COME BESTIE DA SOMA

Sono circa le 10,00 del 21 aprile 1949 ed il cantoniere Silvio Granata sta controllando il tratto della Strada Statale 19 di sua competenza nei pressi di Castrovillari, quando in mezzo al grano piantato in un terreno adiacente alla carreggiata nota qualcosa di strano, forse un ubriaco che dorme per smaltire la sbornia. Granata non deve fare nemmeno dieci metri per rendersi conto che non si tratta di un ubriaco, ma del cadavere di un uomo con il viso schiacciato e senza altre appariscenti lesioni. “Molto probabilmente l’uomo è stato investito mentre camminava sul ciglio della strada ed è stato scaraventato nel seminato”, pensa e dello stesso avviso sono i Carabinieri che, dopo aver proceduto all’identificazione sommaria dell’uomo, riconosciuto per Vincenzo Zicari, convocano sul posto la moglie, Carmela Perfetti, e le tre figlie, Teresa, Maria ed Antonietta. Si, il morto è proprio Vincenzo Zicari.

– È uscito ieri sera verso le otto e non ha fatto più ritorno – dicono le quattro donne.

Ma i Carabinieri, sospettosi per mestiere, notano qualcosa di strano nel loro comportamento: troppo calme e quasi indifferenti davanti al cadavere del loro familiare. E se non si fosse trattato di un incidente stradale ma di un omicidio e le donne ne sapessero più di quanto non lascino sospettare? Meglio tenerle sotto controllo e aspettare i risultati dell’autopsia.

E subito i sospetti sembrano fondati perché la visita necroscopica accerta che Vincenzo Zicari è morto per varie lesioni prodotte mediante mezzo contundente che hanno provocato la frattura del cranio con lesione del cervello. Si potrebbe obiettare che non c’è un mezzo più contundente di un veicolo che colpisce un corpo umano, ma ciò che sembra escludere l’investimento è la forma dei segni impressi sul corpo del disgraziato: sottili e lineari come se fosse stato preso a bastonate. Meglio andare a dare un’occhiata a casa Zicari, tanto più che è sita a breve distanza dal punto ove si trovava il cadavere.

E le sorprese non mancano: in cantina vengono ritrovati una federa da cuscino ed un mantello – quello dello Zicari – macchiati di sangue, nonché, dietro un tino, un sacco ugualmente sporco di sangue. Macchie di sangue vengono repertate nella camera da letto, all’altezza della testata del letto dello Zicari, macchie che appaiono coperte di recente con latte di calce e, guarda caso, un recipiente contenente calce viene trovato in casa.

È ovvio che in quella casa è accaduto qualcosa di brutto, così i Carabinieri interrogano Teresa, la primogenita che, dopo un lungo silenzio, confessa:

– L’abbiamo soppresso io e Maria previo accordo preso in proposito, giorni prima, con nostra madre e nostra sorella Antonietta le quali la notte del delitto hanno, come di consueto, pernottato nella casa che possediamo a Castrovillari.

– Perché lo avete ucciso? Era vostro padre…

– Lo abbiamo fatto per i continui maltrattamenti cui soleva sottoporci.

– Non è che vostro padre ha dato origine al fatto attentando al vostro onore?

– No.

– Come sono andate le cose quella notte?

Mio padre, dopo aver consumato una minestra di fagioli preparata da Maria, si distese sul letto senza spogliarsi e senza coprirsi con alcuna coperta. Fu subito preso dal sonno. Io e Maria, dopo aver mangiato un pezzo di pane asciutto abbiamo stabilito di uccidere nostro padre

– Con cosa lo avete colpito?

Lo abbiamo soppresso nel sonno… l’ho colpito prima io con un pezzo di legno e poi mia sorella con un altro pezzo di legno. Poi, accertateci della morte di nostro padre, abbiamo messo il corpo sopra una tavola, trasportandolo in tal modo fino alla località in cui, al mattino, è stato rinvenuto

– Come ha reagito vostra madre alla notizia?

Mia madre, da me messa al corrente del delitto, mi ha detto: “avete fatto bene ad uccidere vostro padre perché, un giorno o l’altro, egli avrebbe ucciso noi”.

Tutte e quattro finiscono in carcere con l’accusa omicidio più volte aggravato per i rapporti di parentela o di coniugio con la vittima e per la premeditazione e, interrogate, si limitano a confermare, puramente e semplicemente, la dichiarazione rilasciata da Teresa.

Quando Teresa viene interrogata dal Giudice Istruttore cambia versione:

Mi decisi ad uccidere mio padre in quanto costui in precedenza aveva varie volte tentato invano di possedermi. La sera del 20 aprile aveva cercato, ancora una volta, di usarmi violenza presentandosi nella mia camera da letto, mentre stavo svestendomi per potermi coricare, armato di due scuri che appoggiò in vicinanza del letto… aveva i pantaloni sbottonati e la “vergogna” di fuori, mi afferrò cercando di sollevarmi le vesti… io gridai facendo, così, accorrere mia sorella Maria, che già si era messa a letto; Maria lo colpì violentemente alla testa con un legno, poi lo colpii anche io alla testa con altro legno… mamma e Antonietta non ne sapevano niente…

Maria conferma questa versione dei fatti ed anche lei conferma che la madre e la sorella sono estranee al delitto, ma gli inquirenti, oltre a ritenere falsa l’affermazione di Teresa e Maria che vorrebbero ricondurre il movente del parricidio al tentativo del padre di piegare Teresa alla sue impure voglie sia per il silenzio mantenuto sull’argomento dalle due sorelle davanti ai Carabinieri, sia dal fatto che colpita risultò la regione sinistra del capo e macchie di sangue furono riscontrate sul muro retrostante alla testata del letto del padre e non in prossimità del letto di Teresa, il che sta a dimostrare che lo Zicari fu aggredito e colpito proprio mentre era nel suo letto e dormiva, come Teresa aveva dichiarato all’Arma nel suo primo interrogatorio, sono anche convinti del coinvolgimento di tutte e quattro per cui, con sentenza del 18 febbraio 1950, tutte vengono rinviate al giudizio della Corte d’Assise di Rossano per rispondere dei reati loro ascritti.

Durante il dibattimento la piena responsabilità di Teresa e Maria viene confermata e la Corte ritiene di avere individuato il vero movente del parricidio: dalle concordi risultanze processuali risulta che Vincenzo Zicari era un padre rigido ma non inumano: le figlie lo odiavano perché, col suo carattere intransigente, aveva fatto loro sfuggire l’occasione di sposarsi e le aveva sistematicamente indotte a privarsi di ogni svago e qualsiasi divertimento e le costringeva a lavorare senza tregua; recentemente si era perfino sbarazzato, vendendolo, del cavallo, l’unico valido aiuto che esse trovavano nelle loro gravose occupazioni, il che lasciava loro fondatamente scorgere la prospettiva sconfortante di future ancor più pesanti fatiche da doversi affrontare con la sola forza delle loro braccia. Le imputate furono spinte dall’odio che nell’animo loro era andato fomentando contro il padre per aver fatto sfumare buoni matrimoni.

Se la responsabilità di Teresa e Maria è certa, la Corte ha molti dubbi sul coinvolgimento nel delitto della loro madre e della loro sorella Antonietta: si è voluta ravvisare da due circostanze: la luce notata accesa nella casa della famiglia Zicari a Castrovillari verso le ore 0,30 o 1,00 della notte in cui avvenne il delitto e l’incontro che, verso le ore 6,00 o 6,30 del 21 aprile tale Zicari Giovanni avrebbe fatto alla salita di santo Nocito con Carmela Perfetti che, a bordo del suo carretto carico di verdura veniva alla volta del paese. La prima circostanza (che, attestante una insolita attività notturna nella casa di Castrovillari ove solevano dormire la Perfetti e la figlia Antonietta, a carico di costoro avrebbe dovuto costituire un indizio) è rimasta praticamente svuotata di contenuto per effetto dell’accertamento della natura del contratto per la fornitura di energia elettrica stipulato dalla famiglia Zicari, che veniva fornita a “forfait”, il che spiega come i membri della famiglia non avessero alcun interesse di curare lo spegnimento della luce quando della stessa non dovessero usufruire e porta alla conseguenza che l’accensione della luce in quella casa non fosse, univocamente e necessariamente, da mettersi in rapporto con l’attività in casa di qualcuno della famiglia.

L’altra circostanza è da escludersi per l’evidente mendacio in cui Lo Zicari Giovanni è incorso. Se il teste avesse detto la verità, la mattina del 21 aprile il carretto della Perfetti si sarebbe dovuto trovare in paese, mentre una testimone ebbe ad incontrare la Perfetti e la figlia Antonietta mentre, a piedi, si avviavano in campagna ed in campagna fu rinvenuto il carretto subito dopo la scoperta del delitto. D’altra parte, lo Zicari Giovanni affermò che il carretto era carico di verdura, cosa, questa, che è rimasta smentita sia dalla nota 13 ottobre 1950 del Sindaco di Castrovillari attestante che il 21 aprile 1949 nessuna bolletta per generi di verdura nel mercato di quella città era stata rilasciata al nome di Perfetti Carmela o a quello di altri familiari della stessa, che nei giorni precedenti, invece, di tali bollette avevano ottenuto il rilascio, sia dal fatto che nessun quantitativo di verdura venne, nella mattinata del 21, rinvenuto nell’abitazione in Castrovillari della famiglia Zicari.

Chiarito che Carmela Perfetti e sua figlia Antonietta non hanno materialmente preso parte al delitto, resta da chiarire se vi abbiano concorso moralmente. Secondo la Corte no e basa questo convincimento su una frase di Teresa: “Io e Maria, dopo aver mangiato un pezzo di pane asciutto abbiamo stabilito di uccidere nostro padre”. Intendiamoci, per la Corte non esiste il concorso morale, ma è lecito ritenere la sussistenza di una mera idea che, presentatasi per un istante alla mente di tutti i familiari di casa Zicari, non ebbe seguito alcuno, né determinò comunque il delitto, verificatosi per effetto di una volontà – questa, sì, ferma e definitiva – sorta all’ultimo momento nell’animo di Maria e Teresa e di esse soltanto.

Ma non è che la Corte dimentica un “piccolo” particolare? Come fa a dire che Teresa e Maria hanno sempre escluso la partecipazione della madre e della sorella Antonietta, quando Teresa e Maria lo confessano ai Carabinieri? Calma, la Corte spiega anche questo: la Corte è indotta a dubitare fortemente che Teresa Zicari avesse effettivamente reso, con libertà e con coscienza, quella dichiarazione, nella quale è invece da ravvisarsi l’estremo della induzione da parte dei verbalizzanti i quali, orientati verso la colpevolezza di tutte e quattro le prevenute, tale loro convincimento finirono per far risultare dalle parole di coloro che interrogavano.

È già un fatto sintomatico che Teresa, non appena sentita dal magistrato, si sia affrettata a smentire il particolare relativo al presunto accordo per un momento intervenuto fra lei e le altre.

Quanto ad Antonietta, erroneamente si è voluto ravvisare il suo concorso in una causale che l’avrebbe accomunata alle sorelle, nel senso che, come Teresa e Maria odiavano il padre per aver loro impedito di sposarsi, uguale animosità verso il genitore dovesse nutrire Antonietta, le cui nozze erano state dal padre subordinate al preventivo matrimonio – praticamente diventato ormai irrealizzabile per l’età matura delle due, neppure dotate di un fisico avvenente – delle sorelle di lei: sta di fatto che Vincenzo Zicari aveva acconsentito al fidanzamento di Antonietta, ne aveva ammesso in casa il fidanzato, aveva a lei approntato il corredo (nell’abitazione di Castrovillari fu ritrovata della biancheria per il valore di oltre un milione di lire). Ond’è che quella sua asserzione che Antonietta non si sarebbe sposata se prima non si fossero accasate Teresa e Maria va, piuttosto, spiegata come un tentativo di acquietamento nei confronti delle altre due figlie, non aliene dal manifestare spesso il loro desiderio vivissimo di voler trovare un marito. Si aggiunga che Antonietta godeva l’affetto particolare e la fiducia di suo padre, che l’aveva abilitata alla tenuta, in casa, dei conti e al maneggio del danaro, il che doveva far si che dal suo animo esulassero quei motivi di rancore che erano, invece, nutriti dalle sorelle.

Detto questo, la Corte manda assolte Carmela Perfetti e sua figlia Antonietta per insufficienza di prove.

Nei confronti di Maria e Teresa va esclusa l’aggravante della premeditazione, ma sono confermate le altre due aggravanti: quello del vincolo di parentela in linea ascendente che legava le ree alla vittima e quella (contestata in udienza) delle circostanze di persona ostacolanti la privata difesa, posto che Vincenzo Zicari fu colpito nel sonno. Non spetta alle imputate la invocata attenuante della provocazione, escludendo che Zicari Vincenzo avesse compiuto quegli atti di maltrattamenti che le figlie gli attribuivano e non potendosi ravvisare la ingiustizia del comportamento di lui – nella quale dovrebbe ricercarsi il fondamento dell’attenuante in parola – nella severità e nella intransigenza del suo carattere. Quel che di umano – malgrado la efferatezza del delitto consumato in persona del genitore – è dato da cogliere in processo circa lo stato d’animo delle Zicari, in rapporto all’eccessivo lavoro cui esse erano destinate e alla assoluta mancanza di un diversivo o di uno svago qualsiasi che di quelle fatiche valesse a compensarle, consiglia alla Corte la concessione delle attenuanti generiche, che appaiono altresì consone alla capacità a delinquere valutata favorevolmente alle imputate, in rapporto alla vita anteatta ed ai precedenti penali, assolutamente incensurati, delle stesse.

A norma di legge alle prevenute andrebbe applicata la pena dell’ergastolo. Tale pena viene dalla Corte, viste le attenuanti concesse, sostituita con quella della reclusione per anni 24, pena che la Corte fa salire ad anni 30 per effetto delle aggravanti. Oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie. Visto il D.P. 23 dicembre 1949, N° 930, dichiara condonati anni tre della pena.

È il 9 novembre 1950.

La Suprema Corte di Cassazione, l’11 marzo 1953, rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.

Il 10 marzo 1954, visto il D.P. 19 dicembre 1953 N° 922, la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonati a Maria Zicari anni tre di reclusione.

Il 15 marzo 1954, visto il D.P. 19 dicembre 1953 N° 922, la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonati a Teresa Zicari anni tre di reclusione.

La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, il 23 ottobre 1963, con declaratorie rispettivamente N° 143 e 144/ 963 C.C., dichiara condonata la pena di mesi sei di reclusione inflitta, per ciascuna, a Zicari Maria e Zicari Teresa.

La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, con declaratoria 22 marzo 1967 dichiara condonati a Zicari Maria ed a Zicari Teresa un anno di reclusione ciascuna ai sensi del DPR 4 giugno 1966, N° 332.

La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, con declaratoria del 10 luglio 1970 dichiara condonato altro anno di reclusione nei confronti di Zicari Maria e Zicari Teresa, ai sensi del DPR 22 maggio 1970, N° 283.[1]

Ricapitolando, Teresa e Maria hanno goduto complessivamente di 8 anni e 6 mesi di condono.

È tutto.

Erano come bestie da soma e non volevano più esserlo.

 

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte di Assise di Rossano.