LA NECESSITÀ DI SALVARE L’ONORE

Sono le 9,30 del 20 febbraio 1946 quando Sesta Illuminati, l’ostetrica condotta di Aiello Calabro, bussa alla porta della caserma dei Carabinieri del paese. È agitata, le danno un bicchiere di acqua, la fanno accomodare e, non appena si calma, racconta:

– Ieri sera verso le sette si presentava nella mia abitazione certa Luisa Pullano portando seco una creatura morta, che aveva partorito in mattinata la propria figlia Annita Porco… ha detto che era nata morta… mi ha chiesto un certificato di seppellimento

– Voi che avete fatto?

– Le ho detto che non era mio compito…

– Sapete dove abitano?

– In contrada Campagna, ma la Pullano è a casa mia con il cadaverino

Il Brigadiere Francesco Basta vede poco chiaro in questa faccenda e, avendo motivo di ritenere che a causare la morte della neonata vi sia del dolo, non perde tempo, fa chiamare subito sia il dottor Florindo Longo che il dottor Francesco Vece, ufficiale sanitario del comune, e li porta a dare un’occhiata alla neonata morta.

L’osservazione esterna del corpicino non sembra presentare nulla di anormale, ad eccezione che l’estremità libera del moncone ombelicale si presenta non recisa da tagliente, ma a margini irregolari e sfrangiati, come se avvenuta per strappamento e senza legatura. Ovviamente un esame esterno non è sufficiente per determinare la causa della morte ed il corpicino viene portato nella camera mortuaria del cimitero in attesa delle decisioni del Pretore, subito informato. La mattina dopo, 21 febbraio, si procede ad un esame più approfondito ed i due medici stabiliscono che la morte della bambina è avvenuta dopo la nascita. E sono guai seri.

Annita Porco e sua madre vengono arrestate e quest’ultima rende tre dichiarazioni contrastanti: mentre in un primo tempo dice di non saperne nulla, finisce col confessare:

La bambina era nata viva e dopo aver provveduto al bagno della stessa, mentre mi ero allontanata per poco in un’altra stanza per prendere dei pannolini per asciugare la piccola, lasciata nel frattempo a mia figlia, al mio ritorno, con somma sorpresa, notavo che la neonata non respirava più ed era morta. A tale vista io le chiesi gridando: “Come mai è avvenuto questo? Dimmi, com’è andata questa cosa? Cosa hai fatto?”. Volevo anche picchiarla ed essa non rispose e solo disse: “Forse le ho dato qualche stretta…”

Annita è agitata e confusa, racconta cose inverosimili ed il Brigadiere preferisce soprassedere, la interrogherà il giorno dopo.

Martedì mattina verso le ore 11 ho dato alla luce una bambina nella mia abitazione. Presente vi era solo mia madre che, dopo la nascita della bambina, che era viva, ha provveduto a lavarla in acqua calda. Subito si è recata nell’altra stanza a prendere dei pannolini per asciugarla, lasciando a me la piccola e, prima che ritornasse mia madre – ciò che avvenne subito – essa mi è morta mentre l’avevo sulle braccia. Al ritorno, mia madre restò sorpresa della morte della bimba…

– Cosa hai fatto alla bambina?

Alla bambina io non ho fatto niente!

Gli indizi raccolti portano il brigadiere a ritenere che si tratti di un infanticidio e che nessun’altra persona oltre ad Annita e sua madre vi abbiano potuto concorrere. Si ritiene principalmente responsabile la Annita Porco giacché, come signorina, certamente cercava nascondere che essa aveva avuto una relazione illecita ed era rimasta incinta. Nel complesso, il comportamento morale della Porco non risulta abbia dato luogo a rimarchi di sorta.

Le due dovrebbero essere portate nel carcere mandamentale di Amantea, ma le condizioni di Annita non lo consentono e così vengono piantonate in casa. In questo frattempo arriva la relazione sulla morte della piccola: La neonata è nata viva e vitale ed è morta poco dopo la nascita. Da rilevare piccola abrasione sull’avambraccio sinistro; tre piccole depressioni semi circolari, due su di una linea e l’altra posteriormente come da pressione esercitata in corrispondenza dell’ipocondrio destro, poco al di sotto dell’arcata costale. La mancata legatura del cordone e lo strappamento del cordone stesso non hanno determinato emottisi alcuna. Del resto, per l’assenza assoluta di mucosità, si può dedurre che la neonata ha avuto le prime cure. In conseguenza non siamo in grado di precisare quali siano stati i mezzi e le modalità nelle quali è stata cagionata la morte della neonata.

Insomma, per i due periti la bambina è stata soppressa, ma non sanno dire come. Benissimo.

Annita, interrogata nuovamente, questa volta è più precisa su cosa ha fatto subito dopo il parto:

Io stessa strappai con le mani il cordone ombelicale e provvidi ad annodarlo

– I medici non hanno trovato alcun nodo…

Ricordo bene di aver legato il moncone del cordone. Se i periti non hanno riscontrato la legatura, vuol dire che si è sciolto… – Elementare!

– Dicci come hai fatto ad uccidere la bambina – insiste il Brigadiere.

Insisto nel protestarmi innocente. Alla bambina non ho fatto niente, non avevo alcun interesse ad ucciderla perché intendevo crescerla, tanto più che il giovine col quale avevo avuto rapporti era a conoscenza del mio stato ed aveva promesso di sposarmi.

– L’hai stretta forte? – insiste ancora il Brigadiere.

Ancora una volta nego di aver dato una stretta alla bambina!

– Tua madre dice che sei stata tu a confessarglielo ed anche i periti dicono che ci sono dei segni che fanno pensare ad una stretta sull’addome…

Io risposi soltanto che la bambina era morta spontaneamente… non è vero che le dissi di averla uccisa con una stretta!

– Bene, allora possiamo chiudere il verbale.

Annita resta qualche secondo in silenzio e poi, spontaneamente, mentre le lacrime cominciano a riempirle gli occhi, dice:

Confesso di avere ucciso la bambina con una stretta sotto le costole e di essermi determinata al delitto per il desiderio e la necessità di salvare il mio onore… nessuno dei miei familiari sapeva con precisione del mio stato di gravidanza, mentre i vicini che avevano dei sospetti si sarebbero, col tempo, persuasi dell’infondatezza dei sospetti

– Tua madre ti ha aiutata, non è vero?

Mia madre è del tutto innocente perché io uccisi la bambina quando ella si era allontanata dalla camera. Fu proprio mia madre a voler portare il morticino dalla levatrice onde ottenere l’ordine di seppellimento.

– Allora ti ha convinta il tuo fidanzato, confessa!

Per quanto il mio fidanzato era a conoscenza delle mie condizioni, e mi aveva consigliata a fare sparire tutto, io mi sono determinata al fatto di mia esclusiva volontà e solo per evitare che pubblicamente si conoscesse la mia colpa.

– Ti ha suggerito o “consigliato” altro?

– No, mi disse solo le parole che ho riferito.

Luisa Pullano conferma e, anzi, aggrava la posizione di sua figlia:

Io non sono responsabile perché consegnai la neonata a mia figlia mentre era viva e vitale. Di ritorno dalla stanza ove mi ero portata per prendere i pannolini, ella dopo il mio rimprovero ed i miei gridi, ammise di averla uccisa con una stretta

I tentativi fatti da Luisa per allontanare da sé i sospetti di avere partecipato attivamente all’infanticidio non convincono il Pubblico Ministero che, il 13 aprile 1946, chiede al Giudice Istruttore di rinviare entrambe le imputate al giudizio del Tribunale di Cosenza.

Cinque giorni dopo arriva la sentenza Istruttoria: in parziale difformità della requisitoria del Pubblico Ministero, ordina il rinvio a giudizio di Porco Annita per rispondere del reato di infanticidio. Dichiara non doversi procedere contro Pullano Luisa per insufficienza di prove.

Due mesi e mezzo dopo, il primo luglio 1946, Annita Porco è seduta davanti al collegio giudicante e ci rimane solo un paio di ore, il tempo necessario per giudicarla colpevole del delitto ascrittole e, con le attenuanti generiche, condannarla ad anni due di reclusione, pena che dichiara interamente condonata per l’applicazione dell’articolo 7 del D.P. 22 giugno 1946, n.4.[1]

L’Italia è ufficialmente una Repubblica da soli 4 giorni quando viene emanato il Decreto Presidenziale N.4, la cosiddetta Amnistia Togliatti, e Annita Porco è tra i primi a goderne i benefici.

 

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[1] ASCS, Processi Penali.