GIGGINU ‘U ZORRU

Il 25 agosto di ogni anno ad Arcavacata di Rende si tiene una grande fiera. È così anche nel 1949. I venditori di abbigliamento, di stoviglie, di dolciumi fanno affari d’oro. Non se la passano male neanche gli zingari che comprano e vendono animali e oggetti in ferro battuto. Ci sono anche due incantatori di serpenti che riscuotono un discreto successo. La gente, come un fiume in piena, si accalca ora davanti a una bancarella, ora davanti ad un’altra, attratta di volta in volta dalle urla più forti dei venditori. A volte la fiumana ondeggia, spinge, pesta i piedi. Qualcuno litiga, qualcuno, invece, osserva con attenzione chi caccia dalla tasca un portafogli gonfio.

Di questa ultima categoria ce ne sono tre, in particolare, che notano tra le migliaia di persone due uomini intenti a valutare alcuni bovini. Furtivamente ascoltano qualcosa e pare che i due stiano cercando quattro o cinque vacche da acquistare. Fanno qualche conto e si convincono che i due debbano avere in tasca non meno di ottocentomila lire e perciò i nostri tre hanno la necessità di agire prima che le potenziali vittime trovino i capi di loro gradimento e spendano i soldi ma, sia perché ancora non hanno capito chi dei due abbia il pacco con i soldi, sia perché la zona destinata a mercato degli animali non si presta a un borseggio fatto come si deve, debbono desistere. La fortuna però va loro incontro perché i due, i fratelli Giovanni e Giuseppe Bruno da Paola, non trovano le bestie che cercavano e decidono di andarsene. I tre mariuoli li seguono da presso finché uno dei due, il più anziano, alla stazione ferroviaria di Rende caccia un rotolo di banconote, ne sfila una da mille lire, e paga due biglietti per Paola. È fatta. I tre aspettano con pazienza che il treno arrivi, poi uno di loro si piazza davanti allo sportello facendo finta di salire ma in realtà ostruisce l’ingresso ai due fratelli Bruno, mentre gli altri due, da dietro, li spingono violentemente contro la littorina. Nel trambusto una mano velocissima entra nella giacca di Giovanni Bruno e altrettanto velocemente ne esce stringendo un pacco di banconote.

Giovanni ha un attimo di esitazione; ha avvertito qualcosa e si tocca istintivamente la tasca dove teneva i soldi. Vuota! Si gira incredulo verso il fratello che, con un cenno del capo, sembra chiedergli che cosa abbia da guardarlo così. In quello stesso istante, il mariuolo che ostruiva l’ingresso del treno ne approfitta; con un salto li scavalca entrambi ed insieme ai suoi compari corre verso l’aperta campagna.

A questo punto i fratelli Bruno realizzano ciò che è accaduto e, urlando al ladro, si gettano all’inseguimento dei tre. Altre persone raccolgono la loro richiesta di aiuto e cominciano a correre all’impazzata dietro ai ladri. Dopo quasi un chilometro le distanze sono quasi immutate, ma le grida di aiuto sono udite da due contadini, i fratelli Raffaele ed Emilio Morrone, che stanno lavorando la terra nei pressi della loro abitazione. Non esitano un solo istante e si precipitano anche loro all’inseguimento. Riescono ad acciuffarne uno, tale Mario  Banditelli, trentaquattrenne di Castellammare di Stabia ma residente a Nicastro, mentre gli altri due, approfittando del fatto che gli inseguitori sono intenti a malmenare il loro compagno, si dileguano nelle campagne circostanti.

– Io vado di qua – dice ansimando il più giovane, quello che ha sfilato il fascio di banconote – ti vengo a cercare tra due o tre giorni quando le acque si saranno calmate.

– E i soldi? – chiede l’altro.

– Stai tranquillo, sai dove abito – lo tranquillizza – non è il momento di fare questioni…

Il giovane è Luigi Palermo, diciannove anni da Cosenza. tutti lo conoscono come Gigginu ‘u Zorru da quando il carnevale di un paio di anni prima si era messo, vestito da Zorro, a scorrazzare per la città in sella ad un cavallo. Abita in via Panebianco, sopra la cantina del padre, proprio davanti alle baracche dove da molti anni sono alloggiati gli zingari e dove, dopo i bombardamenti del 1943, vivono alcune famiglie di sfollati. L’arte del borseggio l’ha appresa proprio dagli zingari con i quali è in ottimi rapporti.

L’altro è tale Raffaele Cortese, quarantunenne di Nicastro, un tipo distinto, ma ladro di professione.

I tre, Banditelli, Cortese e Palermo, da un po’ di tempo si sono associati per commettere furti nelle fiere. Talvolta è ‘u Zorru che va nel lametino, altre volte sono gli altri due che vanno in trasferta nel cosentino.

Quando Gigginu ‘u Zorru finalmente si ferma in una casupola abbandonata nelle campagne di Rose e si toglie di tasca il malloppo, gli ridono gli occhi. Ottocentocinquantaduemila lire! Ottantacinque banconote da diecimila e due da mille. C’è da scialare! In quella casupola ci resta tre giorni, poi torna tranquillamente a casa.

E Mario Banditelli? Una volta acciuffato, viene preso in custodia dalla vittima, che ha intenzione di consegnarlo ai Carabinieri. Accompagnato dai contadini, si dirige verso il casello N° 26 della ferrovia Cosenza Paola dove gli hanno detto che c’è un telefono, ma dopo qualche centinaio di metri i contadini decidono di tornare alle loro occupazioni e lo lasciano da solo.

A questo punto Giovanni decide che è più conveniente cercare di portare il ladro in Questura a Cosenza e, presolo per un braccio, lo porta sulla Nazionale con l’intento di raggiungere la stazione ferroviaria di Castiglione dove i treni per la città sono più frequenti.

– Lasciami, non ho fatto niente! – cerca di difendersi il ladro.

– Questo lo vedremo a suo tempo, cammina!

I due continuano la tiritera per qualche centinaio di metri, quando li sopravanza una carrozza.

Uè compà! – urla Banditelli all’indirizzo del cocchiere che, sentitosi chiamare a quel modo, blocca il cavallo, aspetta che i due lo raggiungano, poi, riconosciuto Banditelli, lo apostrofa:

Compà, che ci fai qui?

Nu bait… alla giusta… – risponde indicando col capo Giovanni Bruno, che non capisce quel gergo e resta tranquillo.

Il cocchiere, Antonio Marino, ventiseienne cosentino, quel gergo lo capisce benissimo per averlo parlato proprio con Banditelli nel carcere di Nicastro dove è stato rinchiuso per un furto di bestiame. Gli fa un segno convenzionale, poi gli urla:

Sali, Sali!

Banditelli non se lo fa ripetere due volte, dà uno spintone a Giovanni Bruno e sale sulla carrozza dove ci sono altri due passeggeri. Ma Giovanni resiste, non vuole assolutamente perdere il ladro. Tenta di salire anche lui per riacciuffarlo, ma due sonori manrovesci mollatigli dal cocchiere e da Banditelli lo fanno traballare e scivolare giù dalla carrozza che riparte al galoppo.

– Non ti preoccupare, tanto ho questa! – gli urla dietro Bruno, sventolando la carta d’identità di Banditelli, ma, ancora mezzo intontito dalle botte ricevute, non gli resta altro che dirigersi verso il casello ferroviario per avvisare i Carabinieri, i quali arrivano sul posto in pochi minuti e, ascoltato il malcapitato, si mettono subito sulle piste dei ladri.

– Fammi scendere qui, fermati! – intima Banditelli al cocchiere.

– Perché qui? Ti porto a Cosenza e ti nascondi – gli consiglia il cocchiere.

– No, devo tornare alla fiera… devo sbrigare delle cose – lo tronca Banditelli. Marino ferma la carrozza all’altezza del ponte di Castiglione e fa scendere l’amico – ti saluto, compà.

– Ti saluto compà e, mi raccomando, ‘a rasa rasa

I Carabinieri di Rende scoprono subito nomi e cognomi dei partecipanti al borseggio e partono immediatamente le ricerche dei tre. In città indaga anche la Questura che in due o tre giorni ricostruisce anche degli strani giri che ci sono stati per spartire il bottino. Vengono a sapere, per esempio, che a Portapiana, in casa di una certa Paolina Polimeni aveva dormito un paio di notti un certo “Raffaele” di Nicastro, amico di Gelmo Sagullo, l’amante di Paolina, e che durante questi due giorni aveva ricevuto frequenti visite da tali Muzio Flaviano, Francesco Muzzillo e Teodoro Pezzolla. I poliziotti mettono sotto torchio la donna e apprendono che il 27 agosto, durante una delle visite di Francesco Muzzillo, “Raffaele” gli diede un biglietto da diecimila lire. Paolina racconta anche che quella stessa sera, l’anziano proprietario di una trattoria a via Panebianco andò a chiamare “Raffaele” e i due uscirono insieme. Al ritorno, il nicastrese le disse che il vecchio gli aveva portato “solo” sessantamila lire, il ricavato di un borseggio al quale aveva partecipato, in quanto nel “pacco” erano stati rinvenuti pochi soldi liquidi e molti assegni non negoziabili che, di conseguenza, erano stati buttati. Poi aggiunge:

– Dopo qualche giorno che “Raffaele” e il mio amante se ne erano andati, si presentò a casa mia una donna che disse di essere la moglie del nicastrese e che lo stava cercando. Mi disse anche che se fosse ritornato, la poteva trovare all’indirizzo scritto sul biglietto che mi lasciò.

In città le voci girano libere e così i poliziotti sanno che ‘u Zorru si è nascosto per timore di essere arrestato, così  tengono discretamente d’occhio la zona di via Panebianco perché prima o poi a casa una visitina la farà. Infatti è proprio così e quando Luigi Palermo si decide a rientrare, lo lasciano libero ancora un po’, giusto il tempo di vedere chi lo va a trovare.

E chi lo va a trovare? Francesco Muzzillo, diciottenne originario di Torano Castello, uno dei più assidui frequentatori di Raffaele il nicastrese. Ci va a bordo della motocicletta di un suo amico che ha un negozio di noleggio di cicli e motocicli in Viale Trieste, proprio accanto alla Tintoria Italia. Giggino, come se niente fosse, passeggia tranquillamente davanti alla cantina del padre, quando la moto gli si affianca. Muzzillo e il suo amico scendono, salutano, poi va direttamente al sodo. Che sia d’accordo col nicastrese il quale non si fida di Gigginu riguardo alla storia degli assegni?

– Buongiorno compà, ho saputo che hai fatto soldi, offrici qualcosa da bere!

– Salutiamo compà, prendete una gazzosa fresca da mio padre, ma soldi non ne ho fatti! – si schermisce.

– Beh… hai fatto un bel colpo, a me non dai niente? – lo incalza Muzzillo.

Compà, per te non c’è niente…

– Come? Hai fatto un colpo di quasi un milione, mi hanno detto, e non mi regali niente?

– Ma che milione! Quattrocentomila le ho date ai soci e gli altri soldi li ho buttati per strada per timore di essere arrestato – continua a mentire ‘u Zorru, perché la sua parte l’ha sotterrata vicino alla casupola dove si era rifugiato.

– E che? Era una valigia da portare sulle spalle che ti pesava?

Gigginu comincia a infastidirsi e Muzzillo preferisce rinunciare, lo conosce bene e sa che può essere molto pericoloso, quindi fa un cenno all’amico che avvia la motocicletta e i due se ne vanno.

Quella stessa sera la Polizia si presenta a casa di Muzzillo e lo porta in Questura dove, senza tentennamenti conferma la dichiarazione di Paolina Polimeni. Ciò basta per procedere al fermo di Luigi Palermo, ma basta anche perché Muzzillo si becchi una denuncia per ricettazione.

Non c’è niente da fare, ‘u Zorru è duro come il granito e, nonostante i testimoni a suo carico aumentino di giorno in giorno, si dichiara completamente estraneo ai fatti. Messo a confronto con Francesco Muzzillo nega addirittura di conoscerlo. È giovane e la sua fedina penale è ancora immacolata, ma ha tutte le carte in regola per fare una brillante carriera nella malavita!

Alla fine di settembre del ’49, se è vero che sono state chiarite le dinamiche del grasso borseggio e le responsabilità dei ladri – anche “Raffaele il nicastrese” è stato identificato per Raffaele Cortese, 41 anni – e dei loro favoreggiatori, mancano ancora almeno un paio di elementi essenziali per chiudere definitivamente la questione: in primo luogo Mario Banditelli e Raffaele Cortese sono ancora latitanti e non si è mai avuta la benché minima notizia su di loro; in secondo luogo non è stato recuperato il bottino o almeno una parte di esso, ma a questo proposito tutti sanno che è meglio metterci una pietra sopra.

La prima notizia che riguarda Mario Banditelli arriva a metà ottobre: è un rapporto della Polizia di Nicastro che comunica come il ricercato sia riuscito a sottrarsi all’arresto abbandonando un impermeabile uno spazzolino da denti e un tubetto di dentifricio, nonostante i poliziotti avessero sparato dei colpi di pistola in aria per intimargli di fermarsi. Ma ormai è un uomo solo e braccato e il 3 novembre viene arrestato nella stazione di Catanzaro Sala mentre è in attesa di prendere il treno per S. Eufemia.

Cortese, invece, resiste ancora ma l’11 gennaio 1950 cede e si costituisce nel carcere di Nicastro, non prima di avere inviato un telegramma lapidario al Giudice Istruttore del Tribunale di Cosenza: “COSTITUITOMI NICASTRO – CORTESE RAFFAELE”.

Il cerchio si è chiuso, si può procedere al giudizio. Il 6 febbraio 1950 comincia il processo che vede imputati Antonio Marino per favoreggiamento personale; Mario Banditelli, Luigi Palermo e Raffaele Cortese per furto con destrezza e Francesco Muzzillo per ricettazione. Tutti condannati.

‘U Zorru ha cominciato la sua ascesa al trono della mala.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.