IL TAGLIATORE DI TESTE

– Ti avviso, se pretendi di vivere col frutto di qualche relazione illecita, ti ammazzo!

– Tu mi ci stai portando… mi hai lasciata e io come campo?

– Attenta a come meni la vita

Carmine Crocco, Suviannu, e sua moglie Francesca Amorosa vivono, secondo quanto dicono in pubblico, consensualmente separati da pochi giorni. In realtà Carmine, prepotente, violento, addirittura definito sanguinario, si è seccato della moglie perché si è permessa di contraddirlo e questo non può sopportarlo. Allora la lascia con l’intesa, ovvero l’imposizione, di dire che si sono lasciati consensualmente. Fin qui ci si deve indignare ma non troppo, perché si sa, da che mondo è mondo, che l’uomo comanda e la donna deve ubbidire, direbbero quasi tutti nel 1932. Ma il problema è che Carmine cinicamente la sospinge al meretricio per continuare ad avere il controllo sulla vita di sua moglie, forse per spremerne ciò che può? Forse. Certamente non si sognerebbe mai di far dire alla gente che sua moglie è una puttana, in fondo c’è di mezzo il suo onore. Onore o qualche altro misterioso calcolo opportunistico? Solo lui lo sa. Intanto i vicini hanno sentito distintamente l’accesa discussione e ognuno ne trae le proprie conclusioni.

La notte del 20 novembre 1932, Carmine, mediante chiave falsa, entra in casa di Francesca e, al lume di una lampadina elettrica che seco porta, vede che sua moglie giace a letto con tale Francesco Bruzzese. Un ghigno satanico gli illumina gli occhi. Sa che dietro una cassa c’è una scure, la prende, si avvicina silenziosamente al letto e comincia a tempestare di colpi la testa del malcapitato Bruzzese, colpendolo alla gola ed agli occhi, tanto da renderlo quasi subito cieco.

Francesca si sveglia di soprassalto, urlando di terrore quando il sangue dell’amante schizza sul suo viso. Lei, che potrebbe provare a scappare, rimane immobile, paralizzata dai tonfi della scure sul corpo di Bruzzese, dal sangue che inonda tutto e dai quei lampi sinistri che manda la torcia tascabile. L’uomo sembra morto e adesso Carmine rivolge la propria furia sulla moglie, la colpisce varie volte alla testa, così violentemente da spezzare in due il manico della scure. Allora l’afferra per i capelli e la trascina in strada, dove tutti possano vedere come ammazza quella puttana, poi estrae dalla tasca un coltello e le taglia la gola.

Potrebbe finirla qui, in fondo ha raggiunto il suo macabro scopo, ma non è ancora contento, il suo lato peggiore, ancora nascosto nonostante tutto, viene fuori, così comincia a torcerle la testa in varie direzioni, a volergliela strappare. Ovviamente nessuno dei vicini si azzarda ad uscire terrorizzati dall’orrendo spettacolo che Carmine Crocco sta loro offrendo. Carmine Crocco il terrore delle campagne tra i comuni di Acri e Luzzi.

Carmine ansima per lo sforzo che sta facendo, si ferma, riprende fiato poi ricomincia a girare da una parte e dall’altra la testa della moglie nel tentativo di strapparle la testa dal resto del corpo. Ma si ferma di botto, ha sentito dei gemiti provenire dalla casa: Bruzzese è ancora vivo! Butta per terra quel cencio che ormai è la disgraziata e rientra in casa, assetato del sangue di quell’uomo che adesso, cieco, implora la sua pietà. Quel demonio non sa nemmeno cosa sia la pietà. Gli lancia uno sguardo pieno di odio, poi gli vibra alcune violente coltellate e quindi, sicuro di averlo ammazzato questa volta, come ha ammazzato sua moglie, lecca il sangue degli amanti che si è mischiato sulla lama del coltello e se ne va indisturbato nel buio della notte.

Francesco Bruzzese, per sua fortuna, si salva ma resterà cieco fino alla fine dei suoi giorni.

– Faceva la puttana e io l’ho ammazzata per salvare il mio onore… peccato che quell’altro si è salvato… – dice quando lo interrogano, dopo averlo arrestato.

E siccome non si trova nemmeno un testimone che dica le cose come stanno, Carmine Crocco gode dei benefici riservati ai responsabili del cosiddetto delitto d’onore, da poco introdotto col nuovo Codice Penale e viene condannato ad anni sei e mesi due di reclusione, ridotti in appello ad anni 4, mesi 5 e giorni 10. Non solo. Crocco beneficia anche di due anni di indulto, così la pena resta fissata a poco meno di 2 anni e mezzo di galera.

Il 2 marzo 1935, Un paio di mesi prima di uscire in libertà dal carcere di Salerno dove è detenuto, Crocco scrive una lettera a sua cugina Maria Cofone, donna di liberi costumi, residente in contrada Croce di Baffi (Acri)

Cara cugina, vi faccio sapere che fra breve ritorno alla bella Cuto, dove è nata la rovina della mia vita. Dopo tanto tempo ritorno, ma io aspetto la mia libertà che sarà vicina per potervi parlare della disonestitudine che avete fatto. La dovete pagare, come pure la disonorata della Micherano, che siete state due traditore, ma quanto prima si finirà questi due mesi che mi sono rimasti e verrò a farvi conoscenza nella vostra azione. Io esco giorno due maggio, che ho goduto i due anni della principessa, per vederci subito che per tre giorni dovete orinare sangue… ricordo quelle scampagnate che abbiamo fatto a vostra casa anche con la mia defunta Amorosa e pure con la vostra ruffiana della micherana, che è stata la rovina della mia casa, come pure ho saputo che anche voi avete accompagnato a fare il ruffianismo con il signor Don Tommaso, che l’avete corrotta alla prostituzione quella grandissima buttana (la Micherana, alias la ventenne Rita Alessio).

Ma cos’è questa novità? Tutti, compresa la povera Francesca Amorosa, sanno, anche se si guardano bene dal dirlo, che è stato lui a spingere sua moglie alla prostituzione e adesso se ne esce con questa lettera di minaccia? Qualcosa non quadra e nuvole nere potrebbero addensarsi sulla contrada Croce di Baffi.

All’arrivo in paese di Carmine Crocco, pare che tutte le brutte intenzioni svaniscano come d’incanto, infatti più volte Carmine si fa vedere in compagnia delle due donne e, addirittura, i suoi rapporti con Maria Cofone diventano intimi, intimissimi, a dispetto dei cinquant’anni di lei e dei venticinque di lui. Carmine dorme a casa di Maria nello stesso letto, nonostante la presenza dell’ultimo figlio della donna, un bambino di nove anni, che viene fatto dormire ai piedi del letto.

Spesso li va a trovare un’amica di Maria, Vincenzina Abbandonato di quarantaquattro anni, prostituta e una specie di nuora di Maria, vivendo in illecita tresca con Luigi, uno dei suoi figli, dalla cui unione sono nati tre bambini (due morti appena nati), che parte per fare il soldato e viene ben presto sostituito nel letto di Vincenzina da suo fratello Natale destando pubblico scandalo, tant’è che Maria, pur essendo donna di facili costumi, decide di non fare più sposare i due, cosa che fa andare in bestia Vincenzina, la quale comincia a odiare Maria.

Ora che la riconciliazione tra Carmine e Maria è cosa fatta, per suggellarla a modo suo, l’uomo si sfila di dosso una maglia che era stata di sua moglie e la regala alla nuova amante. È un gesto simbolico per dimostrarle il suo amore o è un avvertimento? Per Maria, che ne rimane lusingata, è un gesto d’amore ed esclama

Ecco! Quando si vuol fare una cosa, si può farla!

È il gesto che ci voleva per mostrarsi orgogliosa della relazione contratta con Crocco e non fa che ostentarla con superbia e vanto davanti alle amiche.

L’unica che si mostra perplessa per questo regalo è Vincenzina Abbandonato che, sperando di essere presto sposata a Luigi, la considera già come suocera e le dice che ha fatto male a fare avvicinare “quel cane” alla contrada dove abitano perché è un soggetto pericoloso, ma Maria, tutta giuliva, le risponde

Al parlare sembra un’ape di miele!

Chissà se Maria ha nominato l’ape perché sa che ha il pungiglione, di vero c’è che, nonostante le apparenze, non è del tutto tranquilla visto che Vincenzina una volta la sente parlare tra sé e sé mentre tiene in mano la maglia: “Chi sa quanto mi costerà questo regalo…”.

E le sue preoccupazioni sembrano prendere corpo quando Carmine, credendo di avere acquistato sull’animo di lei assoluto predominio, le ingiunge di lasciare la casa di Contrada dei Baffi ed andare ad abitare con lui in contrada Cuta. Maria si mostra riluttante, ma Carmine insiste e lei allora assume una posizione netta e decisa: non si muoverà mai dalla sua casa.

Lo ha contraddetto! Le cose cominciano a cambiare e il miele finisce perchè Carmine ha deciso di disfarsi della sua amante.

Spesso va in Contrada Romitorio a recidere felci per venderle come lettiera per i maiali e Maria lo raggiunge all’ora di pranzo per portargli da mangiare. Spesso ci sono anche Vincenzina Abbandonato e Rita Alessio, che cominciano ad entrare in confidenza con Carmine, il quale, sempre più deciso a sopprimere Maria per il rifiuto oppostogli, crede bene di coinvolgere nel delitto le due amiche, non fosse altro per il timore di essere denunciato proprio da loro, che sono a conoscenza di molte cose compromettenti.

– Vincenzì… quella è una merda! L’ha fatta a me, l’ha fatta a te e l’ha fatta pure a Rita… la dobbiamo ammazzare. Tu devi convincere Rita ad aiutarci…

Vincenzina, che sta già pensando per conto suo di vendicarsi della ex futura suocera per il rifiuto alle sospirate nozze, sorride, non aspettava altro. Ma sorride anche perché Carmine non sa che sta progettando l’omicidio proprio con Rita Alessio. Accetta, però non gli rivela nulla delle sue intenzioni.

– Allora potremmo fare così… – attacca di nuovo Carmine – io devo andare a lavorare una decina di giorni in Sila per la mietitura e tornerò il 16 luglio. Il 17 dobbiamo fare la cosa… la farò venire al Romitorio, dove verrete anche voi due e lì la toglieremo di mezzo…

Le cose filano lisce proprio come le hanno immaginate: Carmine torna la sera del 16, dà la conferma a Vincenzina e la mattina dei 17 luglio 1935 si trovano tutti al Romitorio, da dove solo Maria Cofone non torna a casa.

In Contrada dei Baffi non sanno spiegarsi come mai la donna sia sparita. Sembra proprio che nessuno l’abbia vista. Poi, dopo due giorni dalla scomparsa, Vincenzina vede il figlio piccolo di Maria e gli chiede

– Tua madre è tornata?

– Non lo so, la casa è chiusa e io sto dormendo dal padrone…

– Allora vai a casa e se non la trovi là, vai al Romitorio perché l’hanno vista che andava là…

Il bambino va a casa e, ovviamente, la porta è ancora chiusa a chiave. Seguendo le indicazioni di Vincenzina va al Romitorio e la trova. Urla, vomita, piange, non può credere ai propri occhi. Corre ad una casa vicina a chiedere aiuto.

Anche i Carabinieri hanno difficoltà a stendere un verbale davanti a quello scempio, ma il dovere è dovere. Poi arrivano il Pretore e il Medico Legale: il cadavere giace prono, decapitato, col bacino in posizione prominente sul resto del corpo, colle vesti e sottoveste rivoltate sulle spalle, con le mutandine squarciate ed aperte in modo da presentare allo scoperto la regione anale. A cominciare dalla punta delle scarpe e per circa un metro verso monte si nota una vastissima chiazza di sangue e, quasi a contatto con i piedi del cadavere, una massa di capelli lunghi frammisti a sangue. Alla radice del collo vi è una cordicella di canapa a nodo doppio, ancora appiccicata alla pelle pei grumi di sangue. Staccata la cordicella e rivoltato il cadavere, alla stessa radice del collo si nota una vasta lesione di continuo, la cui superficie ha margini netti al lato destro e al lato sinistro, mentre anteriormente,  posteriormente e nella zona mediana appare frastagliata. Fluisce un liquame nerastro e fetido. A circa un centimetro dalla cartilagine crocoide si nota un occhiello cutaneo, a margini netti, e due lesioni, pure a margini netti, si riscontrano nella regione clavicolare destra. Occhiello e lesioni dovute a colpi d’arma da punta e taglio. La vastissima lesione è stata cagionata in gran parte da strumento tagliente (coltello, roncola od altro) e, in parte, da strappamento. L’apice del polmone destro fa ernia nella ferita del collo e si presenta di colorito ardesiaco, gonfio di gas.

La cordicella di canapa è sicuramente servita per strangolare Maria, lo scempio è stato fatto dopo la morte, compreso il taglio dei capelli, lasciati quasi a coprire i piedi della vittima, ennesimo, inutile vilipendio. La testa nei dintorni non c’è e ci sono poche speranze di rinvenirla. In realtà il 18 ottobre 1935, a due ore di strada disagiata da Acri, viene rinvenuto un teschio completamente vuoto, privo di denti e di mandibole, ma i periti dicono che non può essere quello di Maria, piuttosto si tratta di un teschio lasciato in quel posto da molte decine di anni.

Nessuno parla, ma i Carabinieri, sapendo che Maria frequentava un paio di uomini, in mezza giornata ne ottengono i nomi e denunciano Carmine Crocco e Pietrangelo Ferraro, un tipo poco raccomandabile, come autori dell’omicidio e degli altri odiosi e orrendi reati. Quando, poi, forzano la porta della casa di Maria e la perquisiscono, trovano la lettera che le spedì Carmine dal carcere, così almeno per lui i sospetti diventano prove. Il problema è che Carmine si è dato alla macchia e bisognerà aspettare qualche giorno prima che si decida a costituirsi.

Sono tornato dalla Sila la sera del 16 luglio, mi sono messo a letto e mi sono alzato la mattina del 17 alle ore nove. Poiché mancavo di tabacco mi sono recato nel botteghino di Pietrangelo Morano e ho comprato un pacchetto di trinciato, poi sono tornato a casa e ci sono rimasto fino al giorno dopo, il 18…

– Quindi non sei stato al Romitorio la mattina del 17…

– No

– Ma Maria Cofone la frequentavi? Pare che le regalasti anche una maglia della tua povera moglie…

Le ho fatto visita soltanto un paio di volte… la maglia di mia moglie gliel’ho regalata per disobbligarmi

– Quindi al Romitorio non ci sei stato… e come spieghi il fatto che ci sono dei testimoni che giurano di averti visto mentre te ne andavi? Addirittura una testimone dice che ti ha chiamato dopo averti visto che cercavi di nasconderti per non farti vedere e tu le hai tirato una pietra…

– Non è vero

– Almeno ammetti di avere scritto una lettera con gravi minacce a Maria Cofone?

Le volevo fare uno scherzo per intimidirla dopo aver saputo che aveva incoraggiato mia moglie a tradirmi

– Ci risulta che tu e la vittima avevate intrecciato una tresca e poi tu l’hai lasciata, perché?

Mi sono allontanato da Maria dopo aver saputo che aveva intessuto illecita tresca con un figlio di Vincenzina Abbandonato

Adesso che Carmine Crocco è al sicuro dietro le sbarre, ci si aspetterebbe che chi sa qualcosa cominci a parlare, ma è una speranza vana perché i contadini residenti nelle contrade Croce dei Baffi, Cuta e limitrofe vivono sotto l’incubo del terrore che loro ispira una eventuale liberazione del Crocco il quale, conosciuto da tutti come soggetto pericoloso e sanguinario, non avrebbe mancato di esercitare atroci vendette contro chiunque osi profferirne il nome. Ma la verità ha, anche in questo caso, tanta forza congenita da rivelarsi malgrado lo stato d’intimidazione i  cui quella gente vive e, nel novembre 1935, comincia a girare la voce che oltre a Crocco hanno preso parte all’omicidio Vincenzina Abbandonato e Rita Alessio e sebbene contro di loro non ci siano altro che voci, il 27 novembre le due donne vengono arrestate.

I Carabinieri capiscono che Rita Alessio potrebbe parlare, ma è terrorizzata dall’idea che Carmine Crocco la possa ammazzare e il Maresciallo Andreoli cerca di rassicurarla

– Stai tranquilla, non uscirà più dal carcere

Rita non ne è così sicura e resiste, ma trema come una foglia, ha freddo. Il Maresciallo, contro il regolamento, le fa dare due coperte in più, vuole farle capire che la protegge sul serio da Crocco. Poi la mette a confronto con alcuni testimoni che, superate anch’essi la paura, hanno ammesso qualcosa e così, avuto uno sfogo di pianto, Rita confessa l’orrore che ha visto e a cui ha partecipato

Circa due giorni prima che avvenisse l’omicidio di Maria, io venni invitata da Vincenzina Abbandonato a recarmi in casa sua. Ivi giunta, essa cominciò a dirmi che la Cofone mi aveva fatto del male attirandomi alla prostituzione e mi proponeva senz’altro di aiutare lei e Carmine Crocco ad uccidere Maria il mattino del 17 luglio. Io dapprima dissi di no, ma poi finii coll’acconsentire. Vincenzina mi disse di trovarmi, verso le 7,00 del giorno prescelto al Romitorio, e precisamente al punto ove venne trovato il cadavere, e soggiunse che colà avrei trovato Crocco. Le chiesi come sarebbe venuta Maria ed ella mi disse che Carmine le avrebbe dato appuntamento. Mi recai all’appuntamento e trovai Crocco, Vincenzina con il suo figlio piccolo e Maria seduti a terra che parlavano di cose comuni. Al mio giungere, Maria mi chiese che cosa ero andata a fare ed io risposi che vi ero andata per caso. A questo punto chiamai Carmine il quale mi disse di avvicinarmi e, non appena ciò feci, lui afferrò per la vita Maria. Io e Vincenzina, la quale aveva deposto il bambino poco lontano, ci avvicinammo e tenemmo Maria, io per il braccio sinistro e Vincenzina per quello destro, in modo che Carmine poté liberamente passare una funicella attorno al collo di Maria e così, stringendola, l’affogò. Quando Maria morì mi cadde addosso e mi trovai sotto al cadavere. Perdeva sangue dal naso e io mi tirai da parte e svenni, però mi rimisi subito. Vincenzina, in quel momento, prese il figlio e lo faceva stare zitto, siccome voleva piangere. Nello stesso tempo Carmine, con un coltello, si mise a tagliare la testa e per riuscire all’intento girò la testa del cadavere per due volte, cercando nello stesso tempo di strapparla. Riuscito che fu a strappare la testa, tagliò a straffio i capelli da quel capo e li mise sopra il cadavere, e precisamente sui piedi. In quello stesso momento Vincenzina, siccome il figlio cercava di piangere, si allontanò di poco dal luogo. Carmine continuò nel suo lavoro: alzò le sottane in modo che l’ano della disgraziata rimanesse allo scoperto, indi fasciò la testa in carte di giornale e se la pose sotto la giacca dicendo: “Sta capo me ne servo come una palla!”. Mi fece leccare il coltello intriso di sangue che era servito per mozzare la testa di Maria e poi lo leccò pure lui. Mi rassicurava di non aver paura, che avrebbe pensato lui per la galera e che poi, se mi ci fossi trovata, non era poi tanto brutta. Quindi si allontanò in direzione della Contrada Mangialardo ed io per le Manche, diretta a casa mia, accompagnandomi fino alla fontana, sita poco lungi, con Vincenzina ed il bambino. Mi fermai a lavarmi le mani in un acquaro nei dintorni, siccome le avevo sporche di sangue, sangue che avevo pure nella camicetta e nel petto, nella parte scollata a piccole macchie. Il sangue mi era caduto addosso quando rimasi sotto il cadavere. Evitai la mulattiera e tornai a casa. Dopo un’ora che ero a casa andai ad aiutare un vicino trasportare fasci di grano. Mentre aiutavo il vicino mi venne, pensando all’atto commesso, un capogiro, tanto che smisi il lavoro e tornai a casa

– Ti vide qualcuno mentre tornavi a casa?

Mi vide Francesco Straface il quale stava lavorando a circa duecento metri dal sentiero in cui io passavo

– Che strumento usò Crocco per tagliare i capelli alla vittima?

Si servì di una forbice che portava secolui e poi strappò pure le mutandine

– Che ne hai fatto della camicetta sporca di sangue?

L’avrò lavata almeno venti volte

– Dopo il fatto, hai visto Crocco, ti ha parlato?

Non ho più visto Carmine, ma ho visto più volte Vincenzina, la quale mi diceva: “Nega fino a che muori!”. A proposito, un giorno che non ricordo, Vincenzina voleva che mi recassi in casa di un certo Ritacco, ma io non ne volli sapere perché ero sicura che Ritacco a me non mi aveva visto e che quindi non poteva nuocermi. Prevedo, così, che egli sappia molto, data la preoccupazione di Vincenzina

– Sei a conoscenza dei rapporti tra la Abbandonato e Maria Cofone?

In questi ultimi tempi, da circa dieci mesi, non andava troppo d’accordo con la ‘Mbricchina

–  Con chi?

– Con Maria Cofone, ‘Mbricchina è il soprannome. Stavo dicendo che non andava d’accordo perché Maria più volte espresse il parere che, allo scopo di togliere suo figlio Luigi dall’unione illecita con Vincenzina, non appena questi tornava a casa da fare il soldato, avrebbe fatto in modo da farlo sposare. Di ciò Vincenzina era molto preoccupata

– Ma perché non hai parlato subito? Ti fa così paura Crocco?

Non ho parlato prima sia per la grave minaccia di Crocco, sia per le continue pressioni di Vincenzina e sia perché mi si disse che se avessi confessato la legge mi avrebbe fucilata!

Quando si sparge la voce che Rita Alessio ha confessato accusando Crocco e Vincenzina, qualcuno comincia a trovare il coraggio di parlare, così l’alibi di Crocco crolla miseramente: non è vero che è andato a comprare il tabacco alle nove del mattino, ma nel pomeriggio, verso le 16,00.

Chissà se Vincenzina ammetterà qualcosa oppure negherà fino alla morte, come ha suggerito di fare a Rita

Maria si lamentò con me per le minacce che le aveva fatto Carmine Crocco, che la riteneva come causa della sua rovina. Per questo l’ha ammazzata. Una volta l’ho sentito che diceva a Maria: “Se non fai come ti dico, farai la fine della padrona della maglia!

– Quindi tu non c’entri…

– No…

– Dopo il delitto hai visto e parlato con Crocco?

Qualche giorno dopo il fatto, Crocco una notte venne a trovarmi a casa e mi minacciò dicendomi che per causa mia egli sarebbe stato arrestato, che avrebbe fatto di tutto per coinvolgermi nel procedimento e che, se fosse uscito di galera anche dopo vent’anni, mi avrebbe tagliato la testa come l’aveva tagliata a Maria

– Perché per causa tua?

– Perché andavo in giro a fare domande

– Come spieghi che Rita Alessio dice che voi tre eravate d’accordo per sopprimere Maria Cofone e tutti e tre insieme l’avete barbaramente uccisa?

Costei ha parlato per imposizione di Crocco

Il fatto che Vincenzina sia andata in giro a fare domande su chi sapesse qualcosa ed, eventualmente, a consigliarlo a farsi i fatti propri, è confermato da molti testimoni e, al di la della chiamata in correità di Rita Alessio, le cose per lei si fanno davvero pesanti. Ma si fanno ancora più pesanti anche per Rita Alessio sia perché un testimone, Domenico Ritacco, l’uomo che invece la vide tornare dal Romitorio, riferisce di essere stato avvicinato e consigliato a tacere questo particolare con le parole: “Ammuccia (nascondi), ammuccia più che puoi se no sono rovinata!” e sia perché spunta una testimone che dichiara di avere visto le due donne confabulare tra di loro circa un anno prima del brutale omicidio e, alla domanda su che cosa avessero da dirsi sottovoce, Vincenzina Abbandonato avrebbe sibillinamente risposto: “Stiamo preparando una cosa che se ne parlerà…” e questo sarebbe la prova che le due stavano già preparando per conto loro l’omicidio di Maria Cofone.

Ma Rita Alessio ormai ha deciso di parlare e conferma la sua versione dei fatti al Giudice Istruttore

La confermo in ogni sua parte perché questa è la verità. Io so la mia sorte ma, a costo di essere condannata a morte, non posso dire una cosa per un’altra. Mi si condanni a morte, all’ergastolo, la verità è quella che ho detto e sempre la confermo, in faccia a chiunque! – poi aggiunge – Sono sempre stata amica di Maria, anche se mi ha indotto a prostituirmi quando avevo quattordici anni e ho cooperato nel fatto per paura di Crocco il quale, inoltre mi rassicurava confidandomi che aveva commesso altri due omicidi e di essersela cavata con pochi anni di galera… mi disse anche che, in caso di necessità, si sarebbe accollato l’intera responsabilità del fatto…

E mantiene la parola perché, con grande coraggio, conferma tutto nei confronti a cui viene sottoposta prima con Carmine Crocco e poi con Vincenzina Abbandonato.

L’istruttoria durerà fino ai primi di luglio 1936 e saranno aggiunti altri tasselli alle prove già acquisite, così da far richiedere alla Procura il rinvio a giudizio di tutti e tre gli imputati con accuse che potrebbero costare a tutti la pena capitale: omicidio aggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà, profittando di circostanze di tempo, di luogo e di persone, tali da ostacolare la privata difesa; vilipendio di cadavere e soppressione di parte di esso.

In tutto questo tempo nessuno ha considerato che c’è un altro imputato, Pietrangelo Ferraro, evidentemente innocente, che è rimasto in carcere. Il 20 luglio 1936 Il Giudice Istruttore gli rende parzialmente giustizia prosciogliendolo per insufficienza di prove, mentre rinvia gli altri tre al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

Il 28 gennaio 1937 si apre il dibattimento e ne succedono di tutti i colori. Intanto Rita Alessio ritratta tutto sostenendo di essere stata costretta a fare quelle dichiarazioni con minacce e violenze da parte dei Carabinieri. Ma la Corte ritiene valida la confessione, sia perché viene accertato che, al contrario, le furono usate delle cortesie come la concessione di coperte supplementari, cosa vietata dai regolamenti – e Rita deve confermare questa circostanza – e sia perché la confessione, se mai fosse stata davvero estorta, è stata liberamente confermata davanti al Giudice Istruttore in Tribunale, dove i Carabinieri non erano presenti e quindi non avrebbero potuto, eventualmente, “consigliarle” di tacere le minacce e le violenze.

Viene fuori che un paio di settimane prima del fatto, Rosaria Algieri vide Crocco e Maria Cofone al Romitorio. All’improvviso Crocco, levatosi la giacca ne aveva avvolto la testa di Maria ed aveva buttato costei per terra. Rosaria Algieri, allora, uscì dal nascondiglio in cui trovavasi e Crocco, avendola veduta, aveva desistito da altri atti offensivi ed ingiunse alla testimone di non dir nulla, ché altrimenti l’avrebbe ammazzata. In quella occasione Maria Cofone disse alla testimone che temeva di essere uccisa da Crocco.

Viene fuori anche che Domenico Ritacco, quando Rita Alessio cercava di convincerlo a non dire di averla vista allontanarsi dal Romitorio, subordinò la reticenza che da lui si invocava alla condizione che Rita consentisse a giacere con lui. Ottenuto l’assenso, avrebbe però respinto i favori di lei dicendo: “Va a farti fottere perché con te non voglio venire!”

Poi viene chiamata a testimoniare Rosaria Primavera, che racconta un’altra circostanza mai emersa prima: qualche giorno dopo il brutale omicidio, sentì dire a Domenico Ritacco, mentre questi parlava con una persona che la donna non riesce ad identificare: “Ammetto che la Cofone fosse una prostituta, ma non meritava la fine che ha fatto ed io posso parlare con cognizione di causa perché, nascosto dietro un cespuglio, ho veduto Crocco, Rita Alessio e… (la testimone non capì bene il nome di donna pronunciato da Ritacco) aggredire Maria Cofone. La cordicella fu adoperata dal solo Crocco, Maria fu abbattuta e Crocco la decapitò”. Una fantasia? Potrebbe essere, ma il fatto è che Rosaria Primavera conferma tutto anche quando viene messa a confronto con Ritacco, mentre questi ammette soltanto di aver visto sul posto, oltre a Rita Alessio, anche Carmine Crocco, ma nega disperatamente il resto, ancora in preda al terrore di poter subire la vendetta di Crocco. La Corte si convince che Ritacco è un testimone reticente e lo fa arrestare in aula.

Viene fuori un’altra lunga serie di tentativi fatti con blandizie o minacce da parte delle due imputate per nascondere la verità, poi è il momento di esaminare le singole posizioni degli imputati ed emettere la sentenza.

La Corte osserva che le aggravanti della premeditazione e della crudeltà sono inviscerate nel fatto perché parte del piano delittuoso, sicché, essendo state valutate una volta, non possono essere prese nuovamente in esame ed invocate a costituire l’ultima aggravante, quella di tempo e luogo atti a minorare la privata difesa, aggravante che, pertanto, deve essere eliminata dall’imputazione.

A Crocco non può essere concessa alcuna attenuante perché agì per spirito di prepotenza e sopraffazione a fine di trarre vendetta contro una povera donna di età inoltrata, se non vecchia, di null’altro colpevole se non di avere osato disobbedire al precetto di Crocco di andare ad abitare con lui in Contrada Cuta. Oltre che dell’omicidio aggravato, Crocco deve rispondere anche degli altri due delitti ascrittigli e cioè del vilipendio di cadavere e della soppressione di parte di esso, imputazioni da cui Vincenzina Abbandonato e Rita Alessio devono essere prosciolte perché non facevano parte del piano delittuoso e, comunque, non vi hanno preso parte.

Se le responsabilità di Rita Alessio e Vincenzina Abbandonato, in ordine al concorso in omicidio aggravato, sono dimostrate in modo non dubbio, risulta egualmente dagli atti che l’opera da esse prestata tanto nella preparazione, che nell’esecuzione del delitto, fu di minima importanza. Infatti, se Crocco non avesse voluto dare al misfatto il carattere di un’aggressione collettiva, coinvolgendovi le due donne per evitare di essere da esse denunziato e per rendere il fatto più complesso e più difficile a scoprire ed accertare, avrebbe potuto operare da solo senza andare incontro a serie difficoltà.

Per determinare l’entità delle pene da infliggere agli imputati, la Corte deve avere riguardo sia ai loro precedenti penali e morali, che al loro grado di pericolosità sociale: Crocco versa in istato di recidiva specifica nel quinquennio (si, non sono ancora passati cinque anni da quando massacrò la moglie e tentò di ucciderne l’amante) e le due donne avevano serbato condotta morale riprovevole.

A Crocco, per l’omicidio doppiamente aggravato, deve infliggersi la pena dell’ergastolo, mentre sembra adeguata per i due delitti di vilipendio di Cadavere e soppressione di parte di esso, l’aumento dell’isolamento diurno sino ad anni due. Alle due donne, per effetto dell’attenuante concessa, deve applicarsi la reclusione da 20 a 24 anni. Tenuto conto delle circostanze inerenti all’azione di ciascuna di esse, a Vincenzina Abbandonato sembra giusto infliggere anni ventiquattro di reclusione ed a Rita Alessio, in considerazione della sua età, anni venti di reclusione.

La sentenza, per quanto riguarda Carmine Crocco, va pubblicata nei modi di legge.

È il 6 febbraio 1937.

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 10 gennaio 1938, rigetta i ricorsi degli imputati.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.