Verso le 10,00 del 24 giugno 1931 la ventiquattrenne Giuseppina Borrelli, accompagnata dal milite fascista Antonio Perrone, si presenta alla caserma dei Carabinieri di Sant’Agata d’Esaro e chiede di parlare col Maresciallo:
– Poco fa, nella mia casetta colonica in contrada San Giovanni, all’elettricista Silvio Papa ho inferto due colpi di scure alla testa…
– È morto?
– No, credo di no… quando sono uscita per venire a costituirmi si muoveva…
– Perché lo avete fatto? – le chiede il Maresciallo, mentre si prepara ad uscire.
– Aveva cercato di offendere il mio onore ed io, dopo una breve colluttazione, durante la quale sono rimasta graffiata al viso – racconta, indicando il graffio sulla guancia – sono riuscita a svincolarmi e a farlo cadere per terra con una spinta e così, approfittando del momento, ho preso una scure che era a portata di mano su di una cassa e l’ho colpito…
– Vedremo… chiudetela in cella e andiamo – ordina ad un sottoposto.
Arrivati alla casetta colonica, i Carabinieri trovano sulla porta una giovane donna con in braccio un bambino.
– Chi siete voi? Che fate qui?
– Sono Cristina Borrelli, la sorella di Giuseppina… sono arrivata qui mentre erano in colluttazione…
Entrano. Silvio Papa è disteso bocconi sul pavimento del primo vano della casetta e presenta due ferite prodotte da colpi di scure, di cui la più grave è quella alla regione occipitale, con fuoriuscita di sostanze celebrali. Si lamenta.
– Cosa è successo? Chi è stato? – gli chiede il Maresciallo.
– Mi hanno ammazzato… salvatemi… – riesce a dire Papa.
Subito viene adagiato su una barella improvvisata e trasportato in paese, dove viene deposto in un basso di proprietà di Carmelo Sirimarco ma, nonostante le sollecite cure di un sanitario, muore dopo qualche ora senza aver potuto pronunziare altre parole.
Per il Maresciallo, però, l’unica frase che Papa è riuscito a pronunciare basta e avanza perché quel “mi hanno ammazzato” significa che sono state le sorelle Borrelli in concorso tra di loro, così anche Cristina finisce in galera.
– Da più tempo Silvio Papa, tutte le volte che mi incontrava, osava rivolgermi parole illecite che furono da me sempre respinte, – racconta Giuseppina – tanto più che ero venuta a sapere che era ammogliato con figli. Stamattina verso le 8,30 giunsi in paese per portare al mio padrone un paniere di ciliegie e dopo aver fatto visita a mia sorella Cristina, che abita in Piazza Annunziata, venni avvicinata da Papa, il quale mi domandò se fossi venuta per sentire la messa. Io gli risposi di non dover dare conto a lui di quello che facevo e si mise a ridere, poi mi incamminai per far ritorno alla mia casetta, ma lungo la strada, ad un certo punto, mi accorsi di essere seguita da Papa. Lo pregai di non molestarmi e di ritornare indietro, avvertendolo che poteva accadergli del male. Invece, nonostante tale avvertimento, continuò a seguirmi dicendomi: “O tu o la morte!”. Entrata nella casetta, vi entrò pure Papa, il quale mi disse che voleva fare di me un’amante e poi mi cinse per il corpo, cercando di buttarmi sul lettino che si trova nel vano d’ingresso: avvenne una colluttazione e riuscii a svincolarmi e con una spinta a buttarlo per terra; approfittai del momento, presi la scure e lo colpii… immediatamente dopo uscii e sul pianerottolo della scala trovai mia sorella, la quale, informata del fatto, mi consigliò di presentarmi subito a voi…
Poi è la volta di Cristina ad essere interrogata, anche se il Maresciallo ha già notato la contraddizione tra le due dichiarazioni: Cristina ha detto di essere arrivata sul posto mentre colluttavano, Giuseppina sostiene che la sorella è arrivata solo dopo i colpi di scure.
– Verso le 9,00 di stamattina, mentre ero sulla porta di casa mia, si avvicinò Silvio Papa che mi disse: “Tua sorella se n’è andata in campagna? Ora vado a trovarla e mi farò quattro fregate”, poi si allontanò ed io, spinta dalla curiosità, lo seguii, anche per accertarmi di quello che avrebbe fatto. Giunsi alla casetta colonica quando avveniva la colluttazione e Papa, nel vedermi, lasciò di colluttare con Giuseppina la quale, svincolatasi dalla stretta, afferrò una scure che era a portata di mano su di una cassa e colpì il suo avversario alla testa, facendolo stramazzare a terra. Dopo, mia sorella si allontanò per venire a costituirsi, mentre io rimasi sul pianerottolo…
Si stanno scavando la fossa da sole, Poi Cristina, davanti al Giudice, modifica la sua dichiarazione:
– Arrivai alla casetta quando Giuseppina aveva già commesso il fatto. Poi uscì e mi informò di tutto e andò a costituirsi per mio consiglio – le stesse parole dette dalla sorella.
– Perché ai Carabinieri avete detto diversamente?
– Credevo di favorire mia sorella…
Al di là della contraddizione il racconto dei fatti sembra credibile, ma le indagini raccontano altro: intanto sorgono dubbi sulla moralità di Giuseppina, che era fidanzata con Salvatore Borrello e prima di lui con tale Salomone, al quale si sarebbe concessa.
– È vero che sono stata fidanzata con Salomone – ammette la ragazza – ma non ho mai avuto con lui contatti. Io sono fidanzata con Salvatore Borrello!
Poi viene alla luce un episodio accaduto il 21 giugno, tre giorni prima dell’omicidio, quando Giuseppina diede appuntamento a Silvio Papa per giorno 23 nella sua casetta, allo scopo di avere chiarimenti circa una voce diffamatoria a lei giunta, che menomava la sua onestà, facendola comparire come una donna procliva ai facili amplessi di quelli che la richiedevano. A riferire dell’appuntamento, oltre al fidanzato di Giuseppina, sono molti testimoni che raccontano di due episodi diversi. Pantaleone e Carmelo Martorelli, padre e figlio, raccontano che nella mattinata del 21 giugno Papa lavorava con loro in campagna e Giuseppina, che con la madre stava andando al vicino mulino per macinare il grano, chiamò il Papa ed ebbe con lui una discussione vivace. I Martorelli sentirono pronunciare da Giuseppina, quando il Papa fu sollecitato a ritornare al lavoro e da lei si divise, le parole: “Io non ho nulla e mi farò visitare da tutti i specialisti di Napoli; ma non solo, fossero tutte le giovinette pure come me!”.
Queste parole rivelano che il Papa, di sentimenti erotici abbastanza pronunziati, siccome lo dipingono parecchi testimoni, desideroso di potere ottenere gli amplessi della Giuseppina, abbia messo in giro la voce che questa fosse affetta da male venereo. Fu perciò che Giuseppina ebbe a rimproverarlo nel giorno 21 giugno ed è probabile che, non potendo conchiudere il discorso per la chiamata del Papa da parte di Martorelli padre, abbia a lui dato l’appuntamento d’incontrarsi nella sua casetta colonica il successivo giorno 23.
Silvio Papa approfitta dell’appuntamento datogli per scuotere la fiducia di Salvatore Borrello verso Giuseppina, sua fidanzata. Difatti, nella mattinata del giorno 23, Papa si reca nella calzoleria di Carmine Arcuri per comprare un paio di scarpette alla sua bambina e vi trova anche l’operaio Michele Spinelli e Salvatore Borrelli.
– Quando ti sposi? – fa Papa a Salvatore, quasi per deriderlo, poi continua in tono sibillino – Oggi dovevo andare da Peppina, ma per il forte caldo mi sono annoiato…
Secondo gli inquirenti Papa mente perché, se fosse stato sicuro di potere godere le carni di Giuseppina, che in ogni incontro sollecitava a darsi a lui, data la sua età giovanile, avrebbe dato poca importanza alla caldura della giornata. Ma non era sicuro di ottenere facilmente quegli amplessi che persistentemente gli venivano rifiutati, donde il suo sconforto e le giustificate preoccupazioni del caldo.
Giuseppina attese invano che Silvio Papa andasse a casa sua per il chiarimento richiesto e fu perciò che nel mattino del 24 giugno, verso le ore 6,30, sentì la necessità di rinnovare l’appuntamento e fu vista da Giovanni Greco entrare nella officina elettrica dove si trovava il Papa. Il testimone afferma che, quando Giuseppina uscì dall’officina e si avviò verso l’abitazione di sua sorella Cristina, la sentì dire: “Io comincio a camminare”. Queste parole spiegano che un appuntamento lei aveva dato al Papa, appuntamento che non poteva riferirsi se non al discorso del giorno 21 ed anche alle parole da lui dette nella bottega di Arcuri, delle quali Salvatore Borrello l’aveva informata nella stessa sera del 23.
Quando Giuseppina andò da sua sorella Cristina, la informò di ogni cosa e quindi la pregò di sollecitare Silvio Papa a recarsi a trovarla. Come fanno gli inquirenti ad essere sicuri di questa circostanza? Perché Cristina andò a chiamare Papa nel posto in cui stava lavorando con i Martorelli, i quali l’hanno vista arrivare, l’hanno sentita chiamare Papa, hanno visto i due confabulare e poi, quando Papa la lasciò per tornare al lavoro, lo hanno sentito dire: “Va bene, va bene”. Parole che certamente suonano un’assicurazione data.
Tutto ciò fa concludere che, sebbene il comportamento di Silvio Papa sia stato censurabile, è chiaro che le sorelle Borrelli abbiano, in concorso, premeditato di uccidere Silvio Papa attirandolo in una trappola e il 21 agosto 1931 vengono rinviate al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari.
All’inizio del dibattimento il Pubblico Ministero dichiara di sostenere la tesi della Procura, quindi la condanna all’ergastolo per entrambe le imputate, mentre la difesa chiede che sia riconosciuto per Giuseppina lo stato di legittima difesa, quindi l’assoluzione, o che sia riconosciuta l’attenuante della provocazione grave; mentre per Cristina l’assoluzione per non aver commesso il fatto.
Durante il dibattimento escono fuori delle novità che potrebbero cambiare le carte in tavola. Infatti si presenta la teste Carmela Perrone la quale, opportunamente interrogata, dice di aver visto Cristina con la figlia in braccio andare verso la casetta colonica della sorella e aggiunge:
– Mi chiese se avessi visto Silvio Papa e io risposi che era più avanti e poteva essere da lei distante una cinquantina di metri. Allora Cristina aggiunse che dovevano mettere la luce…
Potrebbe sembrare una stupidaggine, ma questa testimonianza, unita a quella dei Martorelli che, al contrario, costò il rinvio a giudizio a Cristina, convince la Corte che ella aveva agito fin dal primo istante senza alcuna circospezione e se avesse con la sorella Giuseppina preordinato il delitto, il suo comportamento sarebbe stato diverso, quindi non è da escludersi la ipotesi che sia andata con intenzione pacifica e, pertanto, va assolta per insufficienza di prove.
È ovvio che la situazione di Giuseppina è molto più delicata e, per affrontarla, la Corte comincia col ricostruire gli ultimi momenti prima del delitto: è indiscutibile che Giuseppina Borrelli giunse sola alla propria casetta e, tenendo aperta la porta d’ingresso, attese Papa: forse sperava che questi fosse giunto insieme a Cristina, invece anche lui arrivò solo e vi entrò dentro, pur continuando la porta a rimanere aperta. Come i due furono vicini, indubbiamente Giuseppina iniziò il discorso, ma Papa, eccitato nei suoi sensi erotici, subito le disse che intendeva renderla sua amante e prontamente la cinse per il corpo, cercando di attirarla nel vano attiguo. Giuseppina, come dice, riuscì a svincolarsi; con uno spintone lo fece cadere per terra e così, profittando del momento, brandì la scure e lo colpì per due volte alla testa. È facile che Papa sia stato colpito quando giunse alla casetta Cristina la quale, forse, se giunta in tempo avrebbe potuto impedire che la strage fosse stata commessa. Vero è che Papa disse ai Carabinieri “mi hanno ammazzato, salvatemi”, ma non è da escludersi che quelle parole egli abbia pronunziato nella convinzione che il delitto sia stato preordinato dalle due sorelle, tenuto conto che fu prima invitato da Giuseppina all’appuntamento e poscia sollecitato da Cristina ad andarvi. Orbene, se il delitto deve ritenersi occasionale ed improvviso, ed avvenuto in un momento di eccitazione in cui venne a trovarsi Giuseppina Borrelli, va eliminata l’aggravante della premeditazione, che presuppone anzitutto animo tranquillo e pacato. Quindi Giuseppina Borrelli va ritenuta colpevole di omicidio volontario semplice.
Eliminata la terribile aggravante, la Corte passa ad esaminare le richieste della difesa: legittima difesa o, in subordine, l’attenuante della provocazione grave: non è il caso di parlare di legittima difesa perché non concorre l’estremo di aver commesso il fatto per esser stata costretta dalla necessità di difendere un diritto proprio. E spiega: è certo che Papa fu trovato inerme e Giuseppina, quando con lo spintone lo fece cadere per terra, trovandosi la porta aperta, aveva tutto il tempo per fuggire ed evitare ogni pericolo a suo danno e poi bisogna tener presente che fu proprio essa a mettersi in quella condizione, col dare un appuntamento a colui che più volte aveva mostrato la intenzione di volerla possedere. Non viene accettata nemmeno la richiesta della provocazione grave, però la Corte ritiene che a Giuseppina competa la scusante della provocazione semplice per il comportamento tenuto, che dimostra di essere una giovane di carattere leggiero: del resto la sua moralità non era tanto buona.
Ancora, la Corte, per i buoni precedenti e per le modalità in cui i fatti si svolsero, concede le circostanze attenuanti generiche.
Quanto alla pena, la Corte, tenuto conto di tutte le circostanze con cui i fatti si svolsero e delle condizioni sociali dell’imputata, reputa idonea quella di diciotto anni di reclusione che, diminuita prima di un terzo e poscia di un sesto per le due diminuenti concesse, si riduce, in concreto, ad anni dieci. Più, ovviamente, pene accessorie, spese e danni.
Siamo a Castrovillari ed è il 10 giugno 1932.
Il 15 marzo 1935, la Corte d’Assise di Castrovillari, in applicazione del R.D. 25-9-934 n. 1511, dichiara condonati anni due della reclusione.[1]
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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.