TI DICHIARO MIA AMANTE

Ti dichiaro mia amante. Pare che a Cosenza basti questa semplice espressione per assicurarsi i favori di una donna.

È l’usanza in voga tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX e che la donna sia o meno consenziente poco importa.

E se questa regola viene applicata da un’organizzazione criminale nei confronti delle donne per costringerle a prostituirsi, oltre ai favori sessuali delle amanti, ci si assicura, col terrore, anche la ‘nzugna, i soldi.

La guerra a tutto campo contro la malavita, che Questura e Carabinieri portano avanti a Cosenza in questi stessi anni, fa a tirare fuori dai cassetti la storia dello sfregio fatto da don Stano De Luca a Domenica Merlino perché non si può lasciare fuori da questa indagine il capo, dopo avere scoperto che molti dei suoi sottoposti hanno un’amante da spolpare.

Il Commissario Achille Di Napoli, con poche ed efficaci parole, descrive le nefandezze di cui picciotti e camorristi si sono resi responsabili:

Dalle stesse indagini è risultato che i componenti della associazione non abborrivano alcun mezzo per estorcere del danaro a qualsiasi ceto di persone e così pure si traevano grandi vantaggi dallo sfruttamento di donne perdute e, perfino, dallo sfruttamento di povere donne vecchie ed inferme, le quali lusingate dal contatto carnale con individui giovani e forti si lasciavano ingannare, lavorando o prostituendosi per soddisfare le richieste di danaro di cotesti pessimi soggetti. Eccone qui di seguito alcuni casi specifici:

Clausi Luigi sfruttava la prostituta Chiurco Maria Francesca, fu Armando, di anni 23, da S. Demetrio Corone, abitante in Cosenza, Salita Padolisi, pretendendo dalla medesima non solo tutto quanto guadagnava, ma anche che gli pagasse il pigione della casa da lui abitata, ed in caso di rifiuto o di semplice ritardo la percuoteva senza pietà.

Maione Pietro sfruttava una infelice donna storpia a nome Cameriere Rosina, fu Giacomo, d’anni 40, da Lattarico domiciliata a Cosenza via S. Lucia. Questa disgraziata era arrivata al punto di dover nascondere perfino il pane per non esserlo tolto dal Maione il quale spietatamente la maltrattava e la percuoteva togliendole i pochi soldi guadagnati trasportando per un’intera notte il pane per i fornai.

Matragrano Giuseppe, al solo scopo di sfruttarla, voleva stringere relazione con la prostituta Chiurco Maria dichiarandola sua amante.

Giuseppe De Francesco bazzicava sul postribolo di Briccone Carolina e pretendeva che le meretrici gli consegnassero una parte di quanto incassavano.

Macrì Francesco facevasi mantenere dalla prostituta Sarro Giovannina abitante in via S. Lucia.

Pizzarelli Giuseppe sfruttava la nominata Castellano Cristina, di Pasquale, d’anni 23, da S. Fili, pretendendo che la medesima in qualunque modo li fornisse i mezzi necessari alla vita.

Spadafora Ippolito strettosi in relazione con una tristissima donna a nome Stagliano Rosa fu Gregorio, d’anni 40, da Chiaravalle, si faceva dalla stessa mantenere costringendola a qualunque specie di lavoro.

Oltre a tali casi, molti altri individui della malavita si sono resi responsabili di continue estorsioni a danno di prostitute clandestine o domestiche, ma pochi elementi si sono potuti raccogliere perché quelle donne tenevano nascoste le offese patite per non svelare le loro vergogne.

E’ certo, invece, che tutti quei prepotenti non facevano alcun mistero di appartenere alla delittuosa associazione , anzi ne menavano vanto e ne traevano profitto incutendo così grave timore alle loro vittime. (…)

La prostituta Leprino Concetta la mattina di Pasqua non volle acconsentire che un soldato, recatosi sul postribolo, le portasse via una ciambella con l’uovo ed allora il soldato andò via dicendo che le avrebbe mandato un camorrista di Cosenza. Infatti, la sera si recò da lei il nominato Greco Raffaele il quale, chiamata fra le scale del postribolo la nominata Leprino, la schiaffeggiò minacciandola di più grave danno se avesse nuovamente mancato di rispetto ai suoi amici.

Il pregiudicato Marchese Giovanni, alcuni mesi or sono, trovandosi una sera presso la propria abitazione in Via Padolisi vide passare la nominata Chiurco Maria Francesca e la invitò ad entrare e poiché costei rifiutavasi, con l’aiuto di un altro compagno, la trascinò per forza in casa ed entrambi ne abusarono minacciandola poscia di percuoterla se si fosse lamentata.

I nominati Miceli Florestano e Medaglia Oreste più volte recavansi di notte a bussare alla porta della nominata Florio Caterina fu Raffaele e per indurla ad aprire le dicevano: apri che passano i fosferi (guardie di P.S:) ma in effetti il loro scopo era quello di farsi aprire per abusare di quella donna.

 

Anche altre donne denunciano di essere state costrette a prostituirsi e sfruttate da appartenenti alla mala vita. Maria Fiore, casalinga di 32 anni, racconta le sue disavventure:

Parecchi anni or sono ebbi la sventura di conoscere il muratore La Valle Raffaele col quale mi strinsi in intima relazione, ma ben presto ebbi ad accorgermi di essere capitata in balìa di uno sfruttatore; infatti, il La Valle pretese che mi prostituissi il più largamente possibile con obbligo di dare a lui tutto quanto guadagnavo. Parecchie volte avveniva mentre il La Valle si trovava in mia casa veniva qualcuno che voleva godere dei miei favori ed allora egli si allontanava per darmi tempo di prostituirmi e dopo subito ritornava per incassare ciò che avevo guadagnato. Annoiata per tali vessazioni più volte ho voluto rompere quella tresca ma il La Valle veniva a trovarmi di notte, mi sfasciava la porta e poi mi percuoteva per essermi rifiutata a riceverlo. Da qualche tempo, intanto, il La Valle aveva stretta relazione con un’altra donna, forse allo stesso scopo, ma ciò non ostante seguitava a venire da me, sicché io per sottrarmi alle sevizie che continuava a farmi, mi recai ad abitare sotto la casa del La Valle in modo che costui per non compromettersi con la sua nuova druda mi lasciava alquanto in pace. Ma la completa tranquillità è stata da me riacquistata solamente ora che il La Valle è stato arrestato.

 

Una sorte peggiore è toccata a Michelina Serpa, trentacinquenne domestica dell’orefice Giglio:

Circa due anni or sono fui dimessa dal carcere e subito conobbi il nominato Paura Tommaso il quale mi condusse in casa di certa Santoro Giuseppina alla Via Padolisi allo scopo di farmi prostituire ed infatti durante le ore della giornata e le ore della sera venivano da me delle persone per godere i miei favori. Appena tali persone andavano via, immediatamente si presentava a me il Paura ed io ero obbligata a dargli quanto aviva incassato senza potermi permettere di nascondere neppure un soldo, sicché dovevo rendere i miei favori ad esclusivo beneficio del Paura. Questo stato di cose durò due giorni, dopo di che presi in affitto una casa in Via del Seggio e per molti mesi fui vittima dello stesso trattamento da parte di quello sfruttatore. Mi prostituivo e davo a lui tutto il ricavato restando qualche giorno priva di pane, né potevo fare diversamente perché il Paura mi andava proponendo ad altri facendola da lenone e ben sapeva quanto mi era stato dato. Né di ciò contento il detto Paura si impossessò e vendette una buona parte della mia roba. Alla fine poi non potendo più sopportare quelle sevizie e stanca di prostituirmi senza alcun vantaggio, scappai da Cosenza andandomene nel Comune di Aiello, né potevo sottrarmi diversamente alla schiavitù cui mi trovava sottoposto perché il Paura non mi avrebbe lasciata partire, egli intanto dopo il mio allontanamento si appropriò e vendette il rimanente della mia roba. Quando poi seppi che Paura aveva preso moglie feci qui ritorno.

Questi uomini d’onore, volgari delinquenti sfruttatori di donne, saranno rinviati a giudizio e condannati. [1]

[1]  ASCS, Processi Penali.