LA NOTTE FATALE

È la notte tra il 5 ed il 6 marzo 1950. Antonietta Severelli, ventiduenne contadina di Soveria Simeri in provincia di Catanzaro, si alza dal letto ed al buio fruga sotto al materasso fatto di foglie di granturco e tira fuori una rivoltella. Adesso che i suoi occhi si sono adattati alla fioca luce della luna che penetra dagli spiragli della finestra, distingue chiaramente la sagoma di suo marito, Gregorio Costantino, che dorme placidamente disteso sul fianco sinistro. Antonietta gira intorno al letto mentre arma il cane della rivoltella e poi, quando è dietro a suo marito fa una smorfia di disgusto, gli avvicina l’arma all’orecchio destro e fa fuoco. Poi preme di nuovo il grilletto ma l’arma si inceppa e allora la butta ancora fumante sul letto e si precipita alla porta di casa, la apre e si mette ad urlare:

– Aiuto! Aiuto! Gregorio si è ammazzato!

I vicini accorrono ed entrano in casa per constatare la disgrazia, ma si accorgono subito che l’uomo non è morto e si lamenta. Antonietta ha un mancamento.

Quando arrivano i Carabinieri Gregorio è già in viaggio verso l’ospedale in imminente pericolo di vita ma, malgrado la gravità della ferita riportata, sopravvive ed è un vero miracolo perché il proiettile, penetrato dalla conca auricolare destra, ha attraversato tutto il collo senza ledere alcun organo vitale, fermandosi nei tessuti molli sottoioidei della regione anteriore sinistra del collo, all’altezza dello spazio fra la quinta e la sesta vertebra cervicale.

Ai militari che vanno a trovarlo per chiedergli il perché del suo insano gesto, Gregorio riesce a biascicare poche parole:

– Non mi sono sparato… mi ha sparato mia moglie mentre dormivo…

Antonietta viene arrestata e dapprima cerca di insistere nella versione del tentativo di suicidio ad opera del marito, ma poi finisce col confessare:

– Si, sono stata io a sparare. Volevo ammazzarlo perché stanca dei continui maltrattamenti di cui da tempo sono vittima

– E la rivoltella come te la sei procurata?

– È di mio marito… l’ho caricata con quattro pallottole

– Perché quattro?

– Perché secondo il piano che in precedenza avevo concepito, dopo aver fatto fuoco contro mio marito avrei rivolto l’arma contro me stessa e così ho fatto, ma si è inceppata… – dice scoppiando in un pianto dirotto, mentre si batte le mani sul viso

A questo punto il Maresciallo prende l’arma e constata che è effettivamente inceppata e lo verbalizza.

Antonietta conferma davanti al Giudice Istruttore la sua versione dei fatti e anche la storia dei maltrattamenti viene confermata da numerosi testimoni, così in quattro mesi l’istruttoria viene chiusa e Antonietta è rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro per rispondere di tentato uxoricidio aggravato dalla premeditazione.

L’8 febbraio 1951 si tiene il dibattimento e la Corte, dopo avere ascoltato la confessione dell’imputata, interroga il marito che, incalzato dalla difesa, ammette di avere maltrattato Antonietta ed aggiunge:

Ho levato più volte le mani contro mia moglie, costringendola perfino, un certo giorno, a tenere per oltre una settimana il letto a causa di un calcio che le avevo inferto

Poi, esaminati gli atti ed ascoltati i testimoni, ritiene di contestare all’imputata l’aggravante della minorata difesa, ma nello stesso tempo ritiene che non sussista l’aggravante della premeditazione perché, nonostante Antonietta Severelli abbia più volte detto di aver tentato di uccidere il marito secondo un piano prestabilito, non risulta, però, che avesse concepito il piano delittuoso a notevole distanza di tempo prima della notte fatale, con decisione definitiva ed irrevocabile, in esso insistendo malgrado ogni contro spinta della sua coscienza, sì da rendere il suo proposito sempre più fermo ed incrollabile il che, come è noto, caratterizza il particolare dolo della premeditazione. Piuttosto, continua la Corte, la Severelli aveva, si, alcuni giorni prima del delitto pensato di por fine alle sue persecuzioni ad opera del marito sopprimendo costui e togliendosi, quindi, essa stessa la vita, ma questa non era stata che una mera idea balenata alla mente esasperata della Severelli e solo all’ultimo momento – e precisamente la notte del misfatto – aveva veramente deciso di dar vita a quell’idea, così come ha precisato nei suoi interrogatori. Una decisione dell’ultimo momento, dunque, dalla quale evidentemente esula l’aggravante della premeditazione che va, pertanto, eliminata.

Ma la Corte non si ferma qui: alla prevenuta va, poi, concessa l’attenuante della provocazione. E qui entra in campo quella schiera di testimoni di cui abbiamo detto prima: Gregorio Costantino soleva da tempo usare ogni sorta di maltrattamenti verso la moglie, cosa che ai testimoni risulta o per essersi essi stessi trovati presenti ad episodi di violenza dal Costantino messi in essere nei confronti della sposa o per averne avuto confidenza da parte della Severelli, in persona della quale avevano avuto modo di osservare le tracce delle percosse infertele dal marito. La sussistenza di tali maltrattamenti, d’altra parte, trova conferma nel gesto disperato della Severelli che tentò, dopo avere esploso il colpo contro il consorte, di porre fine alla sua esistenza rivolgendo contro di sé l’arma, che si inceppò risparmiandole la vita e viene convalidato, altresì, dalle ammissioni dello stesso Gregorio Costantino. E, se tutto questo è vero, non può disconoscersi che la Severelli abbia agito nello stato d’ira in lei determinato dal fatto ingiusto altrui.

Da quello che abbiamo letto fin qui è evidente che la Corte si è resa conto delle condizioni in cui era costretta a vivere Antonietta ed in un certo senso ne ha preso a cuore la sorte: In vista delle particolari modalità del fatto, delle condizioni familiari della Severelli, madre di un bimbo affidato alle sue esclusive cure, e degli ottimi precedenti giudiziari della stessa, incensurata, la Corte ravvisa l’opportunità di concedere all’imputata anche le attenuanti generiche, da ritenersi – con la provocazione anzidetta – prevalenti sull’aggravante dell’avere l’imputata agito approfittando di circostanze di persona ostacolanti la privata difesa, aggravante che trae origine dal sonno in cui versava il Costantino al momento del fatto, che ovviamente ricorre.

Ma Antonietta quel colpo all’orecchio di suo marito l’ha sparato volontariamente e deve subirne le conseguenze.

La Corte, tenuto conto della personalità della colpevole, della condotta della stessa prima e dopo del reato, stima equo fissare la pena in anni quattro e mesi otto di reclusione (pena base anni 24, ridotti ad anni 8 per il tentativo, ad anni 6 per la provocazione e ad anni 4 e mesi 8 per le generiche), oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.

Il 10 luglio 1954 la Corte di Appello di Catanzaro dichiara condonata la residua pena di mesi dieci e giorni sedici di reclusione per il D.P. 19/12/53, N° 922.[1]

 

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.