Michele Conforti e Teresa Urso si sposano nel 1928 a Castiglione Cosentino Scalo e vanno ad abitare in casa della madre e della sorella più piccola della sposa. Ben presto, però, Michele si rende indegno ospite, incapricciandosi della cognatina Concetta, che disonora rendendola perfino incinta.
Una tragedia! Come farà Concetta a trovare un marito?
Le vie della provvidenza sono, come si sa, infinite ed un giovanotto del paese, Pietro Guido, pur sapendola incinta al settimo mese, la chiede in sposa e poco dopo il parto la sposa. Questa fortuna, piuttosto che costituire lo sgravio di un rimorso e la liberazione da un incubo, per Michele è fonte di odio incontenibile in quanto, preso dalla torbida brama dell’incesto che non può più sfogare, si vendica contro il cognato Pietro ingiuriandolo cornuto tutte le volte che lo incontra.
Pietro sopporta con pazienza, ma la sera del 17 aprile 1933, dopo l’ennesimo “cornuto”, reagisce saltando addosso a Michele e ne nasce una zuffa furibonda, terminata con il ferimento di Pietro. La cosa finisce in Tribunale con la condanna di Michele a 3 mesi di reclusione.
Guarito dalle ferite, Pietro prende Concetta e il figlio e si trasferisce a San Benedetto Ullano ma ivi, contratte relazioni con altra donna, scaccia la moglie che in un primo momento cerca rifugio presso uno zio materno, poi presso tal Domenico, dopo ancora presso la nonna del marito a Marano Marchesato e finalmente, sono ormai passati un paio di anni, torna a Castiglione ospite di sua nonna. Sembra essere la fine di un incubo, ma Michele non si è scordato di lei e tutto ricomincia esattamente da dove era stato interrotto.
La mattina dell’11 giugno 1935 Michele sta per andare a lavorare in Sila, dove dovrebbe restare qualche mese. Si accorge che una catena del suo carro è spezzata e va dal fabbro a farla sistemare, poi torna verso casa con la pesante catena sulle spalle. Quando passa davanti alla casa dove abita Concetta si ferma ed entra. Pochi minuti dopo echeggiano numerosi colpi di pistola. Le donne si affacciano alle finestre, gli uomini lasciano le zappe e corrono verso il luogo da cui sono partiti i colpi.
Concetta esce di casa e si mette a correre mentre sanguina abbondantemente e urla per chiedere aiuto. Michele esce a sua volta e si mette ad inseguirla con la pistola in mano e le grida:
– Ancora corri? – poi raccatta da terra un sasso e glielo tira contro, colpendola alle spalle. Concetta cade e Michele si gira andando verso casa sua, mentre tutti i presenti vedono la sua camicia cenciosa con due grosse macchie di sangue, una sul petto e una sull’addome, le due ferite riportate nella sparatoria.
Braccia caritatevoli raccolgono la ragazza, ferita da cinque pallottole, e la portano in casa della nonna.
Quando arrivano i Carabinieri la interrogano. Per interrogare Michele bisognerà aspettare perché è stato trasportato in ospedale per essere sottoposto ad intervento chirurgico. Racconta Concetta:
– Sono stata sparata con cinque colpi da mio cognato per non aver voluto aderire alla di lui richiesta di immediato congresso carnale… poi ha rivolto l’arma contro sé stesso sparandosene altri due… – non riesce a dire altro, tira un lungo respiro, fa una smorfia di dolore e muore
Michele viene interrogato nell’ospedale di Cosenza prima di entrare in sala operatoria:
– Stamane verso le 10,30, giunto nei pressi dell’abitazione di mia cognata, costei mi chiamò in casa sua per dirmi di avvertire mia moglie perché si sentiva male allo stomaco e che aveva bisogno delle cure della sorella. Promisi che gliela avrei mandata e, mentre stavo per alzarmi dalla sedia ove mi ero seduto, udii diversi colpi di pistola, due dei quali mi attinsero. Vidi che m’avea sparato mia cognata… appena uscito di casa udii altri colpi, ma ignoro chi abbia ucciso mia cognata…
– Avevate una relazione carnale con lei?
– Nego di avere mai avuto rapporti intimi con mia cognata…
Due versioni diametralmente opposte, ma quella di Michele sembra davvero inverosimile per cui, dopo il risveglio dall’anestesia, viene nuovamente interrogato. Niente di nuovo, ripete per filo e per segno la sua versione.
Dopo un paio di giorni gli inquirenti tornano all’assalto e lo interrogano per la terza volta:
– Si, sono sempre stato in relazioni carnali con mia cognata fino a quando non si sposò. Per due anni non ci siamo visti, essendo ella andata ad abitare a San Benedetto, ma nel maggio scorso, essendo elle tornata in Castiglione perché scacciata dal marito, riprendemmo le relazioni se non che, dovendomi recare in Sila ed avendo avuto bisogno di far riparare una catena del carro, al ritorno dall’officina, passando con la catena sulle spalle davanti la porta di Concetta, fui da costei chiamato. Entrai e mi sedetti. Immediatamente lei mi dichiarò di sentirsi male, precisamente come se avesse una pazzia in testa e che si sarebbe buttata nel pozzo di Filomena, onde io, scherzando, le risposi che poteva approfittare di un pozzo più vicino, ma ella, dicendo che le tremavano le braccia e facendo due passi indietro, mi sparò due colpi, giusto nel momento che io mi ero piegato per alzarmi la calza destra. Sentendomi ferito, le tirai la catena sulla faccia e, afferratala, la disarmai e le sparai gli altri cinque colpi che conteneva la pistola.
– La pistola di chi era?
– Era mia, ma Concetta se ne era dovuta impossessare, frequentando la mia casa…
– Volevi costringerla a congiungersi carnalmente con te?
– No, Concetta mi si era sempre conceduta ben volentieri, volendomi molto bene…
Ancora non ci siamo, anche se adesso c’è l’ammissione di aver sparato i cinque colpi contro Concetta.
Però, man mano che le indagini vanno avanti e arrivano i risultati delle perizie ordinate dalla Procura, la versione di Michele comincia ad apparire come la più verosimile. I motivi? Eccoli:
A: Concetta Urso, fino a due giorni prima del fatto, era nella maggiore confidenza con il cognato, al segno che se ne andarono soli a Cosenza per conferire con l’avvocato in merito alla intentata azione di divisione personale, onde non è credibile ch’ella – di cui erano note le relazioni intime col cognato – rifiutasse di congiungerglisi, determinando in lui la collera omicida.
B: Nella casa dove è avvenuto l’omicidio, dove oltre a Concetta era sempre presente la nonna, per questo motivo non sarebbe stato possibile consumare il coito, senza dimenticare che l’unica stanza di cui si compone la casa è divisa dall’abitazione accanto da un tramezzo esilissimo e da una porta interna tutta bucherellata, onde non è concepibile che Michele Conforti pretendesse congiungersi in quel luogo.
C: È certo che le detonazioni furono prima due e dopo un intervallo altre cinque, il che dà credito alle affermazioni del Conforti che pretende di essere stato sparato due volte, prima che gli si sparasse.
D: La pistola era da più giorni in possesso di Concetta Urso e non di Michele Conforti, come assicurano alcuni testimoni, onde non è possibile che il Conforti potesse farne uso per il primo, mentre è ben possibile che dopo essere stato sparato disarmasse l’avversaria e sparasse a sua volta.
E: Le perizie, anatomica e balistica, hanno escluso che Michele Conforti possa essersi sparato da solo e quindi la versione fornita da Concetta prima di morire non è attendibile. D’altra parte è assai ostico pensare che il Conforti, per simulare di essere stato sparato, si fosse sparato al petto ed alla pancia.
F: Concetta, sentendosi abbandonata da Michele Conforti il quale, sotto la scusa del lavoro, emigrava per più mesi in Sila, avea un motivo per odiarlo, senza dire che ella poteva sperare, come le si era fatto credere dal marito, che compiendo l’attentato contro l’amante, avrebbe ricuperato l’onore e con questo la stima del marito, talché è intuibile che fu essa a sparare, come, peraltro, nei momenti di sconforto avea più volte promesso di fare.
G: L’unica testimone presente al fatto, cioè la nonna di Concetta, dopo avere, in un primo momento, riferito che a sparare fu Michele poiché Concetta non volle accontentarlo e che egli si ferì nella colluttazione, in un secondo tempo ha recisamente smentito di avere in tal senso deposto.
Il Giudice Istruttore, pur riconoscendo che a sparare per prima fu Concetta con la pistola che aveva trafugato a Michele Conforti e che poi fu disarmata e uccisa, nega che possa essersi trattato di legittima difesa, avendo dato causa con le sue petulanti richieste di congiunzione carnale all’aggressione della Urso. Quindi, il 19 settembre 1935, rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio con l’aggravante del motivo abietto e di porto abusivo di pistola.
Il 17 dicembre 1935 si tiene il dibattimento, durante il quale la Corte esprime un severo giudizio sull’operato del Giudice Istruttore, negando subito che Conforti sia responsabile del porto abusivo di pistola perché – come lo stesso Giudice Istruttore ebbe a riconoscere nella sentenza di rinvio a giudizio – non fu lui a trasportarla o a consentire che venisse trasportata al di fuori della propria abitazione, ma fu Concetta Urso che gliela tolse furtivamente. Poi, per quanto riguarda l’omicidio, la Corte ritiene che non può essere mantenuta l’aggravante del futile motivo per insussistenza di esso in quanto il prevenuto sparò per essere stato sparato e quindi è ovvio ch’egli ha agito in reazione all’attentato in suo danno, onde il motivo che l’ha trascinato a delinquere è tutt’altro che futile, esso è addirittura serissimo e travolgente; ed è stato grave errore del Giudice Istruttore risalire alla causa della causa per affermare la futilità del motivo. Il Giudice Istruttore ha creduto che, poiché il delitto, per una serie di effetti e cause, mette capo ad un fatto di incestuosa concupiscenza del prevenuto a cui la vittima ha dovuto reagire, il che sarebbe l’ultimo anello della catena, rimane per ciò stesso inficiato dal vizio originario. Ma, continua la Corte, dovendosi giudicare del motivo di un fatto, devesi pigliare per base del giudizio la causa prossima, che è la sola legata al fatto e che lo ha determinato, non già la remota, con la quale il fatto ha semplice relazione, ma non dipendenza. Senza dubbio, se il prevenuto avesse sparato la vittima per vincerne la resistenza, il suo atto avrebbe avuto la gravità del futile motivo ma, avendo sparato per vendicare l’attentato, il motivo, sebbene non possa essere legittimo, è tuttavia assai grave.
Non esiste, secondo la Corte, nemmeno la legittima difesa addotta dall’imputato perché, una volta che riuscì a disarmare Concetta Urso, non aveva più nulla da temere, venendo meno l’occasione e la necessità di difendersi anche perché la povera Urso, rimasta stordita dal colpo di catena che Michele Conforti ebbe a vibrarle prima di disarmarla, non poteva più nuocere. Piuttosto bisogna riconoscere che Conforti sparò solo per sfogo di vendetta, per brama di punire, a tanto trascinato dall’ira e dal dolore, il che gli concilia la relativa diminuente.
Modificato il titolo del reato in omicidio volontario e riconosciuta la responsabilità dell’imputato, non resta che determinare la pena: considerato che i precedenti dell’imputato e le modalità del fatto consigliano di applicare il minimo della pena e cioè 21 anni di reclusione e dare alla diminuente la massima estensione di 1/3, la pena va ridotta ad anni 14 di reclusione, più pene accessorie.
Sul frontespizio della sentenza sono presenti due annotazioni.
La prima, con data 5 agosto 1936, dice: Rilasciata copia alla R. Pretura di Cosenza per grazia.
La seconda, con data 14 agosto 1936, dice: Rilasciate due copie alla R. Procura di Cosenza per l’assegnazione. [1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.
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