La mattina tardi del 12 maggio 1936, una donna bussa alla porta della caserma dei Carabinieri di Acri. È molto scossa e porta sul viso segni di percosse. Il Maresciallo la fa sedere e si appresta ad ascoltare ciò che ha da raccontare. La donna, Francesca Gencarelli, per prima cosa toglie dalla tasca del grembiale un foglio di carta piegato in quattro e lo porge al militare. È un certificato medico nel quale si attesta che ha riportato escoriazioni multiple al viso e alla regione sternale.
– Chi è stato? – le chiede
– Mia nuora… Angela Groccia… pure stamattina mi ha picchiata e io, giunta al termine della mia sopportazione, prima sono andata dal medico e adesso sono qui…
– Ditemi tutto.
– Da più tempo mio figlio Michele, spinto dalla moglie, mi maltratta anche privandomi del cibo necessario. Mi percuote e mi minaccia di morte…
– Ma avete detto che a percuotervi è stata vostra nuora… – la interrompe il Maresciallo. La donna gli fa cenno di avere pazienza.
– Qualche giorno fa si è permesso, mentre io e mio marito dormivamo, di collocare sotto il letto legna resinosa alla quale poi tentò di dare fuoco, ciò che non gli riuscì per il tempestivo intervento dell’altro mio figlio Vincenzo, accorso in nostra difesa. Mio figlio Michele e mia nuora mi maltrattano per costringermi a fare loro dono di tutti i miei beni…
Il Maresciallo non fa in tempo a fare la domanda che ha in mente perché entra un Carabiniere e, scattando sugli attenti, gli dice:
– Mi scusi signor Maresciallo, ma c’è una donna che sbraita e insiste perché vuole assolutamente parlare con voi per presentare urgentemente una querela.
– Ditele di aspettare in silenzio, sono occupato o, se intende, ritorni più tardi. – dice al sottoposto, congedandolo. Poi lo richiama – Ah! Fatevi lasciare il nome!
– Già fatto, signor Maresciallo, la donna si chiama Groccia Angela.
– Come come come? Aspettate un attimo. – poi, rivolto a Francesca Gencarelli, dice – Signora, andate con il Carabiniere e state in silenzio, per favore. Vediamo che cosa ha da dire vostra nuora.
– Comandi signor Maresciallo!
Angela Groccia è giovane, esuberante ed impulsiva. Si catapulta nell’ufficio del Maresciallo quasi urlando:
– Mò la vediamo chi è che ha ragione!
– Calmatevi, non sono modi questi!
– Marescià, li denuncio! Stamattina mia suocera Gencarelli Francesca e mio cognato Straface Vincenzo mi hanno ingiuriato e percosso!
– Bene, allora andate col Brigadiere e sporgete la querela, così tutto si sistemerà!
La giovane, contrariata, ubbidisce.
Rimasto da solo, il Maresciallo ordina di far rientrare Francesca, ma per fatalità suocera e nuora si incontrano nel corridoio.
– È inutile che giri, tu devi morire per le mani mie! – urla Angela all’indirizzo della suocera, ma è un grave errore, adesso a confermare le dichiarazioni della vecchia ci sono anche due Carabinieri.
Calmatasi la situazione, il Maresciallo invita Francesca a continuare il racconto.
– Quando Michele e Angela si sposarono vennero ad abitare in casa nostra col nostro pieno gradimento. Ma la convivenza divenne in breve fonte di amarezze e dissidi poiché per l’intolleranza di Angela, avrete certamente notato com’è, e per il sordido interesse di mio figlio, che vuole spogliarci dei nostri beni, comprimendo i nostri giusti dissensi con continui litigi, atti violenti e crudeli maltrattamenti, sicché la nostra vita è diventata un inferno… aiutateci, siamo vecchi…
Le indagini dei Carabinieri accertano che Francesca Gencarelli ha detto la verità, mentre la querela sporta dalla nuora è solo un tentativo di neutralizzare la denuncia a suo carico. Ci sarà un processo e nel frattempo la convivenza in casa Straface continua come sempre.
La mattina del 5 agosto 1936, non sono ancora passati tre mesi dalle querele, Francesca Gencarelli chiama la nuora:
– Angiulì, non è che hai dato ai tuoi nonni le pere del maiale?
Angela va su tutte le furie, prende una sedia e la spacca in testa alla suocera che stramazza al suolo davanti alla porta di casa. Sbuffando di rabbia entra in casa, prende una scure e colpisce sulla testa per ben sei volte la suocera, che muore all’istante, urlandole contro tutto il suo rancore.
È una scena orrenda: schizzi di sangue, molti dei quali misti a sostanza cerebrale sono sparsi dappertutto, e specialmente addosso ad Angela, che sembra una creatura appena uscita dagli inferi. Cerca di pulirsi il viso passandoci sopra le mani, ma il rimedio è peggiore del male. Poi, ansando, pensa che le sue urla possano essere state udite dal suocero e dal cognato e ha paura che possano arrivare da un momento all’altro e ridurla nello stesso stato in cui lei ha ridotto sua suocera. E se non sarà oggi, sicuramente vorranno vendicarsi e l’ammazzeranno domani o tra dieci anni, meglio scappare e costituirsi ai Carabinieri.
Corre ed a chi la incontra e le chiede cosa le sia successo e dove mai stia correndo tutta coperta di sangue, con un ghigno risponde:
– L’ho ammazzata, ho ammazzato socrama e sono contenta che me la sono tolta davanti!
C’è una rea confessa, ma le indagini portano a sospettare che Michele Straface, suo marito e figlio della vittima, non sia estraneo al delitto e si procede anche nei suoi confronti per i reati di concorso in omicidio aggravato e maltrattamenti, così come sua moglie.
– Di ammazzare, l’ho ammazzata, l’ho confessato e lo confermo e l’ho ammazzata perché non sopportavo più che volesse controllare, che dico, non un uovo o le pere marce del maiale, ma anche un filo di paglia, però non è vero che l’abbia mai maltrattata e abbia maltrattato anche mio suocero.
– Va bene, vedremo, ma devi raccontare come sei arrivata a fare quello che hai fatto la mattina del 5 agosto.
– Mia suocera non mi dava pace perché sospettava che abusassimo della ospitalità di lei, proprietaria della casa e del fondo… si litigava per cose da nulla… la mattina del 5 agosto mi coprì di contumelie, senza che io mi ribellassi. Andai a raccogliere delle pere per i maiali e mia suocera attaccò nuova lite perché pensava che avessi regalato quella frutta ai miei nonni, che abitano a poca distanza… mi chiamò puttana; io risposi che la puttana l’aveva fatta sempre lei. A questo punto ella dié di piglio ad una sedia e si slanciò contro di me. Io mi difesi ed ella cadde a terra ma, rialzatasi, corse nell’interno della casa, dalla quale uscì armata di scure e mi si fece incontro per colpirmi al capo. Io, svelta, per difendermi la disarmai e con la stessa sua scure la colpii alla testa e scappai per costituirmi…
Se non fosse che pochi giorni dopo l’omicidio il Tribunale di Cosenza assolve Vincenzo Straface per non aver commesso il fatto (la stessa sentenza ci sarebbe stata anche per Francesca Gencarelli, se fosse stata ancora viva) dalle accuse che Angela gli aveva rivolto nella famosa controquerela e ciò significa che quelle accuse erano false, il suo racconto sarebbe stato anche credibile. Ma in queste condizioni nessuno è disposto a crederle. E le cose per Angela peggiorano quando arriva la perizia sulla sedia che ruppe addosso alla suocera: la sedia è stata trovata intrisa di sangue e con un pelo bianco attaccato al piede posteriore sinistro. E siccome Angela non ha ferite che giustifichino le macchie di sangue e i suoi capelli sono tutt’altro che bianchi, è evidente che la sedia è stata adoperata solo da lei e non dalla suocera.
Intanto la posizione di Michele si alleggerisce e viene prosciolto dall’accusa di concorso in omicidio per non aver commesso il fatto. Risponderà solo dei maltrattamenti, ancora una volta certificati da molti testimoni. Angela risponderà anche, e soprattutto, di omicidio aggravato.
Nel dibattimento, prima di esaminare l’omicidio, si raggiunge la prova che i maltrattamenti ci furono realmente e avvennero, come giurano Domenico e Vincenzo Straface, soprattutto per istigazione di Angela Groccia, come quando Michele cercò di bruciare vivi i propri genitori o come quando si permise di percuotere la mamma o, ancora, come quando la tenne per tre giorni consecutivi forzatamente digiuna, al fine di vincerne la resistenza ed indurla a consentire alla vendita di un fondo del quale ella aveva l’usufrutto. Spesso egli e la moglie la minacciavano di morte e non la lasciavano mai in pace sicché, mentre per legge di natura avrebbero dovuto proteggerla e custodirla, divennero per lei causa di continui incubi e le amareggiarono la vita, dimostrando così il deliberato proposito di infierire contro di lei. Oziosa riuscirebbe ogni disputa circa il loro dolo specifico e la loro azione continuativa costituisce, appunto, il delitto di maltrattamenti. Molti testimoni riferiscono che Angela abitualmente afferrava la suocera pel mento, le scuoteva la mandibola, la graffiava sulle guance. Si vedrà quale sarà la pena adeguata per questo reato.
Ma ora è il momento di esaminare l’orrendo delitto.
Sulla responsabilità di Angela Groccia non c’è da discutere, è rea confessa, nonostante abbia creduto di inscenare uno stato di legittima difesa o di eccesso colposo di legittima difesa.
Ed è a questo punto che la dinamica del delitto viene chiarita definitivamente. E viene chiarita attraverso le ingenue, semplici e disinteressate dichiarazioni di uno dei figli di Michele ed Angela, un bambino di 7 anni, presente a tutta l’orrida scena, dal principio alla fine:
– Il giorno del fatto, mia mamma aveva preso una cesta di pere per portarle al maiale, se non che nonna si fece avanti e le disse: “a chi porti queste pere? A Mariangela?” fu allora che mamma e nonna cominciarono a litigare. Nonna prese mamma per i capelli e mamma prima la menò con la cesta delle pere e nonna cadde a terra. Poi, la picchiò con la sedia ed infine con la scure che prese dentro casa.
A confermare le parole del bambino, il Pubblico Ministero chiama a testimoniare Francesco Carravetta, che quel giorno trovavasi a pascolare le pecore in un fondo prossimo, di fronte alla casa di Domenico Straface:
– Vidi che Angela Groccia prese prima una sedia e la pestò sulla testa alla suocera e poi, entrata in casa, si armò di una scure e cominciò a menare di santa ragione in testa alla suocera, tanto che contai sei colpi…
Però, nonostante le parole ingenue, semplici e disinteressate del figlio di Angela, qualcosa non quadra: Angela, in tutte le sue dichiarazioni, non si è mai lamentata del fatto che la suocera l’avesse presa per i capelli. È poca cosa, la sostanza non cambia, forse è stata conseguenza di errata visione o di cattivo ricordo del bambino.
Se ce ne fosse ancora bisogno, c’è un fatto oggettivo che, al di là delle testimonianze, prova l’impossibilità che l’anziana Francesca Gencarelli avesse potuto osare verso la nuora un qualsiasi atto di violenza: le qualità fisiche delle due donne. Angela è giovane, robusta, aitante, esuberante di vita; la suocera, più che settantenne, debole, malandata, infermiccia, incapace di difendersi, come di offendere chicchessia.
La Corte, acquisiti tutti gli elementi a disposizione, per smontare definitivamente la tesi della legittima difesa e il riconoscimento di avere agito perché provocata, conclude: non avendo compiuto, la vittima, alcun fatto ingiusto ai danni di lei, il suo contegno dimostra la ferocia del suo animo, non già una qualsiasi necessità in cui si trovava di respingere un qualsiasi pericolo, ché nessun pericolo poteva farle correre l’infelice vecchietta, né ella poteva mai credere che tal pericolo sussistesse. La condotta serbata dalla Groccia in tutto l’affare, induce a pensare che le prime ingiurie partirono proprio da lei che si era sempre mostrata linguacciuta e sfrontata ed aveva osato di minacciare la suocera perfino in presenza dei Carabinieri. Ella uccise per odio incontenibile ed ingiustificato, al di fuori di ogni considerazione morale.
Detto questo, in considerazione dei suoi buoni precedenti penali e del grado di pericolosità da lei dimostrato, per il reato di omicidio credesi opportuno condannarla alla pena minima di anni 24 di reclusione.
Per quanto riguarda il reato di maltrattamenti, la Corte argomenta: avuto riguardo alla speciale natura del fatto, ai mezzi adoperati e al grado di pericolosità dei giudicabili dimostrato, sembra giusto infliggere a ciascuno di essi anni uno di reclusione e poiché nulla osta che, nei confronti di Michele Straface, venga ordinata la sospensione condizionale per anni cinque della esecuzione della pena, sotto le comminatorie di legge, sembra opportuno concedere all’imputato tale beneficio, soprattutto perché i piccoli figli dei prevenuti non rimangano ancora privi dell’assistenza di entrambi i genitori.
Quindi per Angela Groccia la pena totale è di 25 anni di reclusione, oltre alle pene accessorie.
È il 25 gennaio 1937.
Angela Groccia propone ricorso per Cassazione, ma non siamo a conoscenza della decisione della Suprema Corte.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte di Assise di Cosenza.