ED ORA MI SPOSI?

Angela Cortese non ha ancora compiuto 17 anni quando comincia ad amoreggiare con Giuseppe De Marco. Siamo ad Acri nei primi mesi del 1947.

Giuseppe mostra di essere innamoratissimo, tanto da manifestare intenzioni matrimoniali, e così i genitori di Angela gli permettono di frequentare la casa come fidanzato.

Ben presto, però, il comportamento dei due innamorati – stanno sempre troppo appiccicati l’uno all’altra – fa venire un brutto sospetto alla madre di Angela: non è che tra i due c’è stata qualche intima relazione? La soluzione al problema è semplice, fare sottoporre Angela a una visita medica dal dottor Falcone:

– Angela è una ragazza seria, vi siete preoccupata inutilmente perché è fisicamente vergine!

Tranquillizzati di ciò, i genitori della ragazza accolgono di nuovo in casa Giuseppe. Ma il problema è che anche Giuseppe adesso è tranquillo, tranquillo che i futuri suoceri siano tranquilli, così comincia a costruire castelli in aria finché la ragazza gli si concede durante uno dei loro viaggi fantastici, chiusi in una casetta di proprietà di Giuseppe. E da adesso i congressi carnali fra i due diventano frequenti, tanto che Angela rimane incinta.

La ragazza nasconde tutto ai genitori che, ignari e fiduciosi nella promessa di matrimonio di Giuseppe, provvedono Angela di una dote, aiutati da uno dei figli che vende il suo mulo e da uno zio che promette cinquantamila lire in contanti, un asino e della biancheria. È la felicità. Finché dura, cioè fino a quando il parto è vicino e Angela non può più nascondere il suo stato. Ma ha paura di parlare direttamente con la madre, così incarica un’amica di rivelarle il suo segreto. Afflitta e sdegnata, la madre non la vuole più in casa, di modo che Angela è costretta a rifugiarsi in casa di una zia, dove dà alla luce una bella bambina.

Dopo qualche giorno, Giuseppe va a fare visita ad Angela in casa della zia.

– Non voglio più sposarti in quanto hai avuto, prima che con me, rapporti carnali con Filippo

– Sei ingrato e bugiardo, lo sai perfettamente che ero fisicamente vergine, lo ha detto anche il dottore! Adesso dico a mia zia di andare a chiamare Filippo e vediamo cosa dice! – Angela è furibonda e solo dopo essersi sfogata riesce a piangere.

E Filippo, al cospetto di entrambi, nega di avere mai avuto rapporti illeciti con la ragazza. Ma ormai la decisione, da parte di Giuseppe, è presa. Gira i tacchi e se ne va.

La mamma è sempre la mamma e dopo qualche giorno Angela è riaccolta in casa, seppure non molto benevolmente, tanto che il fratello Pietro, per non incontrarsi con lei, va a dormire in una stalla e cerca di prendere i pasti quando la sorella è assente.

Angela, non appena è in condizione di uscire di casa, cerca di incontrare Giuseppe senza riuscirci e allora va a parlare con la madre e la sorella affinché interpongano i loro buoni uffici per convincere Giuseppe a sposarla. Ma anche questo tentativo risulta un fiasco.

Visto che tutto è inutile per convincere Giuseppe e la sua famiglia ad accettare l’idea del matrimonio, visto il modo in cui a casa quasi tutti la trattano e gli sguardi ammiccanti degli uomini che la incontrano per strada, proprio come se guardassero una puttana, il mondo sembra crollarle addosso. Che fare? La puttana come tante altre disgraziate? No. Lei ha il suo onore e quello della sua famiglia da difendere, così per riacquistare l’onore e la benevolenza dei familiari e far tacere le malelingue, la scelta è una sola: la vendetta. Il 20 giugno 1948 Angela acquista da un forestiero, per la somma di diecimila lire, una pistola automatica con tre cartucce, che comincia a portare sempre con sé, nascosta nel seno, in attesa dell’occasione propizia per attuare il suo proposito. Ma una cosa è pensare, un’altra è riuscire ad avere il coraggio di sparare per uccidere. Poi, il 29 giugno Angela riesce ad incontrare Giuseppe per strada:

– Giusè, pensa al male che mi hai fatto e riparalo… sposiamoci. E se non vuoi farlo per me, fallo per la nostra bambina, ti prego…

– Dopo che ti sei sgravata di tua figlia ti vedo meglio, vieni con me nella casetta che ti voglio fottere! – le risponde con tono sprezzante.

Angela sente ribollire il sangue nelle vene, si tocca il seno, sente il metallo della pistola ma non la caccia per sparare a quell’uomo che ancora una volta la sta offendendo ed umiliando.

– Non sono la tua puttana! – solleva orgogliosamente il capo e se ne va.

Due giorni dopo lo incontra di nuovo e di nuovo lo prega di riparare al male sposandola.

– Ancora? Lasciami in pace perché in caso contrario ti prendo a schiaffi in mezzo alla strada! – le risponde col solito tono sprezzante.

Gli occhi di Angela sono rossi come il fuoco, si guarda intorno per vedere se c’è gente, poi lo guarda dritto negli occhi. Sa che ormai deve farlo, deve ammazzarlo. Ma riesce a restare calma e lucida trattenendosi, perché capisce che sono troppo vicini e Giuseppe, accorgendosi che ha l’arma, potrebbe facilmente disarmarla e forse ammazzarla a sua volta. No, non è il momento. Giuseppe se ne va e Angela resta immobile per lunghi, interminabili secondi, poi se ne va anche lei, ma tutte le sue energie adesso sono concentrate a trovare il momento giusto per farla finita.

Lo cerca per il resto della giornata e non lo trova. Esce per strada anche la sera e va in piazza Vittorio Emanuele, dove la gente è solita incontrarsi per passeggiare. Ecco, lo vede, sta passeggiando in compagnia di alcuni amici. Si mette in un angolo poco illuminato per non farsi notare e aspetta. Aspetta che Giuseppe e i suoi amici si voltino per riprendere a camminare con le spalle rivolte a lei. Ridono allegramente. Angela in quelle risate ci vede tutta la malvagità del mondo e a stento trattiene l’istinto di affrontarlo viso a viso. Poi gli uomini si fermano per qualche istante e si girano. Ecco, è il momento giusto. Angela esce allo scoperto e cammina silenziosamente dietro le spalle di Giuseppe mentre sfila la pistola dal seno e la vede luccicare alla fioca luce delle lampadine pubbliche. La distanza è quella giusta per non sbagliare, saranno al massimo tre metri. Alza il braccio e prende la mira. Adesso tirare il grilletto le sembra la cosa più facile del mondo e uno, due, tre proiettili partono in rapida successione. Giuseppe si affloscia a terra senza un lamento. Nella piazza scoppia il caos con la gente che scappa terrorizzata e attorno all’uomo steso a terra si è fatto il vuoto. Angela gli si avvicina con la pistola ancora fumante in mano, lo guarda e gli dice:

Ed ora mi sposi? – poi sputa per terra e si allontana imboccando la strada che porta verso la caserma dei Carabinieri, ma viene raggiunta dal Sindaco di Acri che la ferma.

– Ma che ti è venuto in mente? Perché hai fatto questo? – le chiede.

Mi ha rovinata e non voleva riconoscermi

Dal racconto che fa ai Carabinieri ed al Magistrato che la interrogano non ci sono dubbi: omicidio premeditato. Ed è con questa imputazione che viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

L’imputata ha sempre dichiarato che, sin dal 20 giugno 1948 e cioè dieci giorni prima del delitto, visti inutili i suoi sforzi per persuadere De Marco a sposarla, si era procurata una pistola automatica con tre cartucce, decisa ad ucciderlo e che per tale scopo aveva sempre portato la pistola nascosta nel seno in attesa dell’occasione propizia per attuare il suo proposito. È da allora, quindi, che sorge nella Cortese l’idea criminosa che diviene ogni giorno più ferma, continua e intrattenibile. Non ha rilevanza che in un primo tempo il proposito criminoso sorto nell’imputata sia stato probabilmente condizionato al rifiuto del De Marco a sposarla, in quanto ciò nulla toglie alla riflessione ed alla macchinazione del delitto, specie quando i rifiuti del De Marco non fecero che consolidare e rendere più irremovibile la risoluzione criminosa, osserva la Corte, facendo balenare la possibilità di comminare la pena dell’ergastolo.

Ma i toni cambiano quando la Corte parla della vittima: l’imputata ha agito, nonostante la premeditazione del delitto, in stato d’ira provocato dal fatto ingiusto dell’ucciso. Quest’ultimo, infatti, dopo avere sedotto la Cortese con promesse di matrimonio, quando costei partorì non volle più mantenere la promessa, accampando dei dubbi sulla moralità della ragazza, affermando che essa aveva avuto in precedenza intimi rapporti con altro giovane. Tale accusa però è risultata del tutto infondata, oltre che per la recisa negativa del giovane accusato, perché la Cortese, dopo che ebbe cominciato ad amoreggiare col De Marco, fu visitata dal dottor Falcone e riconosciuta fisicamente vergine. Tutto il comportamento di costui è provocatorio in quanto, dopo essersi per l’ennesima volta rifiutato di riparare il danno che aveva fatto, con tono tracotante invitò la ragazza a soggiacere ancora una volta alle sue voglie e, infine, la mattina del giorno in cui avvenne il delitto, minacciò di schiaffeggiarla se lo avesse più oltre infastidito con le sue richieste. Con quest’ultima osservazione, nella quale parla esplicitamente di provocazione e quindi della relativa attenuante, la Corte rischia di cadere in conflitto con l’aggravante della premeditazione perché i due termini sono generalmente ritenuti antitetici, ma spiega che nel caso in esame non è così: né l’attenuante della provocazione è incompatibile con la premeditazione perché questa aggravante della premeditazione, pur richiedendo una riflessione ed una macchinazione, non richiede necessariamente calma e freddezza d’animo, per cui si può affermare la contemporanea esistenza di entrambe le circostanze, potendo l’agente consumare il delitto lungamente premeditato, dominato da sentimenti eccitanti dell’animo ed anche in preda a stati d’ira per un patito fatto ingiusto provocatore.

Le cose si mettono bene per Angela, ma la Corte non ha ancora finito: è indubbio, inoltre, che la Cortese abbia agito anche per motivi di particolare valore morale, specie se si consideri il concetto che si ha dell’onore in Calabria, dove l’aver avuto un figlio fuor dal matrimonio è cosa assai disonorevole (in realtà in Italia è disonorevole dappertutto. Nda). Infine, la Corte ritiene di dover concedere alla imputata anche le attenuanti generiche in considerazione dei suoi ottimi precedenti penali e del fatto che essa ha pienamente confessato il suo delitto. Pena edittale per il delitto di omicidio premeditato è quella dell’ergastolo, che va ridotta ad anni 10 di reclusione in virtù delle tre attenuanti concesse; per la contravvenzione di porto abusivo di pistola, quella di 5 giorni di arresto, più le pene accessorie.

Poi c’è da considerare l’applicazione dell’indulto concesso con il D.P. 23 dicembre 1949 N° 930 e quindi le vanno condonati 3 anni della pena inflitta. Restano 7 anni, è andata benissimo. E va ancora meglio il 24 luglio 1954 quando la Corte di Appello di Catanzaro applica il D.P. N° 322 del 19 dicembre 1953 dichiarando condonata la residua pena di anni 1, mesi 6 e giorni 17. Così la pena effettivamente scontata è di poco meno di 5 anni e 6 mesi.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.

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