IL DETESTATO CAPO DI FAMIGLIA

– Non vedo compare Ercole, Natale è passato e volevo fargli gli auguri…

– È andato a Catanzaro per ragioni di lavoro, ospite della sorella… di tanto in tanto manda notizie a mezzo di paesani – rispondono i familiari a chi chiede notizie di Ercole Tuorto, quarantaquattrenne contadino della frazione Cariglio di Fuscaldo, che non si vede in giro dal 23 dicembre 1946.

Passa qualche mese.

– Che fa compare Ercole a Catanzaro?

– Non è a Catanzaro, è emigrato clandestinamente in America

Tutto è possibile nella confusione del momento storico.

Siamo nel mese di ottobre del 1947. Sono ormai dieci mesi che Ercole Tuorto è partito all’improvviso. Sua moglie, Raffaela Pigna, va dai Carabinieri:

– Brigadiè, dovete fare qualcosa. Mio marito se ne è andato clandestinamente in Brasile, non ci manda nemmeno un centesimo e non sappiamo più niente di lui!

– Signora, io non posso fare niente, sto sostituendo il Maresciallo Perona che è in licenza, passate tra una decina di giorni e parlate con lui.

Raffaela se ne va indignata. I dieci giorni passano, ma lei non torna in caserma per chiedere aiuto al Maresciallo, il quale trova un appunto con scritto della visita della donna e, visto che lei non si presenta, decide di andarla a trovare.

– Ma come faccio a fare delle ricerche se non abbiamo la certezza che sia in Brasile, se ha ancora il suo nome e, soprattutto, se è ancora vivo?

– Marescià, io so, perché me lo hanno detto alcune persone, che mio marito è in Brasile e ci è andato clandestinamente.

– E chi sono queste persone che ve lo hanno detto? Magari a me diranno qualcosa di più…

– Come si chiamano non lo so, però posso fare in modo di incontrarle e chiedere loro l’indirizzo preciso di Ercole e ve lo farò sapere entro brevissimo tempo.

Il Maresciallo si accontenta della risposta, sa che ci sono stati molti altri casi di persone emigrate clandestinamente facendo perdere le proprie tracce, così non trova niente di strano nemmeno quando la donna, passati parecchi mesi, ancora non si è fatta viva con l’indirizzo del marito.

Verso il primi del mese di giugno del 1948, a Fuscaldo cominciano a fluttuare dicerie intorno ad un sogno di una donna del luogo, non identificata, nella cui visione Ercole Tuorto è morto ed il suo cadavere sarebbe apparso come sotterrato in campagna.

Il Maresciallo Pierino Perona non crede ai sogni perché sa perfettamente che mettere in giro questo tipo di notizie è uno dei tanti modi usati dalla voce pubblica per fare arrivare alle orecchie dell’Autorità Giudiziaria notizie di reato, senza compromettere direttamente nessuno nella denuncia, allora gli tornano in mente tutte le stranezze della storia raccontatagli da Raffaela Pigna e il 28 giugno va in contrada Sant’Angelo, sul cui colle è sita la casa dei Tuorto, accanto a quella di tale Giovanni Basile, per insistere sulle indagini e ordina escavazioni nel terreno distante pochi metri dai fabbricati ed irrigato da acque di scolo di un mulino, che ne segna uno dei limiti; escavazioni profonde e in un largo settore di terreno, praticate a mezzo di Francesco Le Piane e di Francesco Tuorto, uno degli otto figli di Ercole e Raffaela. Gli scavi però non danno alcun esito fruttuoso, tanto che il Maresciallo ritiene opportuno e più utile svolgere altri sondaggi presso Raffaela Pigna.

– Marescià, ve l’ho detto e ve lo ripeto: alcune persone mi hanno detto che mio marito è emigrato clandestinamente in Brasile. Non so altro!

– Eh! E chi sono queste persone?

– Non lo so…

– Troppo facile. Troppo facile e troppo comodo! La verità è che lo avete ammazzato e ne avete fatto sparire il corpo, è così? – azzarda.

Raffaela nega indignata, ma dopo tante tergiversazioni, finisce per confessare ed indica il punto in cui è stato sotterrato il cadavere di suo marito e così, come d’incanto, viene definitivamente squarciata la fitta oscurità in cui era avvenuta la terrificante scomparsa di Ercole Tuorto!

Sotto un muro a secco costruito nel piccolo orto dei Tuorto, all’altezza di circa un metro e ottanta, coperto da strati di terreno lambito da acqua corrente in prossimità di uno scolo disseccato, si rinviene, alla profondità di cinquanta centimetri dal piano coltivato, il cadavere scheletrito dello scomparso. Il capo appare ridotto al solo cranio; tra l’angolo esterno dell’orbita sinistra e la regione auricolare si constata una larga breccia, quasi ovulare, del massimo diametro di sette centimetri in senso sagittale e di circa cinque in senso longitudinale; il segmento osseo corrispondente si presenta affondato, a pezzi, nella cavità e l’osso parietale e quello occipitale sono incrinati; in pratica il cranio è fracassato. Continuando a scavare per cercare altre ossa ed altri oggetti di pertinenza del morto, viene rinvenuta soltanto una cinta di cuoio fornita di fibbia.

La morte, secondo il perito, risale a circa un anno e mezzo prima ed è stata procurata istantaneamente con una mazza di legno o di metallo. Evidentemente è stato barbaramente assassinato.

Le sorprese arrivano durante gli interrogatori della vedova e dei figli Antonio e Francesco.

Mio marito era un uomo violento e brutale… continuamente si ubbriacava, maltrattando me e i miei figli, così un giorno, esasperati dalle continue vessazioni, abbiamo deciso di sopprimerlo ed all’uopo siamo ricorsi all’ausilio del vicino Giovanni Basile. Costui non respinse la proposta, ma ci fece osservare che non avrebbe potuto uccidere mio marito in montagna senza correre il rischio di essere visto. Allora decidemmo di ammazzarlo di notte, quando rincasava ubbriaco. Più volte mio figlio Francesco e Basile hanno tentato di spararlo mentre rincasava, ma non ci sono riusciti. L’occasione favorevole si presentò il 24 dicembre 1946 quando Francesco avvertì Basile che il padre si era profondamente addormentato. Basile, senza perder tempo, venne in casa e con una bastonata ha ammazzato il compare ed amico, perché con Basile siamo anche compari. Il cadavere fu sotterrato quella stessa notte nei pressi di un albero di noce, in un fosso scavato durante il giorno stesso

Tutto ci si sarebbe aspettato, ma non una storia del genere. Basile viene subito arrestato e ammette che le cose sono andate proprio come ha raccontato Raffaela Pigna, spiegando meglio con tono assolutamente indifferente:

Malgrado non avessi ragioni particolari per commettere il delitto, mi sono deciso ad ucciderlo soltanto per le continue insistenze dei familiari di Ercole, mio amico, vicino e compare… – poi lancia una bomba, confessando spontaneamente – circa dodici anni fa, anche con un bastone, uccisi in montagna uno sconosciuto cacciatore che mi aveva schiaffeggiato… poi buttai il cadavere dello sconosciuto giù in un burrone – Basile indica anche il luogo dove avrebbe lasciato il cadavere dello sconosciuto e, fatto un sopralluogo, vengono rinvenute delle ossa che i periti dichiarano appartenersi ad uno scheletro umano, probabilmente di sesso maschile, il cui disfacimento iniziò oltre dieci anni prima del rinvenimento dei resti. Incredibile, ma ha detto la verità!

Anche Francesco Tuorto conferma la versione di sua madre, mentre Antonio, in qualche modo, si tira fuori:

Non ho preso parte ad alcuno accordo pel delitto, così come gli altri tre dichiarano. Fui informato del misfatto da mio fratello Francesco. Dopo avere aspramente rimproverato mia madre, mio fratello e Basile, fui costretto per ragioni di opportunità ad aiutare al trasporto del cadavere

Ragioni di opportunità. Bisogna scavare per capire cosa altro c’è sotto. E sotto c’è che Basile, interrogato questa volta dal Giudice Istruttore, conferma le sue dichiarazioni, mentre il ventenne Francesco Tuorto ritratta e accusa, spiegando forse le famose ragioni di opportunità:

– Non ho partecipato al delitto. È stato solo Basile…

– E perché prima hai dichiarato il contrario?

Al primo interrogatorio era presente Basile ed ero preoccupato che costui, terribile e pericoloso, poteva farmi del male e, sia pure presente il Maresciallo, ho confermato quello che aveva detto luiquel giorno Basile, in assenza di tutti i miei familiari, si recò a casa mia, mi rinchiuse in una stanza minacciandomi con una pistola. L’indomani all’alba tornò e mi disse che aveva ucciso mio padre e l’aveva pure seppellito… Basile, veramente infernale, ha ucciso mio padre in quanto, giorni prima, lo aveva chiamato “sordo”, di che veramente Basile soffre… non solo, lo ha ucciso anche per impossessarsi di quattordicimila lire che mio padre aveva riscosso da Luca Eugenio e Attanasio Francesco

– Ammettiamo che sia andata così, e tua madre dov’era?

Mia madre, assieme ai miei fratellini e sorelline, in tutto quattro, si erano recati in casa di mia zia Lucia, sofferente ad un ginocchio e sono rimasti lì due giorni e due notti.

Anche Raffaela Pigna davanti al Magistrato ritratta:

Non è affatto vero di aver confessato al Maresciallo la mia compartecipazione al delitto, cosa assolutamente impossibile, d’altronde, in quanto per due giorni e due notti sono stata da mia sorella ammalata… al momento della scoperta del delitto, mio figlio Francesco mi raccontò che mentre bisticciava con suo padre era intervenuto Basile e, poiché mio marito aveva mal tollerato il suo intervento inveendo nei suoi confronti, era stato da costui brutalmente freddato a colpi di bastone

Questa è una novità! Finora nessuno ha ricostruito così i fatti, ma la sua versione non regge perché sua sorella cade in molte contraddizioni e la mette nei guai. La sensazione è che madre e figli stanno cercando di scaricare tutto sulle spalle di Giovanni Basile. Comunque, giunti a questo punto, gli inquirenti ritengano di avere elementi sufficienti e chiedono il rinvio a giudizio di tutti e quattro gli indagati. Anche secondo il Giudice Istruttore ci sono le condizioni perché la Corte d’Assise di Cosenza processi i quattro.

Davanti alla Corte, il 30 novembre 1950, Antonio Tuorto e Raffaela Pigna confermano di non aver partecipato al delitto, mentre Francesco ammette esplicitamente di aver partecipato all’uccisione del padre assieme al Basile e aggiunge a sua discolpa:

– Mi sono deciso a farlo per liberarmi dal grave, insopportabile stato di vessazione e di abbrutimento in cui mio padre, da anni, teneva la nostra famiglia.

Anche Giovanni Basile ha qualcosa da aggiungere, tra lo stupore generale:

Fui istigato ad uccidere compare Ercole non solo dai figli Antonio e Francesco, bensì anche dal figlio Eugenio! – Ma questa nuova chiamata in correità si dimostra subito falsa.

Orrendo, terribile delitto questo di cui si deve occupare la Corte. Terrificante non solo per la vittima così barbaramente trucidata, ma anche e soprattutto per l’inadeguata causale che ha mosso i protagonisti della fosca tragedia, per le modalità tutte della preordinazione e dell’esecuzione del misfatto che si completa bestialmente nel sotterramento del cadavere perché ogni traccia fosse dispersa! Questa è la premessa con la quale la Corte apre il dibattimento. Poi passa ad analizzarne gli aspetti e le singole posizioni. Prima di tutto descrive il contesto in cui è maturato il delitto: È punto fermo, insuperabile, incontrovertibile che Ercole Tuorto, per il suo carattere violento, maligno, insofferente e per il suo contegno, assolutamente intollerabile, che teneva verso sua moglie e figli era a costoro fortemente inviso, mal sopportato e odiato nel modo più grave. Poco amante del lavoro e dedito al vino, sovente, in particolare quando era in preda all’alcool, passava con esecrande, orribili scenate a maltrattare la moglie e i figli verso i quali non solo ometteva sistematicamente ogni assistenza morale e materiale, quanto non aveva mai alcuna tenerezza o benevolenza. Abbrutito dal vizio – lo confermano tutti i testi – rotto ad ogni licenza, ignaro dei doveri più elementari di padre e di sposo, egli aveva creato nelle mura domestiche una vera vita infernale, tanto da portare la vittima della sua prepotenza all’ultimo stadio di sopportazione, alla vera esasperazione. È in tale amaro clima familiare che si matura, si preordina il delitto, si sente imperioso, urgente la necessità di giungere alla liberazione, alla cessazione della vita grave e triste.

Poi esamina la figura centrale nel delitto, quella di Giovanni Basile,: autentico sicario, è figura cinica negli annali giudiziari perché autore di molteplici, biechi, brutali, sanguinari delitti. Il Basile, ancora quindicenne, sul monte Pellegrino uccise un cacciatore depredandolo del fucile e degli indumenti. Le contraddizioni sul movente, se determinate da vanità di reazione contro schiaffi, congiunti a ingiusto rimprovero o contro tentativo di furto o di rapina, non hanno importanza se non per precisare la personalità di Basile che, sebbene riformato per otite bilaterale purulenta, si è rivelato pienamente capace d’intendere e volere attraverso la prova della conclamata consapevolezza di tutta la gravità relativa all’azione criminosa e attraverso la prova della volontà opposta all’originario disegno dei familiari Tuorto per l’esecuzione del delitto in montagna. Per i rapporti di intimità e di frequenza nella casa dei Tuorto, per le confidenziali rivelazioni ripetute alla propria moglie, Basile era noto come brutale omicida, capace di ogni accortezza per assicurarsi l’impunità. È certo che la frequentazione dei vicini Tuorto e l’abitualità dell’ubbriachezza e dei maltrattamenti di Ercole Tuorto, rese l’omicida, che si compiaceva dell’impunità sua e dell’abilità indissolubile da essa, spettatore dell’afflizione, del dolore dei congiunti Tuorto. Tale assiduità nella casa del compare deve avere resa più forte la solidarietà tra lui e Raffaela Pigna. Invero fu rivolta verso l’agosto 1946 la proposta a Basile in quanto si era dovuta consolidare una serie di rapporti (al “comparismo” per la risma delle persone poteva essersi associato altro legame) così da non rendere molto azzardata l’invocazione dell’aiuto alla soppressione del detestato capo di famiglia. Il dissenso sulla scelta della località segnò il momento del sostanziale accordo sull’esecuzione e servì ad acuire le scaltrezze degli associati per approdare ad una macchinazione, certamente diabolica, se per un anno e mezzo riuscì a rendere fitti i veli sulla soppressione della vittima. Basile, con un cinismo allarmante e raccapricciante, aiutato dalla preparata attesa del ventenne Francesco Tuorto, che gli diede la mazza e gli indicò l’ubicazione della tempia sinistra del dormiente, inferse i due formidabili colpi ed il cranio della vittima si fracassò, determinando l’immediatezza della morte.

Che dire di Raffaela Pigna? Poche parole che bastano anche per suo figlio Francesco: povera, sciagurata, travolta dal dolore, insofferente ormai di una vita di angustia e di tristezza, ha pensato alla liberazione ricorrendo al delitto, legando a sé il giovane figlio Francesco in una selvaggia e tenebrosa reazione. La Corte con loro due è indulgente: può soccorrere, in favore della Pigna e del figlio Francesco, l’attenuante della provocazione perché deve dirsi che essi realmente agirono sotto la spinta di un grave dolore che da anni li torturava.

Resta Antonio Tuorto: partecipò al parricidio? La Corte è perplessa nell’affermarlo. Mentre si è certi ch’egli aderì e partecipò al primo concerto quattro mesi prima dell’omicidio, non si ha prova sufficiente per affermare fondatamente ch’egli partecipasse al secondo accordo e, quindi, all’esecuzione dello stesso. Al riguardo, fallace appare la chiamata di correo di Basile che, anzi, assume che la sera del 23 dicembre fu chiamato dal solo Francesco e assieme allo stesso preparò il fosso, come pure il muretto sullo stesso costruito. Ma è certamente responsabile, insieme agli altri, del reato di occultamento di cadavere.

Stabilite le singole responsabilità nell’omicidio e nell’occultamento di cadavere, non resta che stabilire le relative pene.

Giovanni Basile viene condannato all’ergastolo; Raffaela Pigna a 28 anni di reclusione; Francesco Tuorto a 26 anni e 8 mesi di reclusione; Antonio Tuorto viene assolto per insufficienza di prove dall’accusa di concorso in parricidio, ma viene condannato a 4 anni di reclusione per l’occultamento di cadavere.

In applicazione del D.P. N° 930 del 23 dicembre 1949, a Raffaela Pigna e suo figlio Francesco vengono condonati 3 anni della pena; ad Antonio vengono condonati 2 anni e, scomputata la carcerazione preventiva, viene immediatamente rimesso in libertà.

In più, la Corte ordina la pubblicazione della sentenza nei giornali “Parola Socialista” e “Democrazia Cristiana”, nonché la pubblicazione mediante affissione nei comuni di Cosenza e Fuscaldo.

L’11 dicembre 1951, la Suprema Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi degli imputati.

Il 7 aprile 1954, la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonati a Francesco Tuorto, in base al D.P. N° 123 del 19 dicembre 1953, mesi 3 di reclusione e amnistiati anni 3 e mesi 8 di reclusione.

Non è ancora finita:

Con declaratoria del 27 marzo 1963, la Corte d’Appello di Catanzaro condona a Raffaela Pigna, ai sensi del D.P. N° 5 del 24 gennaio 1963, la pena di mesi 6 di reclusione.

Infine, la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara che con D.P. 12 dicembre 1964 è stato concesso a Tuorto Francesco il condono giudiziale del resto della pena di anni 23 di reclusione.[1]


[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.

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