FU UNA STRANEZZA DELLA VITTIMA

È il 22 settembre 1939, mezzogiorno. I fratelli Ettore, Enrico ed Emilia Pellegrino di Montalto Uffugo, insieme alla lavorante Dorina Venere interrompono il lavoro nei campi e si siedono a terra in cerchio per pranzare, mentre i loro genitori ed i fratelli maggiori Eugenio e Domenico stanno pranzando in un fondo più distante.

I quattro ragazzi scherzano tra loro, poi all’improvviso Enrico, rivolto a Dorina, dice per dileggiarla:

Parli col naso, sei ‘na murfusa e ‘na tamarra!

Fatti i fatti tuoi e pensa a mangiare! – gli risponde seccata.

Va a prenderla in culo tu, tuo padre e tua madre!

Dorina resta con la bocca aperta e gli occhi sgranati per qualche secondo, poi, umiliata e mortificatissima, scoppia a piangere, mentre Emilia ed Ettore insorgono contro la di lui tracotanza.

Ingollati in fretta e controvoglia gli ultimi bocconi, è ora di tornare al lavoro e tutti devono dimenticare lo spiacevole incidente se non vogliono essere rimproverati.

A proposito dello spiacevole incidente, è bene sapere che non è stata la prima volta che Enrico, con battute più o meno offensive, ha provocato Dorina e il motivo è che ne è innamorato, ma pensa che la ragazza abbia relazioni carnali con Eugenio, il suo fratello maggiore. Enrico si è fatto avanti più volte, provando anche ad abbracciare Dorina, che lo ha sempre respinto sdegnata. I familiari di Enrico conoscono la situazione e cercano di convincerlo che i suoi sono pensieri sbagliati perché Dorina è una brava ragazza che non farebbe mai una cosa simile e, d’altra parte, ad Eugenio la ragazza sembra proprio non interessare.

Ma ad Emilia Pellegrino la tracotanza di suo fratello Enrico proprio non va giù, così la mattina dopo, 23 settembre, approfittando del fatto che Enrico è già uscito, racconta tutto a sua madre e a suo fratello Eugenio:

Perché non me lo hai detto ieri stesso che lo avrei picchiato? – la rimprovera il fratello, molto arrabbiato. Poi esce per raggiungere il padre e gli altri fratelli al lavoro.

Poco dopo, mentre stanno zappando, Eugenio rimprovera Enrico per le offese fatte a Dorina e subito si accende una violenta disputa tra i due, durante la quale il primo molla un sonoro ceffone al secondo, ma il peggio viene evitato per l’intervento degli altri familiari che li calmano, tant’è che circa un’ora dopo, tutti e quattro consumano la colazione mangiando nello stesso piatto, come è di loro abitudine, poi riprendono a lavorare fino a mezzogiorno e tutti, tranne Enrico, rientrano a casa per pranzare.

Il giovanotto rientra quando gli altri hanno terminato il pasto, si cambia di abito indossando il suo vestito nuovo e fa per uscire.

– Dove vai vestito così? – gli chiede suo padre.

Vado ad inabissarmi

Strana risposta, ma suo padre non ci fa caso, sa che Enrico è un tipo particolare, e pensa che stia andando in casa di qualche sorella maritata.

È ormai ora di cena ed Enrico non è ancora tornato. Adesso il padre comincia a preoccuparsi, al punto che verso le ore 20, andati tutti a letto, non può conciliar sonno.

Sempre più in ansia, Francesco Pellegrino si alza e va ad aprire la porta della stanza per sentire Enrico quando rientrerà, poi torna a coricarsi, continuando a girarsi e rigirarsi nel letto matrimoniale della stanza al primo piano della casa, mentre i figli dormono a piano terra: Emilia in una stanzetta per conto suo ed i maschi in una camera più grande con due letti, un lettino per Eugenio, il maggiore, ed un letto matrimoniale per gli altri tre.

Enrico rientra verso le 21,30; suo padre sente dei rumori e si affaccia alla finestra per sincerarsi che il figlio sia tornato ma, non avendolo visto, si rimette a letto.

Poi un tonfo sordo e le urla di Emilia fanno scattare tutti dal letto.

– Aiuto! Aiuto! Correte, ohi madonna mia!

Accorso a pianterreno, il padre trova Eugenio a terra in una pozza di sangue ché, ferito a morte, è caduto a terra e rantola, onde, da qui a poco, spira.

Qualcuno corre a chiamare i Carabinieri, i quali interrogano subito tutti i presenti in casa, tra i quali non c’è Enrico, e tutti, tranne lievi differenze in punti secondari, raccontano che è stato Enrico, ma aggiungono che, pur essendo di tarda intelligenza, tanto che lo chiamavano “Citrulazzu” (gran citrullo), e malgrado sia di temperamento impulsivo, irascibile, scontroso, melanconico, tuttavia è un ottimo lavoratore e non ha mai avuto quistioni col fratello.

È stato un atto di violenta ed insana ribellione di Enrico… ha voluto reagire ad uno schiaffo datogli stamattina dal fratello. In conseguenza della disputa, nella quale egli aveva torto, la madre lo prese pur essa a schiaffi ed io lo colpii con la zappa… – continua il padre tra le lacrime – giurò di vendicarsi, né seppe far tacere il suo rancore, anche perché ha voluto mettere in pratica ciò che da tempo solea affermare e cioè che, avendo varcato i diciotto anni avrebbe ucciso chiunque avesse osato inquietarlo, non potendo tenersi in pace alcuna botta, essendosi fatto grande

– Quindi lo avrebbe ucciso per questa sciocchezza? – gli chiede il Maresciallo.

– Si.

– Veramente abbiamo saputo che era geloso di suo fratello per via di una giovanetta, è così?

– No, per gli schiaffi! – urlano tutti insieme i Pellegrino.

– La gelosia non c’entra, non essendo egli capace di un serio amore! – specifica il padre.

– Ma Eugenio se la faceva davvero con la giovanetta?

– No, mai! Dorina è una ragazza di irreprensibili costumi!

Intanto i Carabinieri rintracciano e arrestano Enrico, quindi lo interrogano per sentire dalla sua voce il perché di quell’orrendo delitto:

Da più tempo Dorina praticava in casa nostra quale giornaliera e concedeva i suoi favori a mio fratello Eugenio il quale, all’insaputa dei nostri genitori, la forniva di ortaglie e cibarieio la bramavo, ma lei nei miei confronti dimostrava un esasperante disprezzo. Io, che ero mortificato di ciò, nonché adirato per gli schiaffi datimi da mio fratello, decisi di vendicarmi di lui e a tal fine l’ho ucciso e non sono pentito!

– Quando hai deciso di ucciderlo?

– Dopo l’ora di pranzo sono tornato a casa con la rampogna in core, assillato dal doloroso ricordo degli schiaffi. Decisi di abbandonare la casa… mi sono vestito con i miei abiti migliori e sono uscito di nuovo… volevo andarmene a Cosenza, ma quando imboccai la strada nazionale mi sorse l’idea di sopprimere mio fratello e tornai sui miei passi, così sono arrivato quando tutti dormivano, ho preso una scure in un casolare poco distante, sono entrato senza fare rumore e mi sono avvicinato al posto ove dormiva mio fratello, che sentii russare, e gli vibrai due colpi alla testa, dopo di che, abbandonata l’arma, scappai

– Ma come hai fatto a orientarti nel buio ed essere sicuro di colpire tuo fratello?

Sono abituato, individuai subito il suo posto… e poi russava

E in effetti i colpi furono davvero due, ma di tale inaudita violenza da produrre effetti devastanti: una vasta ferita alla testa lunga cm. 16 che, partendo dal margine esterno del sopracciglio sinistro continuava fino a sotto l’angolo della mandibola sinistra, con spaccamento non solo di tutti i tessuti molli, ma anche di tutte le ossa della faccia, approfondendosi fino al cervello; altra ferita d’arma da taglio nella regione scapolo omerale sinistra, lunga 10 cm., interessante i muscoli e la testa dell’omero.

Dopo due giorni, interrogato dal Magistrato, tenta di umanizzare il suo delitto, dichiarando:

Ho ucciso in reazione ad un colpo di zappa che mio fratello mi vibrò per punirmi delle ingiurie che avevo precedentemente lanciato a Dorina Venerema nello stato d’ira in cui versavo, ho colpito senza sapere quel che facevo

– Ripeti meglio come si è svolto il delitto, partendo da quando sei entrato in casa.

Penetrando in casa non feci alcun rumore. Assicuratomi che i miei genitori dormivano, entrai nel vano a pianterreno ove dormivano mio fratello Eugenio in un letto ed i miei fratelli Giuseppe ed Ettore in un altro e colpii nel sonno Eugenio

Gli inquirenti non gli credono e procedono per omicidio tre volte aggravato, cioè per i rapporti di parentela, per i futili motivi e per la premeditazione, ma al termine della formale istruzione, il Giudice Istruttore, con sentenza 30 novembre 1939, su conforme richiesta del Pubblico Ministero, rinvia Enrico Pellegrino al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere dell’omicidio ascrittogli, senza l’aggravante dei futili motivi.

Il dibattimento si svolge nelle udienze del 10 e 11 gennaio 1940 e all’imputato che, interrogato, dice di non ricordare nulla, su richiesta del Pubblico Ministero viene contestata l’aggravante di aver commesso il delitto approfittando delle circostanze di tempo e di luogo che minoravano la pubblica e la privata difesa. Incredibilmente, la difesa non si oppone, poi chiede che il delitto venga derubricato in omicidio preterintenzionale e che il suo assistito sia sottoposto a perizia psichiatrica, richieste che vengono respinte dalla Corte: egli ha delinquito non perché fuorviato da psichica infermità – fra l’altro non ha mai avuto alcuna malattia, come afferma il di lui padre – ma per satanico desiderio di vendetta contro il fratello che godevasi, a suo giudizio, la donna da lui bramata e che avea persino osato umiliarlo, schiaffeggiandolo ed anche colpendolo di striscio con la zappa. È egli stesso che dà quella causale al delitto, né diversamente ha affermato il Maresciallo dei RR.CC. Nel merito è da osservare che non possa attendersi alla richiesta mirante a far degradare la rubrica in omicidio preterintenzionale poiché la micidialità dell’arma usata (scure), la regione colpita (la testa), la iterazione dei colpi dimostrano a precisione che si volle uccidere. Peraltro di detta volontà se ne ha la conferma nelle stesse confessioni del prevenuto. Non può dubitarsi nemmeno, per le sue stesse confessioni, ch’egli debba rispondere dell’aggravante di aver profittato delle circostanze di tempo e di luogo che menomavano la pubblica e la privata difesa. Egli, infatti, prima di colpire si assicurò che la vittima dormisse e che i familiari non concepissero alcun sospetto. Egli, pertanto, eseguì il delitto approfittando che tutti dormivano e curò, comportandosi silenziosamente, che nessuno si destasse e potesse accorrere in difesa della vittima designata.

Ma la Corte ha forti dubbi sulla sussistenza della premeditazione perché manca l’estremo temporale, cioè il lasso di tempo congruo a far presumere che il delitto fu consumato non sotto l’impulso dell’ira, ma con animo pacato. Infatti Enrico fu schiaffeggiato la mattina e poche ore dopo (la sera dello stesso giorno) commise il delitto. Nulla autorizza a pensare e giudicare ch’egli in quel breve lasso di tempo sia tornato in calma e ciò non pertanto abbia, con freddo e pacato animo, insistito nel proposito delittuoso. Aggravante eliminata. A questo punto la difesa chiede che venga concessa l’attenuante della provocazione e la Corte accoglie la richiesta: è fuor di dubbio che la vittima, sia pure per il sentimento cavalleresco di voler difendere la dignità di una donna, osò schiaffeggiare il prevenuto. Tutto ciò fu mal fatto, quanto meno non fu legittimo, non avendo la vittima, sebbene fosse di tre anni maggiore dell’omicida, alcun potere di correzione su costui, spettando il detto potere ai genitori, ancora viventi. Fu una stranezza della vittima quella di parteggiare nella competizione fra l’estranea ed il fratello, compiendo atti di violenza su di lui. Or tale atteggiamento, senza meno arbitrario ed ingiusto determinò la ragionevole ira del prevenuto e perciò compete la diminuente.

È tempo, per la Giuria, di emettere il verdetto: Enrico Pellegrino è responsabile di omicidio aggravato dai vincoli di parentela e dalla minorata difesa, ma beneficia dell’attenuante della provocazione, ritenuta equivalente alla seconda aggravante e viene condannato ad anni 28 di reclusione, più pene accessorie.

Il 18 aprile 1941 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’imputato.[1]

 

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

Il plagio letterario costituisce reato ai sensi dell’articolo 171 comma 1, lettera a)-bis della legge sul diritto d’autore, che sanziona chiunque metta a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera protetta (o parte di essa).

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.