SANGUINARIO CONGENITO

A Corigliano Calabro il massaro Natale Rugna è conosciuto come un uomo violento e prepotente, pronto a tutto quando qualcuno si permette di contraddirlo. Lo dice il suo certificato penale che riporta, a partire dall’età di 16 anni, una condanna a 15 giorni di reclusione per lesioni personali volontarie, una condanna nel 1918 a 5 anni di reclusione per lo stesso reato, comminatagli dal Tribunale di Guerra (amnistiata per la vittoria nella Prima Guerra Mondiale), e due assoluzioni per remissione di querela nel 1923 e 1924. In realtà reati per lesioni personali volontarie ce ne sono altri, come  quelli commessi nel 1913 ai danni di suo fratello Giorgio, ferito con una bastonata, che preferì non denunciare il fatto, o come quello ai danni di un altro suo fratello, Salvatore, contro il quale sparò un colpo di fucile nel 1919, anche questa volta rimasto senza querela. Ma lo dicono anche numerosi episodi: la resa dei conti tra lui e tal Quintieri, sul quale si avventò ledendolo, relativa ad una compravendita di pomidoro, solo perché Quintieri voleva compensare sulla somma dovuta altra minor somma di cui andava creditore; altra volta per una questione di acqua venne a vie di fatto con tal Scavello e ne fu querelato; altra volta ancora si permise esser prepotente perfino col suo vecchio medico curante, da cui forse pretendeva assistenza gratuita o quasi. Continuiamo? Continuiamo! Natale, divenuto conduttore di alcune terre del barone Campagna, non si risparmiò, alla resa dei conti, di attaccar briga con l’amministratore, onde il Campagna, non volendo aver da fare con lui, non gli rinnovò il contratto; nonostante ne conoscesse molto bene il carattere, nel 1934 suo fratello Luigi, incautamente, nel trarre in fitto il latifondo “Santo”, si unì a lui in società, ma questa fu di breve durata poiché fin dal primo momento si dié a litigare sia col fratello che col proprietario del fondo, onde questi, alla scadenza, non volle rinnovare la locazione con lui dandogli lo sfratto e la rinnovò col solo  Natale. Né è da tacere che durante la breve società, Natale tentò perfino di mandare in galera il fratello, facendolo accusare di minaccia a mano armata. All’uopo istigò un di lui dipendente a denunziare che Luigi Rugna l’aveva minacciato a mano armata di scure, né omise di appoggiare l’accusa calunniosa con le di lui asseverazioni. Ma male gliene incolse poiché i Carabinieri, accertata la calunnia, trassero l’uno e l’altro in arresto e li denunciarono all’Autorità Giudiziaria. Luigi, però, non ebbe a querelarsi, tuttavia volle rompere col fratello ogni rapporto e, anzi, perché fossero allontanate le occasioni di incontrarsi, cambiò domicilio trasferendosi con la sua famiglia nel vicino comune di Terranova da Sibari.

Insomma, Natale Rugna, egoista e prepotente per istinto, diventa addirittura feroce tutte le volte che ha contrasti di interesse con chicchessia, contrasti che egli stesso fa sorgere, volendo far la parte del leone con tutti quelli che han da fare con lui.

Detto questo, non dobbiamo tacere che Natale, l’11 agosto 1924, fu vittima di un terrificante incidente. Lo racconta il settimanale “Il Popolano di Corigliano Calabro” nell’edizione del 24 agosto successivo: Il giorno 11 del corrente mese la nostra città fu turbata da un dolorosissimo avvenimento. Mentre il signor Francesco Rugna, assieme col figlio Natale, si recava alla marina, giunto al passaggio a livello di Via Schiavonea, fu investito dal treno. Nel grave frangente il Francesco Rugna trovò la morte e suo figlio riportò multiple lesioni per cui giace tuttora a letto.

La tragica morte di suo padre e la sua quasi miracolosa guarigione però, come abbiamo visto, non gli fecero cambiare il carattere.

Ma ritorniamo al 1934, al punto in cui Luigi rompe i rapporti con Natale. In effetti questa rottura non è del tutto praticabile perché i due fratelli sono proprietari di due fondi contigui in contrada Torrepinta e quindi è evidente che per un motivo o per l’altro i contatti tra i due sono destinati a continuare, probabilmente generando altre liti.

Il fondo di Natale, in parte acquitrinoso, è recinto di filo spinoso e pali; quello di Luigi, al cui limite c’è una stradella di accesso, confina con il primo mercé detta stradella, la quale è di uso esclusivo di Luigi.

Ahi, guai in vista!

In un giorno del 1935, Natale, indubbiamente per fare atto di prepotenza contro Luigi, sposta i pali divisori, piantandoli sulla di costui stradella. Ovviamente ne nasce una controversia legale e viene fatta una perizia, in seguito alla quale Natale deve rimettere i pali al loro posto e ne rimane così contrariato che sbotta in pubblico:

Per ogni palo che mio fratello Luigi mi ha fatto spostare, io gli debbo accendere una candela!

È una minaccia di morte o un macabro augurio? Probabilmente solo una battuta di cattivo gusto, una delle sue solite.

Gli anni passano, quattro per l’esattezza, durante i quali ci sono altre liti che non degenerano, vuoi per l’intervento di comuni amici che si adoperano per appianare i contrasti, vuoi per la prudenza e la pazienza di Luigi che sopporta stoicamente le continue offese fattegli: “cornuto e figlio di troia” sono in genere le parole più dolci che Natale gli riserva. E dobbiamo anche dire che la prudenza e la pazienza di Luigi, paradossalmente, sono per Natale la spinta per divenire contro di lui sempre più prepotente ed aggressivo. Pretende, per esempio, che Luigi abbatta una saracinesca, la quale ab immemorabilis, si trova nel suo fondo ed alle resistenze del fratello risponde con minacce di morte.

Come abbiamo visto, il fondo di Natale è in parte acquitrinoso e volendolo egli prosciugare, incanala le acque ed a mezzo di tubi pretende riversarle in un canale di espurgo esistente oltre il fondo di Luigi permettendosi, senza di chiederne il permesso e senza averne diritto, collocare i tubi attraverso la stradella, per lo che fa praticare, in questa, un fosso profondo due metri e largo un metro.

Mentre gli operai sono intenti a scavare il fosso arriva Luigi. che vede lo scempio e chiede agli operai chi ha dato loro l’ordine di porre i tubi sulla strada.

È stato tuo fratello… – gli rispondono.

Natale, che è poco distante, sente il dialogo ed invece di chiedere scusa, il che forse avrebbe rotto il ghiaccio tra di loro, se ne sta zitto, significando col suo silenzio: “mi giova far passare i tubi pel tuo fondo e li faccio passare, te nolente”.

Luigi, giustamente indispettito per questa ingiustizia ai suoi danni e, più dell’opera, dal contegno del fratello, poco dopo manda a chiedergli ancora se sia disposto a togliere i tubi, al che Natale gli manda a dire:

Per adesso li ho messi, se debbo toglierli li toglierò! – come a voler dire che non intende toglierli, se non dietro una sentenza del Tribunale.

Luigi nemmeno adesso reagisce alla provocazione e chiede di nuovo ad un operaio di ripetere al fratello di togliere i tubi con le buone, ma la risposta è sempre la stessa: assolutamente no!

A questo punto Luigi percorre l’unica strada che conosce, quella della Legge, e va dall’avvocato Policastro per provocare l’immediato accesso del Pretore, prima ancora che l’opera sia finita. L’avvocato, invece, di sua iniziativa contatta l’avvocato Arena, lo storico legale di Natale, il quale lo dissuade di far denuncia di nuova opera, facendogli intravvedere l’opportunità di eliminare essi stessi, col loro buon consiglio, la controversia tra i fratelli. Policastro allora non chiede l’intervento del Magistrato senza preoccuparsi di avvisare Luigi, il quale, non ricevendo notizie dall’avvocato ed edotto che compiuta l’opera qualsiasi reazione sarebbe stata illegittima perché in tal caso solo la pronuncia giudiziaria, con le sue lungaggini, poteva ordinarne la demolizione, pensa bene, come è suo diritto, al fine di impedire che l’opera si compia, di respingere la violenza con la violenza e la stessa notte fa togliere i tubi dalla sua stradella.

La mattina dopo, Natale torna sul posto e trova la sorpresa. È imbestialito e assume un aspetto così truce che gli operai gli leggono negli occhi che ha in mente qualcosa di brutto e tentano in ogni modo di calmarlo, senza però riuscirci. Sbuffando, sale sul suo calesse e si allontana in direzione di Corigliano.

– Hai visto? Aveva gli occhi come un diavolo – dice un operaio ad un altro.

In questo frattempo arriva la moglie del guardiano del fondo e lo stesso operaio, preoccupato, le dice:

Massaro Luigi questa notte certamente non dormirà accanto alla moglie perché massaro Natale è troppo arrabbiato contro di lui!

Arrivato a Corigliano, Natale va a casa, dove prende la sua rivoltella e la sua doppietta, poi va dall’armiere Carmine Figola e compra 30 cartucce: 10 cariche a pallettoni, 10 con piombo grosso e 10 con piombo piccolo, quindi si imbatte nel laureando in legge Angelo Pisani e, bestemmiando, gli dice che suo fratello ha rimosso i tubi e che deve senz’altro rimetterli.

Perlamadonna torno al fondo e vediamo! – urla rimontando sul calesse.

Pisani capisce subito che Natale è saturo d’odio e ha in mente qualcosa di tragico, così pensa bene di impedirgli di imbattersi nel fratello. Deve fare presto se vuole evitare una tragedia. Noleggia un’automobile e corre al fondo per prendere Luigi e portarlo al sicuro. Lungo la strada supera Natale sul calesse. È fatta! No. No perché Luigi al fondo non si è visto. Dove può essere? Mentre pensa, arriva Natale. Adesso è tardi per ripartire, l’unica cosa che viene in mente a Pisani è cercare di guadagnare tempo, sperando che Natale si calmi.

– Sai che facciamo? – gli dice – ce ne andiamo a mangiare io e te alla masseria Torricella, beviamo pure un paio di bicchieri e torniamo qui.

– No… oggi è impossibile, un altro giorno ti accontenterò – poi, visto che suo fratello non c’è, si allontana.

Pisani e i due suoi amici che lo accompagnano decidono di andare a vedere se Luigi è andato alla masseria Sanzo, anche questa gestita da lui, ma non è nemmeno lì. Però apprendono una cosa importante da un garzone: Luigi è andato con la sua automobile a Cosenza.

– Sai con chi è andato?

– Con suo fratello Salvatore, suo nipote Francesco e suo cognato Giuseppe  a prendere l’altro nipote Alfonso, che è stato dimesso dall’ospedale…

– Mi devi fare una cortesia, non devi allontanarti da qui per nessun motivo e quando torna massaro Luigi lo devi avvisare di non andare a Corigliano perché suo fratello Natale ha cattive idee e potrebbe succedere una tragedia! Hai capito bene?

– Sissignore!

Il garzone aspetta fino alle tre di pomeriggio il ritorno del padrone, ma non può aspettare oltre perché ha un impegno urgente a Corigliano, così lascia la consegna ad un altro garzone. Lungo la strada si imbatte in Natale, fermo sul ciglio della strada intento a scrivere. “Sta aspettando il fratello per fargli la festa”, pensa e pensa anche che forse può toglierlo da lì.

– Massaro Natale, me lo potete fare un piacere? Mi accompagnate a Corigliano ché ho fretta e sono in ritardo?

– No, non posso venire perché aspetto operai… invece di parlare, corri, corri! – il tono è quasi scherzoso – Ah! Sai se mia cognata è alla masseria Sanzo?

– No, non c’è! – gli urla, pensando che forse Natale la festa vuole farla completa.

Sono ormai le quattro di pomeriggio quando la macchina di Luigi Rugna si ferma alla masseria Sanzo e viene avvisato dal garzone, che aggiunge:

– Don Luì, andatevene a casa, a loro li accompagno io col biroccio

– Ma che cazzo stai dicendo, a Corigliano ci vado io! – così innesta la marcia e parte. Il garzone guarda l’automobile che si allontana e scrolla le spalle.

Percorsi un paio di chilometri, l’automobile arriva nel luogo dove Natale è appostato. A sua volta, non appena vede Luigi sopraggiungere, Natale comincia a sbracciarsi per farlo fermare, ma la macchina prosegue la corsa, rischiando anche di investire il calesse.

Natale bestemmia, imbraccia il fucile, si mette in piedi sul calesse e lo spinge a corsa vertiginosa per raggiungere l’auto. Percorsi appena un centinaio di metri l’automobile di Luigi si ferma e ne sta per scendere Salvatore con l’intento di calmare Natale e farlo riappacificare con Luigi, ma l’urlo del figlio gli consiglia di richiudere lo sportello mentre la macchia riparte a velocità.

– Papà, ha il fucile puntato!

Troppo tardi. I pallettoni forano la carrozzeria: uno raggiunge di striscio alla testa il giovane Alfonso, appena dimesso dall’ospedale; un altro pallettone colpisce Luigi all’avambraccio sinistro e glielo spezza in due, ma nonostante ciò continua a guidare con la sola mano destra perché ha capito che questa volta la sua vita è davvero appesa ad un filo, proprio come il suo braccio.

Il dolore è troppo forte, le urla di terrore degli altri occupanti della macchina rimbombano nella testa di Luigi. È chiaro che non andranno lontano e Natale sarà loro addosso. Luigi perde il controllo e la macchina finisce fuori strada in un campo di grano, terminando la corsa dopo un centinaio di metri.

Luigi, terrorizzato, scende dalla macchina col braccio sinistro che gronda sangue, tenuto attaccato solo da qualche lembo di carne. Davanti a lui c’è una casetta colonica, la sua salvezza! Corre, corre senza più sentire dolore. La porta è sempre più vicina, ma a sbarrargli la strada c’è una donna, attorniata da due o tre bambini, che gli urla di andare via, mentre entra precipitosamente in casa e fa per chiudere la porta. Troppo tardi, Luigi le è addosso, la spinge dentro con i bambini ed entra a sua volta sprangando la porta, piuttosto sgangherata in verità.

Intanto Natale ha fermato il calesse sul ciglio della strada e con il fucile in mano cammina con calma verso la casetta. Salvatore è sceso dall’auto e cerca di fermarlo dicendogli:

– Finiscila! Vedi che hai fatto? Hai ucciso tuo nipote!

Natale guarda nell’abitacolo e vede Alfonso con la testa rovesciata all’indietro, completamente ricoperta di sangue e risponde:

Prendi il calesse e portalo di corsa all’ospedale – poi guarda verso la casetta e si mette a correre.

– No, fermati per l’anima dei morti, fermati – urla Salvatore, aggrappandosi disperatamente alle spalle del fratello che si ferma, si gira col fucile spianato e con un tono di voce che sembra una coltellata, gli dice:

Vattene Salvatore, lasciami stare perché questa sera debbo farla finita

– No, non me ne vado, se tu che questa volta devi lasciare stare!

Vattene, ti ripeto, non credere che sono finite le cartucce, altrimenti sparo pure a te! – e così dicendo gli fa vedere le molte cartucce che tiene sotto il gilet, poi riprende la sua corsa verso la casetta e quando arriva davanti alla porta, col calcio del fucile sfonda lo sportello centrale, dà un’occhiata dentro e mette le canne del fucile nell’apertura facendo fuoco. Da dentro un urlo.

Ohi mamma mia m’ha ammazzato!

Poi le urla terrorizzate della donna e dei bambini, nascosti sotto il letto.

Ancora un’occhiata dentro e ancora un colpo. Ricarica il fucile e spara un altro colpo. Adesso si sente solo il pianto dei bambini e la voce della loro mamma che implora pietà, mentre dallo sportello sfondato esce il fumo acre della polvere da sparo. È in questo istante che arriva, sconvolto, Salvatore e prende per le spalle Natale, lo gira e cerca di togliergli il fucile. Arriva di corsa anche il garzone, che passando ha visto tutta la scena ed è accorso. Adesso in due riescono a disarmarlo, ma Natale cerca di prendere la rivoltella e mette la mano in tasca. Il garzone però è più lesto e gliela strappa di mano. A questo punto, ansimando, Natale si allontana dalla casetta, torna al calesse e sparisce.

Salvatore ed il garzone, rimasti da soli, a spallate riescono a sfondare la porta ed entrare. Davanti a loro, a terra, c’è Luigi che boccheggia. Salvatore gli si butta addosso per cercare di soccorrerlo, ma è troppo tardi e gli muore tra le braccia. Solo adesso i due uomini sentono il pianto dei bambini, quattro, e della loro mamma, incinta del quinto, che escono da sotto il letto e corrono via.

I Carabinieri trovano Natale due giorni dopo, nascosto in un roveto della contrada Torricella. In caserma confessa il delitto, ricostruendo gli avvenimenti degli ultimi anni, secondo il suo punto di vista:

– Dopo le liti per il fitto del fondo del barone Campagna, quando gli odii stavano per diminuire, un fatto nuovo è stato causa di grave risentimento da parte mia… accintomi a prosciugare il mio fondo in contrada Torrepinto, era necessario, per far defluire le acque con corso regolare nel collettore delle bonifiche, disporre i tubi sotto la strada di mio fratello. Non arrecandogli danno in quanto la strada sarebbe stata ugualmente ricoperta, ho creduto di eseguire l’operazione senza chiedere alcuna preventiva autorizzazione. Venerdì scorso feci eseguire gli scavi e collocare i tubi. Mio fratello mi fece sapere che pretendeva ch’io togliessi immediatamente i tubi, ma non li tolsi perché egli avrebbe dovuto invitarmi con la legge! Sabato mattina constatai che nella notte Luigi li aveva fatti togliere. Rimasi indignato, mi portai sulla via di Cosenza per attendere mio fratello onde invitarlo, con le buone, a rimetterli

– E il fucile? E la rivoltella? E tutte quelle cartucce?

Prima di partire per incontrarlo mi recai in casa e mi armai di rivoltella per premunirmi nella eventualità che mio fratello, vedendosi fermato, mi facesse qualche affronto, andando egli armato di pistola

– In realtà non gli fu trovata alcuna arma addosso e tutti quelli che lo conoscevano ci hanno detto di non averlo mai visto armato… comunque continuate.

Mi armai anche di fucile e sulla rotabile attesi tre ore il ritorno di mio fratello e visto che non veniva mi avviai verso la masseria Sanzo per vedere se colà fosse giunto. Strada facendo incontrai la macchina, gridai di fermarsi e cercai di mettere di traverso il biroccio per fermarsi, ma avendo via libera non si fermò. Gli corsi dietro. Ad un certo punto scese un uomo che rientrò in macchina e questa si mise in moto. Sparai un colpo e poco dopo la macchina deviò andando a fermarsi in un campo di grano. Corsi verso la macchina per dire a mio fratello che nella giornata avrebbe dovuto rimettere i tubi, ma egli di corsa raggiunse una vicina casetta, chiudendosi dentro. Scesero tutti gli altri. Salvatore mi disse che avevo ucciso mio nipote. Questi era intriso di sangue ed a quella vista perdetti i lumi e non ragionai più. Corsi dietro la porta, invitai mio fratello ad uscire, ma non uscì. Sfondai col calcio del fucile lo sportello, guardai dentro, scorsi mio fratello e gli sparai un colpo a bruciapelo. Poscia feci capolino dallo sportello e mi accorsi che era piegato sul fianco. Avevo messo le canne del fucile dentro la porta, involontariamente, in quello stato di agitazione è partito un altro colpo… non era nelle mie intenzioni di uccidere mio fratello… mi sono determinato al delitto quando ritenni di aver ucciso mio nipote

Omicidio aggravato dalla premeditazione, lesioni, porto abusivo di rivoltella e fucile, violazione di domicilio aggravata. Durante l’istruttoria la difesa chiede di sottoporre il suo assistito a perizia psichiatrica perché, dopo il grave incidente di cui rimase vittima nel 1924, non sarebbe più stato in grado di intendere e volere e cita come testimoni due medici e altre 17 persone. Solo uno dei testimoni conferma la tesi della difesa, gli altri riferiscono che sia prima che dopo l’incidente il carattere di Natale non è affatto mutato, né in meglio e né in peggio. Il Giudice Istruttore, forte anche delle testimonianze degli altri due fratelli, Giorgio e Salvatore, i quali riferiscono che Natale è stato sempre un delinquente ed escludono che il suo sistema nervoso sia rimasto alterato dopo l’investimento, respinge per due volte la richiesta e lo rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari per rispondere di tutti i capi di imputazione.

Il dibattimento si tiene in quattro udienze, dal 6 al 10 giugno 1941. La difesa ripropone la richiesta di perizia psichiatrica, ma la Corte la respinge perché infondata nel merito, irricevibile in rito. E vengono respinte anche le due richieste subordinate della semi infermità mentale all’atto del delitto e quella di avere agito in stato d’ira per fatto ingiusto della vittima (se Luigi non avesse tolto i tubi, Natale non si sarebbe di certo infuriato). Secondo la Corte Natale Rugna è un uomo irriducibilmente pericoloso e non merita indulgenza di pena col riconoscimento delle attenuanti. La ferocia con la quale consumò il fratricidio è il segno della sua pericolosità, non la prova o l’indizio che egli sia anatomicamente leso nel suo meccanismo cerebrale o, per meglio dire, che il suo cervello sia travagliato da un processo morboso che ne alteri le funzioni.

Ciò detto, la Corte passa all’esame delle modalità e degli accidenti del delitto che possono costituirne aggravanti o diminuenti. Circa l’aggravante della premeditazione la Corte aderisce alla richiesta della difesa, negandola. E spiega: Il prevenuto, saturo di ingiusta collera, dalla quale fu preso alla vista della rimozione dei tubi, si decise al delitto e non pare che nelle poche ore scorse dal proposito della vendetta alla esecuzione, sia stato richiamato alla ragione, ché diversamente avrebbe valutato, nel suo egoismo, che la clamorosa uccisione del fratello, senza un motivo adeguato, gli avrebbe schiuso l’ergastolo e si sarebbe astenuto, almeno per quel giorno, di divenir fratricida a vista di tutti, in pieno meriggio. Egli, di temperamento impulsivo, violento e sanguinario, commise il delitto dominato – senza scampo – dalla sua collera. Tutto induce a credere che egli ebbe a delinquere in tali condizioni e basterebbe ciò per escludere l’aggravante. Il prevenuto ha affermato che si determinò al fratricidio solo quando si accorse di aver ferito il nipote e se così fosse, sarebbe ancora più inconsistente l’assunta premeditazione, benché nulla toglierebbe alla gravità del delitto.

Non resta che determinare la pena da infliggere e la Corte ragiona: sarebbe iniquo non esser severi, tenuto conto della ferocia inaudita del fatto (più colpi di fucile contro una vittima incolpevole, ricercata fin nel suo rifugio, che venne violato). Tenuto conto dei precedenti dell’assassino, del danno arrecato (la strage di un padre di sei teneri figliuoli), del contegno dopo il delitto (la latitanza, il non pentimento e l’espiazione), credesi proporzionata quella di ventotto anni di reclusione. A questi vanno aggiunti 1 anno per le lesioni in danno del nipote, 1 anno per la violazione aggravata di domicilio e 1 mese di arresti per il porto abusivo delle armi. In tutto 30 anni di reclusione e 1 mese di arresti, più le pene accessorie e il risarcimento dei danni alle parti civili.

Non risultano ricorsi in appello.[1]

È il 10 giugno 1941, l’Italia è in guerra da 9 mesi ed è già in grave difficoltà, mentre sei orfani continuano a piangere il padre.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.