Alle 22,00 dell’11 dicembre 1926, l’unico ad essere ancora sveglio nella caserma dei Carabinieri di Fiumefreddo Bruzio è il Maresciallo Maggiore Giuseppe Lentini, ancora intento a sistemare verbali e leggere qualche lettera anonima su presunti adulteri. Bussano alla porta. Lentini, sacramentando, posa il mezzo sigaro sul bordo della sua scrivania, va ad aprire e si trova davanti un ragazzotto che comincia a farfugliare parole sconnesse:
– È morto… sangue… podestà… ohi mammamia!
– Che c’è? Chi è morto? Fatti venire la parola se no ti sbatto dentro!
Il ragazzotto riprende fiato, guarda il Maresciallo e dice:
– Il figlio del podestà… una fucilata, pare…
Lentini sbianca, sa già che sarà un brutto affare, poi chiede al ragazzotto:
– Quale figlio?
– Ot… Ottorino…
– Dov’è?
– A casa.
– Aspetta qui e non muoverti!
– Ma fa freddo, Marescià…
– Allora entra e non toccare niente!
I sottoposti fanno in fretta a prepararsi ed in una mezzoretta arrivano davanti alla casa del podestà, Cesare Del Buono, dove trovano una piccola folla di curiosi. In casa si sentono solo singhiozzi e lamenti; Lentini si fa indicare la stanza in cui si trova il cadavere ed entra.
Ottorino Del Buono giace cadavere sul proprio letto e Lentini nota subito che sul petto, in direzione del cuore, si trova una larga lesione prodotta da arma da fuoco ed è evidente, per le bruciacchiature sulla camicia, che il colpo fatale è stato esploso a bruciapelo. Omicidio o suicidio?
La prima persona ad essere interrogata da Lentini è la madre del morto, Carmela Morelli, che a stento riesce a riassumere come si sono svolti i fatti o, almeno, come li ha percepiti.
– Verso le nove, mentre attendevo a faccende di famiglia, ho sentito, dalla stanza dove vi sono i letti dei miei figli, l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco; accorsa, ho trovato steso per terra il mio povero figlio Ottorino, il quale era già spirato…
– Pensate che si sia ucciso?
– Siccome in famiglia, da qualche mese, si era fatto notare per il suo stato di nevrastenia, ho subito compreso che si era suicidato…
– Ne siete proprio sicura?
– Si, quando sono corsa nella stanza vi ho trovato la porta chiusa, che ho aperto mediante forte spinta…
– Perché l’avrebbe fatto?
– Non so dire la vera causa che ha spinto il mio povero figlio al suicidio… – risponde scuotendo la testa e ricominciando a singhiozzare.
Il podestà non aggiunge molto, ma un particolare del suo racconto sembra fugare ogni dubbio:
– Mentre ero a letto, da una stanza attigua ho sentito esplodere un colpo di fucile. Sbalzato dal letto son corso nella stanza donde era partita la detonazione, trovandovi per terra morto il mio povero figlio Ottorino, con un fucile a retrocarica vicino…
– C’erano altre persone nella stanza?
– Prima di me era accorsa la mia signora, la quale era per terra abbracciata al figlio.
– Secondo voi si è suicidato?
– Dapprima non ho avuto l’impressione che il mio povero figlio si fosse suicidato, ma poi, appena riavutomi dalla tragica sorpresa, ho compreso che volontariamente aveva voluto dar fine alla sua vita…
– Siete in grado di ipotizzare il motivo del gesto?
– Non so spiegare la ragione del suicidio, però da circa un mese in famiglia si era fatto notare alquanto strano e taciturno… solo dopo il fatto ho appreso in famiglia che altra volta aveva attentato alla sua vita…
Ci aveva già provato. Come? Quando? Dalle dichiarazioni dei genitori sembra che ci sia una certa ritrosia a parlare dei cambiamenti nell’umore di Ottorino e di tutto ciò che potrebbe far capire i motivi del suicidio. A sbottonarsi un po’ è Corrado, il ventisettenne fratello di Ottorino:
– Secondo la mia convinzione, la causa del suicidio si deve attribuire alla disoccupazione che aveva prodotto in lui fissa preoccupazione. Aggiungo che circa un mese fa mi era stato riferito in famiglia che soffriva d’insonnia e spesso nella notte diventava pauroso al punto di svegliare altri di casa per avere compagnia. Del che mi sono preoccupato, tanto vero che ho chiamato il medico di famiglia, dottor Raffaele Mazzarone, il quale aveva riscontrato delle manifestazioni di nevrastenia, consigliandomi di distrarlo e, nel contempo, gli prescrisse una cura, che fece. La stessa sera che era stato visitato dal medico l’ho condotto alla Marina, dove abitavo, a scopo di distrarlo e strada facendo, notando in lui una certa ingiustificata preoccupazione, ho cercato con tutti i mezzi di sapere da lui da che cosa provenisse quel suo stato d’agitazione, ma nulla mi aveva saputo rispondere, tranne vaghe parole, quasi inopportune. Alle mie insistenze, mi confessava che una sera aveva tentato di esplodersi un colpo di rivoltella al cuore, ma l’arma non aveva fatto fuoco. Mi adoperai per dissuaderlo da tale triste proposito e ho creduto opportuno farmi consegnare la rivoltella…
Ma, probabilmente nella convinzione di aver risolto il problema, Corrado non mise in guardia i familiari, salvo parlare genericamente di idee suicide al fratello maggiore Vincenzo, ed in casa restò il fucile, sebbene chiuso in un armadio.
E che Ottorino Del Buono meditasse di suicidarsi lo confermerebbe il fatto che l’8 dicembre era andato a confessarsi.
Tutte ipotesi perché, da una minuta perquisizione nella stanza, non abbiamo rinvenuto alcuno scritto del suicida, ammette Lentini.
Chiedendo in giro, il Maresciallo Lentini trova molti riscontri sulla motivazione che, probabilmente, ha spinto il giovane a togliersi la vita: non la nevrastenia, come più o meno velatamente hanno riferito i genitori, non una delusione d’amore perché non aveva nessuna relazione amorosa, non possibili contrasti familiari perché in famiglia regna il massimo accordo, ma lo sconforto per il suo avvenire, dovuto al fatto che per ragioni di famiglia aveva abbandonato gli studi e così era rimasto anche disoccupato.
E Lentini riesce anche a ricostruire i movimenti di Ottorino, tesi a preparare il suicidio: egli aveva acquistato due cartucce per fucile proprio lo stesso giorno da Ercole Iorio, negoziante di polvere ed altro; l’arma era stata rilevata da lui stesso in uno stipo chiuso a chiave; la sera, dopo cenato si era ritirato, come al solito, nella propria camera, chiudendo la porta internamente con il piccolo passante. Trascorsi pochi minuti, i familiari hanno udito una detonazione…[1]
Poi la tragica sorpresa.
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
Il plagio letterario costituisce reato ai sensi dell’articolo 171 comma 1, lettera a)-bis della legge sul diritto d’autore, che sanziona chiunque metta a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera protetta (o parte di essa).
[1] ASCS, Processi Penali.