuti al massimo. La differenza è troppa, ma si sa che la percezione del tempo può essere distorta dalle circostanze in cui ci troviamo e quindi si decide che è opportuno eseguire un sopralluogo per capire se Amedeo Corrado era nelle condizioni di sentire ciò che ha riferito. Così si stabilisce che tra il punto dove si svolsero i fatti ed il punto dove si trovava il testimone intercede una distanza da 200 e 250 metri e si può ascoltare ciò che avviene nell’altro punto soltanto se si grida ad alta voce. Questo vuol dire che Amedeo Corrado non è credibile, almeno quando afferma di aver sentito un uomo parlare a bassa voce ed aver percepito come dei colpi di bastone. Ma perché Amedeo Corrado avrebbe mentito a favore di Giuseppina? Forse è a conoscenza di circostanze connesse con il fatto dell’uccisione di Carmine Turco? Il mistero si infittisce quando i Carabinieri scoprono che Corrado ce l’aveva con Giuseppina perché era convinto che questa aveva deposto contro di lui rendendo, secondo egli pensava, una falsa testimonianza. La risposta all’enigma potrebbe e dovrebbe darla lo stesso Corrado, nuovamente interrogato:

Fui querelato da Carmine Turco per furto e danneggiamento e divenni suo nemico

Cosa? Era nemico di tutti e due? La cosa curiosa è che non fa nessun accenno alla inimicizia con la donna, forse perché considera la denuncia fattagli da Turco più grave della mai provata falsa testimonianza attribuita a Giuseppina. Il risultato è che la sua versione dei fatti, anziché migliorare la posizione della donna, la aggrava.

A questo punto, prima di proseguire, è opportuno ricapitolare tutto brevemente: Giuseppina sostiene di aver ucciso Carmine Turco per legittima difesa in quanto questi la minacciò a mano armata se non avesse accettato di concedersi a lui. Marietta Pastore sostiene che Giuseppina colpì la vittima, disarmata, alle spalle.

E sembra che la verità dei fatti risieda nella testimonianza della ragazzina perché gli inquirenti rintracciano un riscontro oggettivo alle sue parole: le macchie di sangue sulla parte posteriore della sella dell’asino. Infatti, solo con un colpo di scure alle spalle della vittima si possono spiegare le macchie sulla parte posteriore della sella.

La difesa di Giuseppina contrasta vivacemente questa ricostruzione sostenendo che il sangue rinvenuto sull’arcione posteriore della sella ha potuto sprizzare dalla ferita inferta al braccio destro della vittima e teoricamente potrebbe anche essere così, ma non ci sono riscontri oggettivi, al contrario della tesi degli inquirenti, sostenuta dalla testimonianza della ragazzetta Pastore, ferma, precisa, inalterata.

Alla fine, incalzata dalla voce pubblica che la accusa di adulterio consumato con la sua vittima, Giuseppina ammette di avere avuto cinque o sei rapporti sessuali con Turco, ma sempre perché sottoposta a violenza. E ci può stare.

Ciò a cui assolutamente gli inquirenti non credono è che Turco, alla tarda età di 69 anni, avesse tanta satiriasi da pretendere, in pieno meriggio, su d’una strada campestre, alla presenza dei figli della Esposito, un immediato congresso carnale dalla donna decisamente avversa.

Si fa strada l’ipotesi che il marito di Giuseppina, venuto a conoscenza delle voci sul suo conto, abbia potuto indurla ad uccidere Turco per salvare il suo onore di marito cornuto. E per non sbagliare viene arrestato, ma in carcere ci sta pochissimo perché dimostra subito di non entrarci né dalla porta e né dalla finestra in questa brutta storia.

Passato il fascicolo nelle mani del Giudice Istruttore, il 4 gennaio 1941, questi decide il rinvio a giudizio di Giuseppina Esposito davanti alla Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario e porto ingiustificato di scure.

Il 28 giugno 1941, lette le carte e sentiti i testimoni, per la Corte è il momento di trarre le conclusioni: se Esposito avesse colpito e ucciso per difendersi, lo avrebbe, quasi con sadica gioia, gridato senza riserve pur usando parole non parlamentari confacenti alla sua educazione ed al proprio livello sociale. Disse solo un’espressione triviale. Non è questo il linguaggio di donna che poco prima ha dovuto difendere i suoi più grandi beni: la vita e l’onore! Bisogna considerare che dopo l’uccisione di Turco, Giuseppina Esposito  restò sul luogo del delitto, sola, circa mezz’ora. Durante questo tempo ebbe l’agio di compiere la toeletta dei luoghi: sistemare la rivoltella dove fu trovata, strappare la manica della camicetta per simulare la lotta ed accreditare la tesi della legittima difesa. Non è improbabile che Turco, dopo caduto dall’asino, abbia cercato di difendersi ed abbia tolto la rivoltella. Esposito ebbe a dargli il colpo al polso della mano destra onde la rivoltella poté sbalzare sul posto ove trovavasi. E non è improbabile che Turco, nello sforzo disperato di difendersi, abbia abbrancato Esposito, donde lo strappo alla manica della camicetta e l’insanguinamento. I due elementi sono, per lo meno, equivoci e non valgono a scalzare quelli che promanano dalla voce innocente di una bambina.

Quindi è chiaro che per la Corte si tratta di omicidio, ma per qualificarlo ai fini della pena bisogna accertarne il movente e parte da lontano: Ma perché, dunque, uccise Giuseppina Esposito? Il Procuratore Generale, facendo proprie le congetture dei Carabinieri, disse che Carmine Turco non aveva più mollato sussidi [per avere ottenuto i favori di Giuseppina. Nda], onde il risentimento e, quindi la vendetta. Sono congetture che pur non trovando giustificazioni nel processo, possono essere fondate sul fatto che la tresca vi fu e che fu poi interrotta. Ma altra ipotesi può farsi: Carmine Turco godette i favori di Giuseppina Esposito per cinque o sei volte. Lo dichiarò costei ai Carabinieri. Disse di essere stata presa con violenza. Non è credibile. Essa è giovane, Turco si avviava verso le settantina! E poi violenza per cinque volte! La Esposito cedette, opina la Corte, non per libidine! Turco, vecchio, non era il più adatto a smorzarla! Cedette perché Turco esercitava su lei un’autorità per averle procurato da lavorare nel fondo dell’avvocato Le Pera di Catanzaro, perché amministratore di costui poteva farle togliere la coltivazione del fondo da un momento all’altro. Vi era una specie di timore reverenziale per Turco. Questa la più probabile ragione dei cinque o sei congressi carnali cui Esposito cedette. Il codice e la morale riconoscono solo la violenza fisica, non quella psicologica. Poi la Corte continua: Affiora nel processo, ed il vigile ed acuto difensore lo rilevò, che il marito di Giuseppina Esposito concepì dei sospetti sulla fedeltà della moglie, onde minacce continuate di morte contro di lei. Tutto induce a credere che per questa ragione Esposito volle troncare la tresca. Essa, da vari mesi, non andava più in casa di Turco, ritenuto notoriamente donnaiolo. Questi, quando nella sera fatale del 20 luglio 1940, passò dinnanzi a Giuseppina Esposito, dovette dirle qualche cosa. Non è possibile, dati i precedenti rapporti con lei, che non le abbia rivolto la parola. Tutto fa ritenere che Turco, come disse il nipote, quel giorno non aveva necessità di recarsi in campagna, abbia cercato occasione con lei e le abbia proposto di riattaccare le sospese relazioni. Al diniego ha dovuto seguire la minaccia, probabilmente quella di farla scacciare dal fondo che lei ed il marito avevano in affitto. Questa insistenza e questa minaccia han dovuto determinare l’improvviso risentimento dell’imputata, donde la fulminea, violenta reazione omicida. Questa versione è accreditata dai precedenti corsi tra Turco ed Esposito, dalla tendenza del Turco, dal fatto che Esposito smise di recarsi in casa di costui, dalle scenate di gelosia del marito dell’imputata. Del resto è la sola, se non è esatta quella congetturata dai Carabinieri, che può spiegare l’avvenimento, così come narrato da Marietta Pastore. Fermata questa versione della minaccia, ne deriva che l’imputata debba beneficiare dell’attenuante della provocazione. Quale che sia il motivo per cui la tresca fu interrotta, per volontà della Esposito o perché essa non fu compensata dal Turco o perché essa ebbe timore di essere scoperta dal marito, è certo che le minacciose insistenze del Turco di riallacciare la tresca, furono ingiuste e tali da determinare nella Esposito uno stato d’ira, donde la fulminea sua reazione!

Tutto chiaro, non resta che determinare la pena: partendo dai 21 anni di reclusione ritenuti equi dalla Corte ed applicando la diminuzione di un terzo per effetto dell’attenuante concessa, la pena resta fissata in anni 14 di reclusione, oltre alle pene accessorie, spese e danni.

Il 26 febbraio 1942 la Corte d’Assise di Cosenza dichiara inammissibile il ricorso di Giuseppina Esposito e la condanna diventa definitiva.

Il 9 marzo 1950 la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonati anni 1 della pena.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.