Mentre la mattina del 17 febbraio 1946 sta lavorando in contrada Qualvarini di Bianchi, Giuseppe Mastroianni si accorge che in una baracca vicina mancano alcune assi di legno alle pareti. Si avvicina, sbircia all’interno e fa un salto all’indietro, bestemmiando terrorizzato. Lì dentro c’è il cadavere di un uomo orrendamente sfigurato.
Quando arrivano i Carabinieri, accertano che il cadavere è quello di Angelantonio Caligiuri e il medico legale, in attesa dell’autopsia, fornisce una descrizione sommaria delle ferite inferte alla vittima: la testa rimane tagliata a tutto spessore, secondo una linea che va dall’angolo sinistro della bocca e, passando per il lobulo dell’orecchio sinistro, rasenta la protuberanza occipitale esterna per terminare all’angolo destro della bocca. Ma c’è un’altra ferita da taglio altrettanto brutta sulla regione destra del collo, lunga circa 12 centimetri, che va dall’apofisi prominente all’inserzione clavicolare del muscolo cleido-mastoideo, fino alla settima vertebra cervicale, che si presenta staccata dalla spina dorsale con resezione del midollo spinale. Orrendo. Il dottor Guido Pellico, inoltre, riscontra alcune strane ecchimosi sul petto e sulla pancia della vittima, la qual cosa lo porta ad ipotizzare che Angelantonio Caligiuri sia stato trattenuto a terra mentre veniva brutalmente colpito con una scure.
Ma chi può averlo ucciso in un modo così brutale e orrendo? I Carabinieri sospettano della moglie, Filomena Caligiuri, descritta come una donna rozza e di scarsa moralità. La convocano in Caserma e la interrogano:
– Mio marito si era allontanato da casa ormai da molto tempo e non l’ho più visto…
– E perché se ne era andato?
– Devo dirvi che, mentre era stato prima carcerato e poi militare, ho avuto rapporti carnali con un altro uomo col quale ho anche procreato due figli… per questo mio marito, ritornato dalla prigionia, rimase pochi giorni con me e poi se ne andò a Soveria Mannelli dove aveva un’altra donna. Io andai da lui e ottenni che tornasse con me, ma restò solo una settimana e poi si allontanò…
Sarà vero? Secondo Maria Michela Caligiuri, la sorella di Filomena, si. Le cose andarono proprio come le ha raccontate sua sorella e, d’altra parte, tutti in paese sanno dell’adulterio di Filomena e del fatto che il marito se ne andò da casa. Ma nella deposizione di Maria Michela sembra esserci qualcosa di strano che col racconto dei fatti non c’entra niente. Infatti, ad un certo punto, afferma che da molto tempo né lei, né sua sorella Filomena vedono un loro cognato, Luigi Pomponio. Al Maresciallo si accende la lucina del sospetto e manda a chiamare l’uomo.
– Com’è questa storia che non vedete le vostre cognate da molto tempo? – gli chiede a bruciapelo il Maresciallo. Luigi Pomponio comincia a balbettare, si fa rosso e suda. Poi sbotta:
– Non è vero! La mattina del 17 marzo siamo stati insieme nei pressi di Bianchi!
Il Maresciallo, visto che l’uomo non dice nient’altro, lo fa accomodare in camera di sicurezza e Pomponio scende a più miti consigli:
– Sono andato a trovare Angelantonio Caligiuri nei primi giorni di febbraio e il 16 abbiamo mangiato tutti insieme le frittole di maiale…
– Tutti insieme significa Caligiuri, la moglie, la sorella e voi?
– C’erano anche i suoceri di Caligiuri e il marito di Maria Michela…
– Continuate.
– Mentre mangiavamo, Filomena mi ha esternato per l’ennesima volta l’intenzione di uccidere il marito perché costui la maltrattava e mi ha ripetuto l’invito ad aiutarla ad ucciderlo…
– E voi?
– Ho promesso di aiutarla. Combinazione, finito di mangiare le frittole, Caligiuri ha proposto a me, alla moglie ed alla cognata di andare a rubare delle tavole in una baracca e così siamo andati. Giunti sul posto, mentre Caligiuri era intento a schiodare le tavole, Filomena mi ha chiesto di nuovo se ero disposto ad aiutarla ad ucciderlo ed io ho accettato.
– E Maria Michela? Era presente? Ha detto qualcosa?
– Nulla ha obiettato…
– E poi?
– Filomena, profittando che il marito le voltava le spalle, ha preso una scure che lui aveva lasciato per terra e gliene ha assestato un colpo al collo ed altri colpi ha reiterato, fino a recidergli la testa dal corpo… poi ce ne siamo andati e Filomena ha lavato la scure insanguinata, mostrandosi soddisfatta del delitto…
Quando il Maresciallo legge a Filomena la confessione di Luigi Pomponio, la donna non ha nessuna difficoltà a confermarla, aggiungendo quello che sarebbe stato il movente dell’orrendo delitto:
– Mi ero decisa ad ucciderlo perché aveva commesso atti di libidine sulla mia bambina di cinque anni e sul mio figlioletto di tre anni, entrambi frutti del mio adulterio… e le stesse cose ha fatto su di una mia nipotina di un anno… e poi era sempre violento con me e mi maltrattava a causa della mia condotta durante il tempo che era stato carcerato ed aveva prestato servizio militare, ma non lo avrei fatto se nella baracca non mi avesse dato un calcio e non mi avesse trascinata per i capelli perché volevo desistere dall’impresa ladresca… mi è salito il sangue alla testa e…
– E vostra sorella?
– Mi pare che non fosse presente in quei momenti…
– Marescià… io sono innocente! – giura Maria Michela tra le lacrime – non ho né partecipato alla preparazione del delitto né tantomeno alla consumazione dello stesso giacché nel momento in cui mio cognato fu ucciso ero fuori della baracca per un bisogno corporale…
– Però Luigi Pomponio ha detto che voi eravate presente sia quando Filomena gli chiese di aiutarlo, sia durante l’omicidio.
– Io non ne sapevo niente, ve lo giuro!
Gli inquirenti sono scettici sul movente fornito da Filomena perché, ragionano, è inspiegabile come non abbia denunciato il marito dopo che questi molestò sessualmente i suoi bambini e ancora più inspiegabile è il perché non lo abbia denunciato la madre del bambino di un anno, la quale conferma le presunte molestie, ma non sa spiegare il perché della mancata denuncia. Sicuramente una testimonianza di favore, concludono gli inquirenti.
Carabinieri e Magistrati però devono ammettere che molti testimoni assicurano di aver visto sul corpo di Filomena tracce visibili delle percosse ricevute dal marito, ma queste tracce devono essere fatte risalire ad un periodo precedente al delitto, tanto è vero che il 16 febbraio 1946 marito e moglie avevano partecipato alla festa per l’uccisione del maiale senza dar vita ad una delle solite scenate. E poi, dov’è la prova che Caligiuri tirò un calcio a Filomena e la trascinò per i capelli mentre stavano rubando le tavole? Sul corpo della donna non ci sono segni evidenti e né Luigi Pomponio, né Maria Michela hanno mai fatto cenno a questa circostanza. Le cose sono chiare.
Concorso in omicidio premeditato. Questa è la pesantissima accusa per la quale tutti e tre vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Durante il dibattimento sorgono dei dubbi circa la sussistenza della premeditazione perché non risulta che il delitto fu ideato, nella forma che definitivamente assunse con l’esecuzione, in tempo notevolmente anteriore. Il delitto ben poté avvenire per un’esplosione improvvisa del malanimo di Filomena, mal sopportando che il marito le rinfacciasse continuamente che era un’adultera e che, alle volte, per questo succedevano delle scenate fra loro. Emergono forti dubbi anche sulla effettiva partecipazione al delitto di Maria Michela, ma non ne sorgono su Luigi Pomponio che ha confessato e per il quale, al contrario, la posizione sembra aggravarsi a causa della direzione dei colpi di scure, inequivocabilmente inferti mentre la vittima era stesa a terra e delle ecchimosi trovate sul petto e sulla pancia della vittima. Quelle ecchimosi, secondo il perito che ha eseguito l’autopsia, furono causate da una persona che salì sul petto di Caligiuri per tenerlo fermo mentre Filomena ne faceva scempio. E quella persona non può che essere Luigi Pomponio perché è impossibile che Filomena da sola potesse riuscire a buttare a terra il marito, tenerlo fermo e nello stesso tempo colpirlo selvaggiamente.
Ma perché Luigi Pomponio ha accettato immediatamente di macchiarsi di questo orrendo delitto senza un apparente motivo? Per la Corte è verisimile che la Caligiuri ed il Pomponio nutrissero odio contro la vittima e se ne volessero sbarazzare essendo in tresca, come sospettava Angelantonio, il quale confidò tale sospetto alla sorella Santa.
È il momento della sentenza: Filomena Caligiuri e Luigi Pomponio sono ritenuti responsabili, esclusa la premeditazione, di concorso in uxoricidio. Maria Michela Caligiuri viene assolta per insufficienza di prove.
Le pene? In considerazione del fatto che Filomenza Caligiuri non ha riportato alcuna precedente condanna e che Luigi Pomponio ne ha riportato una soltanto per furto semplice e avuto riguardo alle condizioni di vita sociale in cui versavano e che susseguentemente al delitto si sono resi rei confessi, la Corte ritiene di potere loro concedere il beneficio delle attenuanti generiche e pertanto, partendo da anni 24 di reclusione, che si diminuiscono di un terzo, vanno condannati ad anni 16 di detta pena, aumentata al Pomponio di mesi due perché, come si è premesso, ha riportato nel 1944 condanna per furto semplice, onde ha commesso il delitto per cui è oggi giudicato infra il quinquennio. In più ci sono le pene accessorie e il risarcimento dei danni. È il 16 novembre 1948.
La Corte d’Appello di Catanzaro, il 15 marzo 1953, conferma la condanna e dichiara condonati ad entrambi 3 anni di reclusione.
Il 20 febbraio 1954 la Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi degli imputati.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.
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