Nel primo pomeriggio del 9 giugno 1953, a Serra di Caprio, località a cavallo tra i comuni di Rose e Luzzi, Annina Pirri va a trovare suo fratello Domenico. Seduti davanti alla porta di casa, Annina, i suoi nipoti Gerardina, Santina e Pasquale, Filomena Di Iacovo e Lauretta Marsico, parlano del più e del meno, quando passa davanti a loro Michele Cava con una scure poggiata sull’avambraccio sinistro. L’uomo si ferma, guarda in cagnesco Annina e le dice:
– T’a minti l’anima ‘mpace? Ca sinnò te sparu!
Per fare questa terribile minaccia in pubblico certamente deve essere accaduto qualcosa di grave tra i due. E così è.
Partiamo con ordine. Il quarantaseienne Michele ha, tra gli altri, una figlia maritata, Attilia, che è molto amica di Annina. Attilia, agli inizi del 1953, sostiene di aver subito un tentativo di violenza sessuale da parte di Nicola Docimo e lo denuncia. Ma pare, a dare retta a quanto si dice in giro, che le cose non siano andate esattamente così: Attilia e Nicola sarebbero amanti e la denuncia è stata fatta per salvare l’onore della donna sposata. Questo segreto sarebbe stato confessato ad Annina ed a qualche altra intima amica e tutte mantengono il riserbo. Poi Attilia e Annina litigano per una banalità e diventano acerrime nemiche. A questo punto Annina, in un momento d’ira, rivela in pubblico il segreto di Attilia: “Lo dico pure al Tribunale” aggiunge urlando in mezzo alla strada e da questo momento nasce un odio implacabile tra le due.
Nel corso di qualche mese si ripetono sempre più frequentemente le esternazioni pubbliche di Annina contro la ex amica (puttana… lorda… sono le espressioni più gentili che usa) e parallelamente cresce sempre di più l’esasperazione nell’animo di Michele, un uomo che tutti definiscono di carattere mite e che si è sempre adoperato per mettere pace dove c’erano dei contrasti da appianare.
Poi accade che il 7 giugno 1953, giorno in cui si svolgono le elezioni politiche, Annina, parlando con alcuni paesani sulle proprie posizioni politiche, sicura di essere sentita dal marito di Attilia, dice:
– Io ho votato per il Partito Comunista perché, dato che le altre donne hanno gli amanti a tre a tre e votano Democrazia Cristiana, con l’avvento del comunismo è facile che io che non sono sposata un amante me lo trovo pure io!
– Guarda un po’ – dice l’uomo ironicamente ad uno vicino a lui, ma in modo da farsi sentire da Annina – le puttane passano per donne onorate e quelle onorate per puttane! – poi, rivolgendosi alla donna, continua – Signora… signora…
– Chi vù? Curnuto! ‘Nculacchietemmuartu! Tu con le corna ci mangi perché tua moglie ti fa le corna e tu nemmeno te ne accorgi! – gli urla contro Annina e queste parole vengono udite anche da Michele che abita a poca distanza.
– Calmati, appena finite le elezioni andremo dai Carabinieri per farla smettere… – gli dice sua moglie e pare essere riuscita nel suo intento, almeno per il resto di quel giorno e del giorno successivo.
Quando si trova in strada e sente parlare della faccenda, Michele cerca di replicare, ma sa benissimo che i due amanti sono stati perfino sorpresi insieme in casa dell’uomo che nel frattempo, per amore di Attilia, ha lasciato in mezzo alla strada la sua convivente e i due bambini che hanno avuto.
La mattina del 9 giugno Michele, sua moglie e l’altra figlia Amelia vanno a zappare granturco. Quando tornano a casa per mangiare vengono a sapere che Annina ha di nuovo sparlato di Attilia. Michele è furibondo. Dopo aver messo qualcosa sotto i denti esce di casa.
– Vado a zappare – dice prendendo la scure dopo aver rovistato furtivamente in un cassettone.
Ma per andare a zappare Michele deve necessariamente passare davanti alla casa di Domenico Pirri, dove vede Annina. E il sangue gli bolle.
– T’a minti l’anima ‘mpace? Ca sinnò ti sparu!
– Va ammazza ‘a figliata! – gli risponde Annina la quale subito si alza e fa per entrare in un cucinotto adiacente alla casa, urlando all’indirizzo dei presenti – Testimoni!
– Testimoni? Testimoni che ti ammazzo proprio io! – dice Michele mentre si lancia sulla donna brandendo la scure.
Gli uomini di casa Pirri si lanciano su Michele per fermarlo mentre Annina riesce a sfuggire all’aggressore ed entra nel cucinotto dove si sono già riparate Lauretta Marsico e Rosaria Pirri. Le donne, terrorizzate, sprangano la porta e si nascondono, abbracciandosi, in un angolo. Michele viene disarmato e sembra che tutto si possa calmare quando, all’improvviso, estrae dalla tasca una pistola e comincia a far fuoco contro la porta del cucinino. Ora c’è un fuggi fuggi generale. La porta non cede ma dall’interno si sentono le preghiere delle donne per far cessare i colpi. C’è qualche secondo di silenzio, le donne si segnano con la croce e restano abbracciate. Michele gira intorno al cucinino e si ferma davanti alla piccola finestra aperta, dà un’occhiata all’interno ma gli occhi, abituati alla luce del sole a picco, non vedono altro che forme indistinte nella penombra del cucinino. Allora mette il braccio armato nell’apertura del finestrino e fa fuoco due volte, poi, mentre dall’interno si sentono i lamenti di tutte e tre le donne, se ne va come se niente fosse accaduto.
Quando gli uomini riescono ad aprire la porta del cucinino, la scena è desolante: Lauretta Marsico, colpevole solo di essere andata a far visita alla futura consuocera dopo aver raccolto un mazzo di malvarosa, è a terra morta, colpita al torace da una pallottola che le ha trapassato i polmoni, il cuore, l’aorta e il fegato. Annina e sua nipote Rosaria sono ferite, per fortuna solo lievemente, e vengono portate nella farmacia Gionchetti a Rose per le prime medicazioni.
Michele Cava si costituisce nelle mani del Brigadiere Carmelo Camassa a notte fonda.
– Da circa un mese Annina Pirri conversa continuamente con persone della contrada Serra di Caprio dicendo che mia figlia Attilia ha relazioni carnali con Nicola Docimo e altri uomini che la stessa non ha nominato. Il Docimo Nicola, circa tre mesi addietro tentò violentare mia figlia mentre attingeva dell’acqua alla fonte del burrone Polimbio ed in atto pende giudizio per tentata violenza carnale. Anche nelle ore antimeridiane di ieri nove giugno, Annina ha detto alle mie sorelle Concetta e Rosina ed alle sorelle Annunziata e Concetta Docimo che il giorno della causa avrebbe detto al magistrato che mia figlia ha relazioni intime con più uomini e che è una puttana pubblica. Sentita tale discussione, mi sono eccitato e ho ripreso il cammino per tornare al lavoro. Quando sono arrivato vicino l’abitazione di Domenico Pirri, ho visto Annina seduta per terra con altre persone e le ho detto: “Comare, per amor mio non dovresti diffamare l’onore di mia figlia Attilia”. Lei mi ha risposto: “L’odio lo tengo contro tua figlia e non contro di te”. Alla risposta di Annina ho ripetuto di smettere di diffamare l’onore di mia figlia, altrimenti la pensavo diversamente. A questo punto Annina si è alzata avvicinando le mani alla mia faccia come se volesse darmi qualche schiaffo. Contemporaneamente io, brandendo la scure, ho tentato di colpirla, ma il subito intervento di Pasquale Pirri, che mi ha disarmato, non mi ha fatto riuscire l’intento. Annina, visto il mio gesto, è andata a nascondersi nella cucina dove ha trovato una zappa, avventandosi contro di me. Prima che la Pirri uscisse dalla cucina è stata però fermata dai presenti e contemporaneamente ho visto chiusa la porta della cucina. Preso dall’ira ho estratto la pistola e ho sparato alcuni colpi contro la porta della cucina. Immediatamente dopo sono andato dalla finestra e ho sparato altri colpi nell’interno, senza però vedere se dentro ci fossero altre persone oltre di Annina…
– Perché eravate armato di pistola?
– Perché sapevo di passare vicino Nicola Docimo col quale siamo nemici e continuamente mi minaccia.
– Sapevate che Annina Pirri era a casa di suo fratello?
– No, non ne ero a conoscenza.
– Avevate inimicizia con la famiglia della vittima?
– Tra la mia famiglia e quella di Lauretta Marsico hanno sempre regnato buoni rapporti di amicizia.
Le indagini si concentrano sulla eventuale premeditazione del gesto di Michele Cava, ma invece emergono solo conferme sulla relazione tra Attilia e Nicola, conferme comunque importanti perché potrebbero portare a capire se si tratta o meno di motivi di onore.
– È vero che io ho avuto relazioni intime con Attilia Cava per circa sette od otto mesi, consumando i congressi carnali parte in casa sua ed una sola volta in casa mia. Attilia confidò tale relazione ad Annina ed altri. A ricordo della relazione, Attilia mi regalò due ciuffetti di peli tagliati dal suo pube e tali ciuffetti li conservo, pronto ad esibirli alla Giustizia, nel caso fosse necessario. Io smisi la relazione perché Attilia l’aveva resa nota e temevo che me ne potesse cogliere male… Attilia per ritorsione mi denunziò e falsamente affermò che la sera dell’11 maggio 1953 io avevo tentato di violentarla… – ammette Nicola.
– Sono stata amante di Nicola per sei anni e durante tale periodo ho vissuto con lui come marito e moglie e ho partorito due bambini – racconta Teresa –. Fino al 6 novembre 1952 tra noi correvano ottimi rapporti e mai mi aveva maltrattata, ma quando ha iniziato la tresca con Attilia hanno avuto inizio i miei patimenti. Il 7 novembre Nicola mi ha abbandonato con i miei bambini e non si è più fatto vedere in casa mia… andò nella camera da letto… dopo poco andai anche io… pensavo che si fosse messo a dormire e invece… invece lo trovai che aveva preparato la valigia. Lo pregai di non andar via ma egli era sordo ai miei richiami, così uscì di casa dirigendosi verso l’abitazione di Attilia. Dopo poco lo seguii, bussai e ad Attilia che mi venne ad aprire domandai se ci fosse Nicola. Rispose di no, ma io mi accorsi che sotto una cassa posta accanto alla porta d’ingresso si trovava la valigia di Nicola. Allora entrai in casa e ripetetti la domanda anche al marito di Attilia che era presente – gli occhi le si infiammano –. In quel momento mi accorsi che tra la sponda del letto e la parete della camera si trovava nascosto Nicola. Lo chiamai e lo pregai di dirmi che cosa gli avessi fatto di male, invitandolo a venire con me a casa. Nicola, vistosi scoperto, si alzò e fece l’atto di uscire. Io allora presi la valigia di sotto la cassa e me ne andai. Attilia chiamò Nicola e gli disse che avevo preso con me la sua valigia ed io non l’ho più rivisto…
Certo, se i Giudici credessero a queste parole, le cose per Michele Cava potrebbero farsi davvero serie.
Per il Pubblico Ministero il movente, cioè se si tratti o meno di delitto d’onore, d’impeto o premeditato, non è influente: questo è il classico caso previsto dall’articolo 82 del Codice Penale che definisce il reato aberrante, il reato nel quale è voluto un solo evento e per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa, si è cagionata offesa a persona diversa cui essa era diretta, oppure assieme alla persona offesa designata si è cagionata anche offesa a persona estranea. Piuttosto, ciò che aggrava la posizione dell’imputato, nonostante le testimonianze, è, secondo il Magistrato, il suo temperamento violento, come si evince dalla sua anamnesi familiare oltremodo allarmante in quanto il padre ed un suo fratello sono stati condannati per differenti omicidi. Ma può un uomo essere considerato violento a causa delle azioni dei suoi congiunti, quando praticamente tutto il paese giura che fino a quel momento è stato un uomo mite?
Secondo il Pubblico Ministero, poi, la volontà omicida di Michele Cava, definita furia bestiale, è chiara sia per l’arma usata, sia per la reiterazione dei colpi esplosi, sia per le parti vitali del corpo prese di mira e sia, infine, per le stesse dichiarazioni dell’imputato che ha ammesso di aver voluto uccidere Annina Pirri, sbagliando mira. Omicidio volontario aggravato.
Questa tesi viene accolta dal Giudice Istruttore che rinvia Michele Cava al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. È il 23 gennaio 1954.
Poco più di quattro mesi dopo si apre il dibattimento con la ritrattazione dell’imputato il quale, nel frattempo, ha risarcito le parti lese:
– Io non avevo affatto intenzione di uccidere alcuno e nemmeno Annina Pirri; sparai prima due colpi, se mal non ricordo, contro la porta e poscia altri colpi attraverso un finestrino. Essendo io di fuori, per effetto della soverchia luce che vi era all’esterno, non potei distinguere se nell’interno della cucina si trovassero delle persone, quindi sparai alla cieca ed al solo scopo di intimorire… non sapevo che mia figlia avesse relazioni con Nicola Docimo… – forse è troppo tardi per dire cose che avrebbe dovuto dire, semmai, nell’immediatezza del fatto.
Annina, da parte sua, ammette di aver detto a Michele, quando questi la minacciò di morte, “Va ammazza ‘a figliata!” e aggiunge di essere soddisfatta del risarcimento ricevuto e di non avere altro da pretendere.
I difensori di Michele, gli avvocati Roberto Roberti e Orlando Mazzotta, forti dell’affermazione di Annina e della ritrattazione del loro assistito, chiedono il minimo della pena da ottenersi mediante le derubricazione del reato a omicidio preterintenzionale con la concessione delle attenuanti generiche, il riconoscimento della provocazione grave, dei motivi di particolare valore morale e dell’avvenuto risarcimento.
Il Pubblico Ministero ora riconosce che il reato è stato commesso per i famosi motivi di particolare valore morale, la difesa dell’onore. Riconosce che all’imputato vanno concesse le attenuanti generiche e va considerato positivamente anche il risarcimento del danno avvenuto prima del dibattimento. Fatti i conti, la pena richiesta è di 12 anni di reclusione col condono di anni tre, più le pene accessorie.
Il 21 giugno 1954 la Giuria emette il verdetto: colpevole del delitto di omicidio volontario col riconoscimento di avere agito in istato d’ira determinato dal fatto ingiusto della parte offesa Pirri Annina e di avere agito, altresì, per motivi di particolare valore morale e sociale, di avere risarcito il danno alle parti offese prima del giudizio e con attenuanti generiche. in cifre fanno 8 anni di reclusione, più pene accessorie.
Il 31 luglio successivo Michele Cava rinuncia a presentare il ricorso in Appello e la sentenza diventa definitiva.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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