È la sera del 24 aprile 1938. Nello spiazzale della chiesa della Confraternita a San Giacomo di Cerzeto alcuni giovanotti, tra i quali Santo Sarro, Natale Iuliano, Agostino Pollera e Oriente Montanaro, stanno chiacchierando amichevolmente. All’improvviso la calma viene rotta da una detonazione. Istintivamente i giovanotti si piegano sulle ginocchia e poi si girano verso il punto da cui proveniva il colpo: un uomo col fucile spianato avanza verso di loro, poi prende la mira e comincia a sparare di nuovo provocando un fuggi fuggi generale. Si ferma e ricarica l’arma. Prende di nuovo la mira e spara altri due colpi. Questa volta fa centro e sullo spiazzale rimane, gravemente ferito all’addome, Santo Sarro.
Trasportato a casa il ferito e interrogato dai Carabinieri subito accorsi, Santo racconta:
– È stato Alberto Mantuano…
– Aveva motivi di rancore nei tuoi confronti?
– Non ho voluto sposare sua figlia, con la quale sono stato fidanzato…
L’intervento del medico condotto interrompe l’interrogatorio perché è necessario trasportare il ferito in ospedale, in quanto dal foro nell’addome sta fuoriuscendo l’intestino.
Che a sparare sia stato Alberto Mantuano sembra non esserci alcun dubbio perché anche i giovanotti che erano in compagnia di Santo Sarro lo hanno riconosciuto, così i Carabinieri vanno a cercarlo a casa, ma non lo trovano e la cosa strana è che non c’è nemmeno sua figlia, la ventiseienne Maria Antonietta. Che sia anche lei implicata nel delitto?
Le cose potrebbero chiarirsi subito perché la ragazza si presenta in caserma la mattina dopo e racconta:
– Sono io l’unica responsabile, io ho sparato!
– Molti testimoni invece hanno visto tuo padre col fucile mentre sparava, come la mettiamo?
Dopo un lungo tira e molla, Maria Antonietta confessa:
– Si, è vero, ha sparato mio padre…
– Forse perché Santo Sarro non ha voluto sposarti?
– In un certo senso… io e Santo eravamo fidanzati, poi ha abusato di me contro natura… – dice abbassando gli occhi e cominciando a singhiozzare – e mi ha abbandonata. Non ha avuto nemmeno ritegno a denigrarmi in pubblico e rivolgermi atroci insulti, come ha fatto ieri sera quando, incontratami nei pressi della fontana, con aria beffarda, mi ha domandato: “Ti è sanato il culo?”. Codesta frase ha acuito in me il dolore per la grave onta patita e ritornai a casa piangendo per tanta persecuzione. Mio padre mi vide piangere e gli confessai tutto. In preda all’orgasmo subito uscì e sparò contro Santo, poi tornò a casa, mi dette il fucile e mi consigliò di accusarmi come unica responsabile del ferimento perché non sarei stata condannata…
Ma non appena, alquanti giorni dopo, suo padre si costituisce, Maria Antonietta ritratta e si accusa nuovamente di essere la responsabile del ferimento, in ciò secondata anche dal padre, che si dichiara innocente.
Intanto anche Santo Sarro, interrogato in ospedale, cambia versione sul movente che avrebbe spinto Alberto Mantuano a sparargli:
– Mi ha sparato per vendetta in quanto non volli associarmi alle malefatte, ai furti di cui viveva la famiglia Mantuano, di cui conoscevo i segreti particolari, malgrado vi fossi stato attirato con ogni mezzo, anche mediante i favori sensuali più lubrici che mi concesse Maria Antonietta durante il nostro fidanzamento, che ruppi quando mi avvidi della perfida rete tesami dai Mantuano…
E questa è una vera e propria bomba, anche perché il passato di Alberto Mantuano è stato alquanto burrascoso, ma per quante indagini i Carabinieri facciano, su queste presunte malefatte non viene trovato alcun riscontro, se non le dichiarazioni, evidentemente di parte, dei familiari di Santo, le cui condizioni si aggravano per la peritonite causata dalla perforazione dell’intestino che, purtroppo, lo portano alla morte e adesso le cose si complicano perché la Procura del re, nonostante la mancanza di indizi, sposa la tesi di Santo Sarro e formalizza l’accusa di concorso in omicidio volontario per padre e figlia Mantuano. Ed è con questa imputazione che vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Durante il dibattimento Maria Antonietta ritratta ancora e adesso conferma che a sparare è stato suo padre, il quale adesso ammette le proprie responsabilità. E siccome la circostanza riferita dalla giovane in merito al rapporto sessuale contro natura impostole dall’ex fidanzato potrebbe essere un elemento sostanziale, la Corte decide di farla sottoporre a perizia medica per stabilire se Maria Antonietta ebbe veramente questo tipo di rapporto. Si, i segni, inequivocabili, ci sono. Ma, d’altra parte, essendo passato molto tempo, questi stessi segni non possono più dire se il rapporto fu consenziente o si trattò di violenza. Bisognerà scavare più a fondo.
Per la Corte, in tanta diversità di opinioni, si rende necessario l’esame paziente delle più attendibili risultanze probatorie per dedurre quella che appare la più sicura verità processuale. E comincia analizzando l’accusa che ha portato padre e figlia ad essere oggetto di un’imputazione oltremodo grave e osserva: La tesi dell’accusa dovrebbe accogliersi se potesse prestarsi fede alle asserzioni espresse soltanto dalla famiglia dell’ucciso e di altri parenti, ma queste non sono sorrette da alcuna testimonianza disinteressata e dalla logica dei fatti accertati. Il Sarro, immediatamente dopo il fatto dichiarò che la causale doveva ricercarsi nel rifiuto da lui opposto al matrimonio con la figlia di Alberto Mantuano e solo in un secondo momento, quando era ricoverato all’Ospedale, egli disse alla madre ed al Maresciallo inquirente che Mantuano lo aveva sparato non per vendicare l’onore della figlia, da lui neppure adombrato, bensì perché temeva che egli rivelasse i furti commessi dal Mantuano e famiglia. Ma nell’ampia ed esauriente istruttoria, compiuta anche al dibattimento, in ordine a quest’ultima circostanza, è venuto a mancare qualsiasi elemento di controllo serio e positivo; anzi, in base alla deposizione resa in aula dal Maresciallo Massa Carlo, si può concludere che trattasi di asserzioni campate in aria in quanto nulla di concreto si è potuto accertare al riguardo dei furti che avrebbe commesso Mantuano e la capacità a delinquere di costui non è argomento che possa da solo autorizzare a trarne le illazioni estreme dell’accusa su questo punto e fondarvi un sicuro giudizio per una responsabilità gravissima, come comporterebbe una simile causale, che mirava ad assicurarsi l’impunità per i delitti compiuti. D’altra parte non v’è traccia di siffatto timore nel Sarro, il quale più volte ebbe a parlare con varie persone ed anche con i Carabinieri sulla tensione dei rapporti con la famiglia Mantuano, conseguente alla rottura del fidanzamento e mai nulla fece trapelare per così abietto motivo, mostrandosi invece scevro da ogni preoccupazione. A parere della Corte anche le modalità del fatto resistono all’ipotesi di un delitto di malavita, come lo definisce l’accusa, in quanto non si concilia, anzitutto, con le circostanze di tempo e di luogo in cui avvenne il ferimento che, a rigore di logica, rivelano invece un’improvvisa determinazione ed esecuzione del delitto. Di vero, non si riuscirebbe a comprendere perché Mantuano, volendo effettuare un triste proposito di vendetta lungamente covata, abbia scelto la sera del 24 aprile 1938, quando Sarro era nello spiazzale del paese in mezzo a vari amici, tanto che per farli allontanare ed individuare il bersaglio, ha dovuto sparare prima un colpo in aria, mentre non erano mancate certo migliori occasioni per potere più agevolmente e sicuramente mettere in esecuzione la vendetta dopo la rottura del fidanzamento, avvenuta un anno prima. Pertanto la Corte non ritiene attendibile la versione che l’omicidio possa essere avvenuto per sopprimere la fonte di prova in merito ai reati di furto che avrebbe commesso Mantuano o per qualsiasi altro motivo di vendetta, ma è invece convinta che la causale del delitto debba ricercarsi unicamente nei rapporti intimi avuti da Sarro con la figlia dell’uccisore, quali sono denunziati dalle prove sicure e concludenti del processo.
Dopo questi chiarimenti e la dura reprimenda sull’operato della Procura del re, che ha rischiato di mandare davanti al plotone d’esecuzione Alberto Mantuano e forse anche sua figlia, la Corte deve stabilire in quale altra categoria far rientrare il delitto. E comincia da lontano, descrivendo le varie personalità ed una serie di fatti venuti man mano alla luce durante il dibattimento o che non erano stati ben valutati durante l’istruttoria: È pacifico che Santo Sarro da vari anni aveva stretto relazioni amorose con Maria Antonietta Mantuano e fu per lungo tempo fidanzato di questa, anzi, malgrado il dissenso della famiglia Sarro, si erano pure eseguite le pubblicazioni di matrimonio, ma nel maggio 1937 Sarro troncò ogni trattativa. Sulle cause di tale rotture sorge vivo contrasto fra le parti, in quanto la famiglia dell’ucciso sostiene che sia dipesa dalla cattiva moralità del padre della giovane e dal carattere della madre, Maria Mancuso – ecco un fatto nuovo, la madre finora non è mai stata nominata da alcuno –, assai compromettenti per Sarro e più particolarmente in seguito ad un episodio riguardante un tale Ester La Regina: costui, qualche anno prima, avrebbe ucciso per causa di onore il padrino di Santo Sarro che, indignato verso la madre della fidanzata che avrebbe messo in giro tale voce, scombinò il matrimonio. Ma la Corte accerta che si trattò solo di un pretesto, perché alcuni testimoni assistettero al chiarimento che ci fu tra Maria Mancuso, Santo Sarro ed Ester La Regina. Poi continua con un affondo sulla personalità di Santo: l’abbandono della fidanzata fu dovuto, invece, a mero capriccio dopo aver soddisfatto i propri pervertimenti sessuali e la tendenza a defraudare l’onore delle donne del suo paese, come rivelano in modo irrefutabile le prove obiettive e sicure del processo. Costui è da tutti definito come giovane molto leggero e volubile, anzi qualcuno lo chiama addirittura “nu fissiature”, termine dialettale usato nelle nostre contrade per indicare un individuo corrivo alle più arrischiate imprese d’amore e capace d’insidiare l’onore delle famiglie. Di tale temperamento egli non fa un mistero, anzi, con ostentazione degna di miglior causa, se ne proclama orgoglioso e le numerose lettere da lui scritte alla fidanzata ne sono la prova più eloquente, come non ha ritegno di informare costei sulle oscenità compiute durante il servizio militare a Torino, che indica sempre con l’appellativo di “Città delle belle donne”. Nel suo paese, ancora adolescente, egli riuscì a sedurre altra giovane, che poi abbandonò nonostante reiterate promesse di matrimonio, per lanciarsi nella nuova impresa con Maria Antonietta Mantuano. Egli già conosceva Alberto Mantuano e sapeva del suo tristo passato, tuttavia perseverò nelle sue pravi intenzioni, menandone anche vanto prima e dopo la rottura del fidanzamento e sui motivi di essa andava dicendo le scuse più svariate: una malattia venerea contratta in servizio militare; il dissenso della propria famiglia; la mancanza di mezzi e la cennata questione per La Regina. Ma, fra tante varietà, è cosa certa che Sarro confessò al Carabiniere Vittorio Colosimo di avere soddisfatto il suo capriccio erotico e andava cercando pretesti per non mantenere l’impegno assunto. Anzi, agli ammonimenti sulle conseguenze cui si esponeva, rispondeva con un sorriso beffardo e sarcastico (sono le testuali parole del Carabiniere che, per ragioni di servizio, lo aveva più volte diffidato sui reclami fatti dalla giovane). È, questa, una brutta pagina del processo per Santo Sarro donde, per ovvie ragioni, la Corte ha ricavato il più sicuro convincimento sulla piena attendibilità della dichiarazione resa da Maria Antonietta Mantuano in ordine ai rapporti intimi avuti col Sarro e sulla causale del delitto commesso dal padre di lei.
Ecco, adesso è il momento cruciale del dibattimento: analizzare la personalità di Alberto Mantuano per capire cosa davvero lo spinse a sparare contro l’ex genero e per farlo deve cominciare parlando di Maria Antonietta. Da questa analisi dipenderà la sua sorte: Mai Maria Antonietta Mantuano confidò ad alcuno il segreto delle sue carni martoriate, neppure ai propri familiari e sopportò in silenzio anche il disprezzo atroce degli sputi che le faceva Sarro per le vie del paese, limitandosi qualche volta a reclamare da sola o in compagnia della madre per tale insulto presso i Carabinieri. Frattanto, per un anno intero, tempo decorso dalla rottura del fidanzamento all’omicidio, Alberto Mantuano ha sempre mantenuto un contegno calmo e indifferente per l’abbandono della propria figlia; non ha mai elevato una protesta, un reclamo e neppure ha manifestato a chicchessia espressioni di risentimento o di minaccia, come affermano quasi tutti i testimoni della causa , tranne qualche parente della parte lesa , non credibile perché interessato a far apparire il contrario. Ma, quel che più conta, di minacce da parte di Mantuano non ha mai parlato neppure lo stesso Santo Sarro prima e dopo essere ferito. Ciò dimostra che il giudicabile Mantuano non aveva alcuna conoscenza dei rapporti sessuali interceduti fra i fidanzati e rende perfettamente attendibile la versione di Maria Antonietta Mantuano, ch’ella, per pudicizia e per timore di tristi conseguenze non aveva rivelato ad alcuno di famiglia l’oltraggio recato al suo onore per opera del Sarro. Costui, dichiara la giovane, durante il fidanzamento, riuscendo a vincere ogni resistenza, soprattutto per l’appassionato richiamo alla fede scambiata di trarla quanto prima a giuste nozze, abusò di lei contro natura. Quindi, destituito com’era della più elementare sensibilità, all’onta aggiungeva lo scherno brutale e la sera del fatto, incontratala nei pressi della fontana la sputò, come aveva fatto altre volte, e, sghignazzando, le disse: “ti è sanato il culo?”. È ben naturale che così atroce disprezzo abbia profondamente afflitta la giovane che, ritornata subito a casa, non potendo contenere il disgusto, svelò al proprio padre lo sfregio patito nell’onore e l’umiliazione ingenerosa e malvagia cui veniva sottoposta da Sarro. Fu, dunque, in questo momento soltanto che il padre venne a scoprire l’illegittima relazione carnale, tenuta fraudolentemente da costui con la figlia e, col cuore in tempesta per la grave onta inflitta all’onore della propria famiglia e della figliuola, imbracciato un fucile corse furibondo in cerca di Santo Sarro, Vistolo in piazza fra i compagni sparò contro di lui vari colpi e scappò. Tali modalità di tempo e di luogo, la rapidità dell’azione indubbiamente depongono in senso favorevole a tale versione, che si ritiene esaurientemente provata. Ciò posto, la Corte rileva che in codesta situazione di fatto si ravvisa il concorso di tutti gli estremi richiesti dall’articolo 587 del codice penale, ovvero il cosiddetto delitto per causa d’onore. È risaputo che oggetto della tutela penale nella cennata sanzione è l’onore sessuale della famiglia, onde non vale ad escluderne l’applicabilità nel caso concreto il rilievo dell’accusa che il Mantuano abbia riportato varie condanne e due anche per delitto di violenza carnale a danno di estranei, in quanto è ben ovvio che ciononostante l’agente non ha perduto la sensibilità del proprio onore familiare. Certo, la personalità dell’agente va convenientemente considerata anche in questa particolare figura giuridica, ma soltanto agli effetti della pena che dovrà sopportare.
Tutto chiaro: omicidio per causa d’onore, pena prevista da 3 a 7 anni di reclusione.
La Corte, quindi, modificando il titolo del reato e tenuto conto dei cattivi precedenti di Alberto Mantuano, stima giusto irrogargli la reclusione per la durata di anni cinque che, aumentati di una metà per la recidiva contestatagli, formano in definitiva anni sette e mesi sei, cui bisogna aggiungere un mese di arresti pel porto di fucile senza licenza ed un altro mese per l’omessa denunzia dell’arma. Oltre, ovviamente, le pene accessorie e il risarcimento del danno alle parti civili.
E Maria Antonietta? Anche lei è imputata. La Corte ha già riconosciuto la sua buona fede e scrive: nessun dubbio rimane alla Corte sul convincimento che debba escludersi qualsiasi partecipazione di Mantuano Maria Antonietta al delitto, con la conseguente assoluzione di lei per non aver commesso il fatto e ne ordina l’immediata scarcerazione, se non detenuta per altra causa.[1]
È il 21 novembre 1939. A Maria Antonietta le sue ferite la accompagneranno per tutta la vita.
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.