Una mattina della fine del mese di settembre 1943 Concetta Grande, avvenente contadina ventiseienne, e sua sorella Giovanna, ventottenne vedova di guerra, si incamminano a piedi da Stalettì, il loro paese, per andare a Botricello. Dopo un po’ di strada un suono di campanacci le avvisa che sta per raggiungerle un carro trainato da buoi. È il carro del loro compaesano Gregorio Aiello il quale, raggiuntele, si offre di farle salire sul carro perché anche lui sta andando a Botricello a caricare grano. Con lui c’è il bovaro Gregorio Aversa che rimane a cassetta. Aiello si sistema nel cassone, dove fa salire Concetta, mentre Giovanna si accomoda accanto al bovaro.
Durante il viaggio di andata e di ritorno e durante la breve permanenza a Botricello, Concetta e Gregorio Aiello si scambiano carezze e presto divengono fervidi amanti.
Tutto normale se non fosse per qualche piccolo particolare. Primo: Concetta è sposata e suo marito è prigioniero in Sud Africa. Secondo: durante l’assenza del marito, Concetta è diventata l’amante del Sergente Giuseppe De Luca, appartenente ad un distaccamento del 144° Reggimento Costiero di stanza a Staletti. Terzo: Anche Gregorio Aiello è sposato.
A Concetta, che è una donna disinibita, questi particolari sembrano non interessare, a lei Gregorio piace e basta. La stessa cosa vale per Gregorio e così i due amanti non si fanno problemi ad incontrarsi in paese in casa di Concetta, dove lui va di notte attraverso i tetti. E non si fanno problemi nemmeno quando vengono colti sul fatto per ben tre volte dalla moglie di Gregorio che, dietro la promessa di interrompere la relazione, perdona il marito. Però adesso una certa dose di prudenza ci vuole, hai visto mai che la moglie si innervosisca sul serio e li denunci? Così è Concetta ad andare a trovare l’amante in campagna.
E il Sergente? Lui ormai è fuori gioco. Dopo qualche giorno che Concetta si è divisa tra i due amanti, il reparto dove presta servizio De Luca si trasferisce prima a Sersale e poi a Catanzaro e la pacchia finisce.
Ovviamente, in un paesino dove tutti sanno tutto di tutti, anche la relazione tra i nostri si viene a sapere e, quel che sembra peggio, viene a conoscenza anche dei familiari di Concetta, i quali sembrano prendersela, specialmente la sorella maggiore Isabella il cui marito, il quarantaquattrenne Gregorio Serrao, è pure in intime relazioni con la giovane e seducente cognata Concetta! Pratica, questa, anche notoria nel paesello, se è vero che, tra novembre e dicembre 1943, Serrao fu visto uscire dalla casa di Concetta alle ore 4,30 e se è vero, soprattutto, che i due cognati furono sorpresi in campagna, dietro una siepe, in dolce concubito.
Fosse solo questo il problema! Concetta scopre di essere incinta e se in un primo tempo attribuisce la gravidanza al Sergente De Luca, successivamente l’attribuisce a Gregorio Aiello il quale decisamente la disconosce, forse non a torto.
Tra i due cominciano a sorgere i primi screzi che si trasformano in furibonde scenate quando Concetta, appreso dalle voci correnti nel pubblico essere prossimo il ritorno dei prigionieri catturati dagli anglo-americani, nel mese di gennaio 1944 chiede all’amante di aiutarla a procurarsi l’aborto e questi rifiuta.
A questo punto Gregorio Aiello prima dirada le sue visite notturne a Concetta e poi interrompe la relazione, suscitandone il forte risentimento.
Assillata dal probabile imminente arrivo del marito e dal crescere del frutto dei suoi illeciti amori, che il negato ausilio dell’amante le ha impedito di sopprimere, chiede aiuto a sua sorella Isabella.
– Come dobbiamo fare? Quando quello torna mi ammazza!
– Calmati, a tutto c’è rimedio. Secondo me dovremmo…
Così, di parola in parola, le due sorelle arrivano alla conclusione che la via più sicura per non subire alcuna conseguenza è quella di fare in modo da far credere che Gregorio Aiello ha violentato Concetta. No, non funziona. Ci vuole qualcosa di più. Gregorio Aiello ha violentato Concetta mettendola incinta e lei, per salvare il proprio onore, lo uccide. Così, in teoria, può funzionare. Ma per mettere in pratica il progetto ci vuole una perfetta organizzazione altrimenti andrà tutto a farsi benedire. Altri lunghi conciliaboli e, infine, le sorelle stabiliscono nei minimi particolari un piano di diabolica perfidia: attirare con un pretesto (e sarebbe stato facile) l’amante nella casa, già sede degli amorosi convegni, e quivi sopprimerlo, inscenando che egli, dopo averla posseduta una volta di notte con la violenza e con l’inganno e resa incinta, veniva una seconda volta nella casa onesta di Concetta per sfogare la sua insana libidine ed ella, vittima immacolata e vindice, difende il nuovo attentato al suo onore e lava col sangue del protervo offensore l’onta subita. Perfetto. Perfetto anche per Isabella perché la tragedia avrebbe screditato, di fronte al rimpatriando prigioniero, la notorietà della tresca con suo marito e, perché no, anche quella col Sergente forestiero.
Così, verso la fine di gennaio, Aiello viene attirato nella trappola col pretesto, soffuso da amorevoli assicurazioni e lusinghe, di ricevere in restituzione 500 lire ricevute in prestito da Concetta.
Gregorio va all’appuntamento e tira un pezzo di calcinaccio al vetro della finestra: è il segnale convenuto per farsi aprire la porta. Poi si ferma all’improvviso. Sente provenire dalla casa le voci di Giovanna, Isabella e Gregorio Serrao! Perché sono lì? Insospettito, cautamente si ritira. Missione fallita.
Ma le sorelle Grande non si arrendono e la mattina del 6 febbraio Concetta va a trovare l’ex amante nella stalla e, con lagrime di disperazione e di spavento, lo supplica:
– Non mi hai voluto aiutare a procurarmi l’aborto, almeno fai in modo che tua moglie convinca con la sua autorità mio marito della inesistenza della nostra tresca, creata solo da gente malevola, così potrò giustificarmi meglio con qualche fandonia e riabilitarmi ai suoi occhi… ti prego, vieni stasera a casa a darmi la risposta, non te ne pentirai, so come ricompensarti…
Il credulo amante, ottenuto a mezzogiorno l’assenso della moglie, tanto indulgente, pensosa com’è solo della pace e dell’amore del marito, padre di tre tenere creature e di un’altra in gestazione, la sera si presenta a casa di Concetta, tira un pezzo di calcinaccio alla finestra, la porta si apre ed entra. Un passo, un solo passo all’interno della stanza, giusto il tempo perché Isabella salti fuori da dietro la credenza con in mano un micidiale scannaturu da macellaio e cominci a colpirlo violentemente al petto, al collo e all’addome, mentre Concetta, pronunciando la frase che dovrebbe ridarle la verginità di fronte alla quasi cieca nonna del marito, lo colpisce con una scure all’occipite
– Disgraziato! Che vuoi dalla mia casa? Non ti basta che mi hai rovinata? Hai anche il coraggio di tornare?
Sorpreso e sanguinante, Gregorio Aiello cerca di ripararsi dai colpi e di trovare scampo, ma le due sorelle, con bestiale ferocia, continuano a colpirlo, ora da un lato, ora dall’altro.
– Pietà… pietà, per l’anima dei morti e delle mie creature innocenti – ma le due furie scatenate non hanno pietà e quando ormai rantola, lo spingono fuori di casa a morire sulla strada – Disgraziata… m’ammazzasti… – riesce a dire Gregorio, poi il silenzio della morte.
Accorrono tutti i vicini. A molti è sembrato di aver sentito “m’ammazzaste” e quindi sono state tutte e due le sorelle. La folla rumoreggia e partono gli insulti, mentre Concetta e Isabella si barricano in casa
– L’hanno ammazzato! Puttane! Cornute!
Uno scempio: 9 colpi di coltello, 6 di scure col taglio, 2 di scure col dorso alla fronte ed al naso (forse queste ultime di spietato, estremo vilipendio).
Isabella scappa da una finestra e si chiude in casa.
I Carabinieri trovano Concetta ferita alle mani e cinicamente pronta a recitare la preordinata commedia:
– Sono stata io da sola ad ammazzarlo, la notte del 3 ottobre entrò in casa mia con l’inganno attraverso un buco nel muro, mi possedette con la violenza e mi rese incinta… poi ho fatto mettere delle sbarre da mio cognato, ma poco fa è entrato di nuovo attraverso una finestra, io e la nonna eravamo al braciere. Aveva una rivoltella in pugno e ha sparato un colpo per intimidirmi e ha tentato di violentarmi di nuovo… – dice Concetta.
– In casa c’era solo Concetta, Madonna mia che paura quando ha sparato! – conferma la vecchia cieca, opportunamente istruita.
– Che cosa? Concetta ha ammazzato Gregorio Aiello? Non ne sapevo niente, non sono uscita di casa stasera… – dice Isabella quando i Carabinieri la vanno a interrogare a casa.
Ma è una evidente menzogna, anche Isabella è ferita alle mani e ha la camicetta con vistosissime macchie di sangue.
Il castello di bugie cade subito: nessuno ha sentito colpi di arma da fuoco, il buco nel muro anche senza sbarre è troppo piccolo per permettere il passaggio al corpo di un giovane per quanto esile, la finestra è altissima dal suolo e le piante di garofano e di menta neppure sfiorate. E, se non bastassero queste evidenti contraddizioni, gli inquirenti aggiungono anche che la duplicità delle armi adoperate per il massacro è incongruente con un solo assassino e poi lo scannaturu si rivela di proprietà di Isabella. A completare tutto ci sono una quindicina di testimoni a carico e una frase ascoltata dal Maresciallo Scopelliti quando le due sorelle erano rinchiuse insieme in camera di sicurezza:
– Non traballare sorella! – dice Isabella a Concetta.
Entrambe vengono rinviate al giudizio della Corte di Assise di Catanzaro con l’accusa di concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione.
Concesse le attenuanti generiche e ad Isabella anche quella della provocazione, la Corte condanna Concetta a 20 anni di reclusione e Isabella a 13 anni e 4 mesi della stessa pena, più le pene accessorie.
Tutte e due ricorrono per Cassazione. Concetta lamentando mancanza o contraddittorietà di motivazione circa la premeditazione e la mancata concessione dell’attenuante della provocazione; Isabella la mancanza o contraddittorietà di motivazione circa la sua partecipazione al fatto, circa la premeditazione e circa la mancata concessione dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale. La Suprema Corte, il 26 aprile 1946, rigetta il ricorso di Concetta e accoglie parzialmente quello della sorella circa la contraddittorietà della sentenza riguardo l’aggravante della premeditazione e della mancata concessione dell’attenuante richiesta. Il nuovo processo per Isabella si terrà presso la Corte di Assise di Cosenza.
Secondo la Corte cosentina bisogna, anche se la sentenza è già passata in giudicato, riesaminare anche la posizione di Concetta in quanto interferisce ed influisce manifestamente su quella di Isabella.
La premeditazione del delitto da parte di Isabella Grande, a giudizio della Corte, emerge manifesta. Isabella, come tutti e più di tutti del paesello, sapeva – ed improvvidamente ella stessa lo confessa come orpello nel suo interrogatorio – che Concetta “coltivava intime relazioni con Gregorio Aiello”. La sorella Giovanna, che aveva assistito alle carezze ed ai baci tra i due amanti nella gita a Botricello, non poteva averle celato la cosa. Perciò Concetta non poteva e non doveva rifarsi, dinanzi a lei, quella verginità che aveva anche già perduta col Sergente De Luca prima e poi col cognato Serrao, marito della stessa Isabella, che queste due tresche, pure esse notorie, conosceva. La perfida messa in scena fu ordita, invece, nella lusinga di abbacinare, con la tragedia, il rimpatriando ignaro prigioniero. E la trama fu ordita con la partecipazione di Isabella, che aveva interesse di screditare, col prigioniero, anche l’incestuosa tresca del marito.
Del resto, una volta irrevocabilmente giudicato che Concetta premeditò il delitto e che Isabella partecipò alla consumazione dello stesso, la premeditazione, che è circostanza soggettiva non inerente alla persona in quanto attiene alla intensità del dolo, non può che stare a carico anche di Isabella, dal momento che manifestamente emerge dalla narrativa come soltanto l’agguato, la macchinazione infernale, ha reso possibile l’esecuzione del barbaro omicidio.
Questa Corte non può concedere a Isabella Grande l’attenuante dei motivi di particolare valore morale. È già troppo che ella si avvantaggi della provocazione, quando in verità ella, a parte il resto, non agì sotto alcuna emozione stenica, ma lucida, fredda, crudele! Le considerazioni esposte convincono la Corte a dichiarare Isabella Grande colpevole del delitto ascrittole, con le già concesse attenuanti generiche e dello stato d’ira e, per ragioni di opportunità, a contenere la pena nei limiti stabiliti dalla Corte di Assise di Catanzaro. Cioè 13 anni di reclusione, più pene accessorie.
Tutto finito.
No!
Isabella Grande ricorre per Cassazione e questa volta la Suprema Corte, il 18 dicembre 1947, le dà ragione in toto annullando la sentenza della Corte d’Assise di Cosenza e ordinando il rifacimento del processo presso la Corte d’Assise di Napoli.[1]
Per noi, invece, la storia finisce qui perché gli atti sono irrintracciabili.
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.
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