– Brigadiè correte! A via Monticella… la casa di Beniamino Granata… gesugiuseppemaria – grida in coro un gruppo di uomini e donne correndo incontro alla pattuglia dei Carabinieri – una cosa orrenda…
– Cosa è successo? Calmatevi! – il Brigadiere Angelo Pellegrini cerca di calmare l’agitazione del gruppo.
– Un barbaro omicidio!
Sono le 9,30 del 5 febbraio 1896 e a Mongrassano piove.
Nell’accorrere prontamente sul luogo del misfatto, Pellegrini e il Carabiniere Angelo Maggi incontrano un altro gruppo di persone che circonda un uomo molto più alto della media, impedendogli di muoversi.
– È stato lui… lo abbiamo già arrestato… – dice il quarantacinquenne Giovanni Villella al Brigadiere mentre, tirando per un braccio Beniamino Granata, glielo affida.
– Sei stato tu? – gli chiede il Brigadiere.
– Si, pochi minuti fa ho ucciso Francesca Angotti…
Addosso, durante la perquisizione, gli trovano un affilato coltello a manico fisso con foderino a puntale di ottone, con lama lunga centimetri 25, ad un sol taglio. Granata viene portato in camera di sicurezza e il Brigadiere si precipita sul luogo del delitto per cominciare le indagini.
Stesa sul pavimento c’è la quarantenne Francesca Angotti, che ha appena un fil di vita. Ha due ferite: una da arma da fuoco, certamente una pistola, sulla regione sottoscapolare destra; l’altra è una larga lesione prodotta da scure sulla regione scapolare destra. Aiutati dai curiosi, subito accorsi sul posto, ed assistiti dal medico e Sindaco del luogo, i Carabinieri trasportano la morente a casa sua, onde poterla medicare e farle qualche domanda, alla quale risponde a stento:
– Se io mi recai in casa di Granata, vi andiedi perché la moglie di costui, con la quale io ero amica, mi aveva fatta chiamare per dirmi un’ambasciata da certo Oreste Licursi… appena giunta a casa sua fui aggredita dal marito che tenevasi nascosto sul tavolato… non v’è dubbio che anche la moglie era complice…
Poi muore.
Pellegrini allora corre a casa dei Granata e arresta la venticinquenne moglie di Beniamino, Maria Sarro.
– L’ho mandata a chiamare a mio nome per ordine di mio marito che voleva ucciderla – confessa la donna al Brigadiere, costretto a distogliere lo sguardo da quegli occhi bianchi incastonati in una massa di capelli biondi.
Questa dichiarazione cambia la prospettiva dalla quale guardare il delitto: omicidio premeditato.
– Ne ebbi ben donde – racconta Beniamino per spiegare il motivo di ciò che ha fatto – poiché otto o dieci giorni fa Francesca trasse con lusinghe nella casa di lei mia moglie e lì, chiudendo la porta d’ingresso, la fece a forza soggiacere a violenza carnale con un individuo che non conosco. E tal fatto produsse la triste conseguenza di arrecare all’abusata mia moglie una cotaggione sifilitica che, per il contatto maritale, venne comunicata anche a me… non arrestandosi a questo, ieri si recò nuovamente a casa mia per condurre seco la povera mia moglie per sottoporla, chissà, ad una seconda violenza ed io, sentendo le eccitazioni di lei, preso da giusto sdegno per il guaio che aveva cagionato a me ed a mia moglie, scesi dal soffitto ove ero andato a prendere della legna da bruciare e dato di piglio ad una scure, ne infersi un colpo a Francesca e poiché la vidi che fuggiva, posi mano ad una vecchia pistola e gliela scaricai addosso e così cadde a terra…
– Tua moglie ha detto cose diverse, ha detto che tu le ordinasti di mandarla a chiamare perché avevi intenzione di uccidere Francesca Angotti… e pure questa, prima di morire ha detto la stessa cosa.
– In questo fatto mia moglie non ebbe nessuna parte e l’Angotti venne in casa mia da sé spontaneamente per adescare mia moglie dicendole che l’avrebbe fatto buscare una cosa, alle quali eccitazioni mia moglie rispose come aveva avuto il coraggio di venire in casa nostra e farle di quelle proposte, dopo che le aveva procurato quel guaio serio che teneva addosso… sono state proprio le moine tese da quella donna a mia moglie che mi accesero di un’ira irrefrenabile e mi spinsero ad ucciderla!
Sentita nuovamente, Maria Sarro cambia versione:
– Martedì 28 gennaio, con lusinghe di cui io non potetti sospettare, mi trassi in casa di Francesca e come fui lì dentro mi fè soggiacere con violenza a congiunzione carnale con un carabiniere, che ignoro a quale stazione apparteneva, e così mi fu occasione di contrarre una infezione venerea che poi, naturalmente, comunicai a mio marito.
– Quindi fu questo il motivo per cui tuo marito ti ordinò di mandare a chiamare Francesca Angotti?
– Francesca tornò in casa mia perché chiamatavi da Oreste Licursi per incarico datogli da mio marito…
– Ah! Quindi non sei stata tu a mandarla a chiamare… prima hai detto il contrario…
Oreste Licursi, chiamato in causa da Maria Sarro, ha 17 anni e fa il calzolaio. Magari interrogandolo si riuscirà a capire qualcosa in più:
– Ieri mattina, a richiesta di Maria Sarro, lasciando il lavoro nella mia bottega, andai a chiamare Francesca Angotti invitandola ad andare in casa di lei, cioè di Maria. Ubbidì subito, ma come giunse ivi ha dovuto essere aggredita da chi l’uccise, senza molta perdita di tempo perché io, dopo pochi istanti, intesi un colpo di arma da fuoco e, recatomi sul luogo, trovai Francesca dentro la casa dei Granata e, mentre Maria la teneva per le trecce del capo, Beniamino la colpiva con una scure. A quella vista io, atterrito, me ne fuggii e andai verso la caserma per avvertirvi…
Una ricostruzione che smentisce clamorosamente le dichiarazioni dei coniugi Granata e che getta nuovi interrogativi sia sulla attiva partecipazione di Maria Sarro al delitto, sia sul movente. Il Brigadiere Pellegrini comincia ad indagare a fondo su Maria Sarro e vengono fuori delle cose che, se confermate, potrebbero risultare molto interessanti ai fini dell’individuazione del movente dell’omicidio. Qualcuno, infatti, dice di sapere che Maria Sarro e Francesca Angotti tenevano relazione illecita con certo Gianvito Morelli da Noci di Bari, di anni 68, e, venute a gelosia fra loro, la Sarro, per disfarsi della rivale e forse anche del marito, godendo sola dei favori di Morelli, ha potuto istigare il marito stesso a sopprimere Francesca Angotti. Ad aggravare questi sospetti c’è il fatto certo che Morelli la notte prima dell’omicidio ha dormito con Francesca Angotti. Andatosene poi il mattino, poco prima del misfatto avrebbe avuto un abboccamento con Maria Sarro e le avrebbe regalato due lire in cartamoneta. Poi, essendo sopraggiunto Beniamino, pare che fosse incominciato tra i due un diverbio per il denaro che Maria voleva far credere fosse destinato a Francesca Angotti.
Però conferme vere e proprie a queste voci non ce ne sono. Ci sono, al contrario, molti testimoni che fanno mettere a verbale di essere certi dell’onestà morale di Maria Sarro da un lato e della immoralità di Francesca Angotti dall’altro.
Tutto questo non scoraggia il Brigadiere Pellegrini il quale, chiamato in qualità di testimone dal Pretore del Mandamento di Rose, competente per territorio, dice:
– Mi convinsi che Francesca Angotti e Maria Sarro vivevano già precedentemente in gelosia e ciò per la cattiva condotta morale di entrambe…
Solo una convinzione personale non confermata dalle indagini. Molto pericoloso.
D’altra parte è innegabile che Beniamino Granata sia l’autore dell’omicidio e che sua moglie, Maria Sarro, inchiodata dalla testimonianza di Oreste Licursi, lo abbia aiutato a commetterlo.
Trasmessi gli atti alla Procura del re di Cosenza, il Pubblico Ministero, ritenendo che l’istruttoria può essere chiusa, arriva alle stesse conclusioni del Brigadiere Pellegrini, riguardo al movente dell’omicidio: “da alcuni si riteneva che Maria Sarro era divenuta l’amante dello stesso uomo con cui aveva pure relazioni illecite Francesca Angotti. Vuolsi che nel giorno 5 febbraio 1896 un diverbio abbia avuto luogo fra l’Angotti e la Sarro la quale, unitamente al marito, deliberò di disfarsi della prima”.
Arrivati gli atti alla Procura Generale di Catanzaro, nella requisitoria per il rinvio a giudizio dei coniugi Granata-Sarro, i Magistrati non fanno alcun accenno alla storia dell’amante in comune fra le due donne, sostenendo, al contrario, la versione fornita da Beniamino Granata al momento del suo arresto: “l’imputato, entrato in sospetto che certa Francesca Angotti la facesse da ruffiana alla moglie sua, per costei mezzo fece invitare l’Angotti a portarsi in casa sua”.
Tra le due impostazione ci sono, però, dei punti di convergenza: 1) il delitto non fu premeditato perché non potrebbe escludersi la ipotesi che la risoluzione a uccidere fosse stata istantanea e non conseguenza di un disegno precedentemente formato e meditato; 2) appare che la Sarro fosse concorsa nel delitto e ne avesse facilitato la esecuzione e cooperato alla immane strage tenendo per i capelli la infelice quando il marito la colpiva con la scure.
Non resta da aspettare la sentenza della Sezione d’Accusa per conoscere le motivazioni degli eventuali rinvii a giudizio.
E qui apprendiamo un terzo punto di vista, riguardo al movente: “in Mongrassano Beniamino Granata venne a sapere che Francesca Angotti, donna di corrotti costumi, aveva indotta la moglie di lui, Maria Sarro, ad avere carnali relazioni ora con una, ora con altra persona, in modo da rimanere infetta da Lue sifilitica che poscia contagiò ad esso marito. Nel giorno 5 febbraio 1896 costui disse alla moglie di far venire in casa sua l’Angotti”.
Per la Sezione d’Accusa entrambi gli imputati devono essere rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere dei reati loro ascritti: Omicidio volontario per Beniamino Granata e concorso in omicidio volontario per Maria Sarro. È il primo maggio 1896.
La prima udienza del dibattimento è fissata dopo due mesi esatti: 1 luglio 1896, mercoledì. Dopo due giorni la Giuria emette i verdetti:
Beniamino Granata viene condannato, con la concessione dell’attenuante della provocazione grave, a 10 anni e 8 mesi di reclusione.
Maria Sarro viene assolta e immediatamente scarcerata.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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