L’IMPETO DELLE PASSIONI

– Marì… ohi mamma! Senti che mi è successo oggi – dice Rosina Imbrogno, 18 anni, da Contrada Marchese Casello in territorio di San Pietro in Guarano, a sua sorella Maria, che di anni ne ha 15 – mi ha incontrata Luigi Paese e mi ha detto: “Tu devi sposare mio fratello ed io sposerò tua sorella”… hai capito che si è messo in testa?

– Stai tranquilla che se lo dice a me glielo faccio vedere io il matrimonio! – Maria, nonostante sia uno scricciolo di un metro e quaranta, ha un carattere molto forte.

Infatti non ci pensa due volte a dire al ventenne Luigi Paese che quella idea se la può togliere dalla testa perché lei non lo sposerà mai. Il ragazzo sembra prenderla bene, ma poi un giorno che si trovano insieme a lavorare, ridendo e indicando un profondo burrone, le dice:

Tu dici che non mi vuoi ed io o ti ammazzo o ti getterò per questa timpa.

Cose da ragazzi. Forse.

Poco dopo mezzogiorno del 10 novembre 1895, domenica, Maria, con la brocca in testa ed un orciuolo sotto il braccio, va alla fontana a prendere l’acqua da bere.

La contrada ove ci troviamo consiste in una vallata cinta da colline da ogni parte, meno dal mezzogiorno ove scorgesi un breve tratto aperto pel quale scorre il fiume Corno. Alla distanza di quattro metri circa dal fiume, verso l’estremità di tale vallata, tra grossi macigni, incavata nel terreno, c’è la fontana che viene denominata Fontana Giardino, nella quale vanno ad attingere acqua tutti coloro che abitano sulle colline circostanti. Circa 200 metri più in basso sorge un mulino di proprietà del Marchese Casello, gestito da un tal Barbuscio.

Maria, per arrivare alla fontana deve percorrere un viottolo tortuosissimo della lunghezza di più di un paio di chilometri. Fa freddo e in giro non c’è anima viva.

Sono circa le 14,00 e Edgardo Iusi, Tommaso Imbrogno e Federico Pezzati stanno tornando dalla stazione di Rende dove hanno accompagnato il fratello di Edgardo che sta partendo per l’America. Risalgono il corso del fiume Corno quando sentono la detonazione di un’arma da fuoco, certamente proveniente dalla zona dove c’è la fontana Giardino. Proseguendo il cammino, nei pressi del mulino del marchese Casello, incontrano Luigi Paese, armato di un fucile a due colpi, tutto sbigottito e col viso scolorito, che corre precipitosamente dirigendosi verso il fiume Crati.

Edgardo lo ferma afferrandolo per un braccio, ma Luigi, subito svincolandosi, dice:

Lasciatemi andare!

Dove vai così arrabbiato e correndo? – gli chiede Edgardo.

Lasciatemi andare che vado all’isca per ammazzare qualche uccello, che poi si fa tardi – risponde continuando a correre.

Da quando Maria è uscita per andare alla fontana sono passate almeno tre ore e non è ancora tornata. Domenico, suo padre, è preoccupato e, temendo che possa essere caduta facendosi male, decide di andare a cercarla. Lungo il tortuosissimo sentiero non c’è e Domenico arriva fino alla fontana.

Maria è lì che si lamenta, distesa a terra in un lago di sangue.

– Che è successo? – le chiede.

– Luigi… Luigi Paese mi ha sparato… una fucilata – poi sviene.

La prende in braccio e correndo lungo scorciatoie più temibili del normale sentiero, urlando come un pazzo, la porta a casa, ma è evidente che per la ragazza non c’è speranza.

I Carabinieri arrivano quasi subito e la trovano paralizzata dalla testa in giù, ma cosciente e in grado di raccontare, seppure a stento, quello che è successo:

– Alla fontana è arrivato Luigi e mi interrogava se volevo o meno amoreggiare con lui… in sulle prime gli detti risposta negativa… ma avendo visto che mi minacciava col fucile, gli risposi affermativamente… a ciò Luigi tentò di deflorarmi mettendomi una mano alla bocca e l’altra sotto le gonnelle… ma io mi opposi e Luigi, dato di piglio al fucile, mi ha sparato

Poi perde di nuovo conoscenza e dopo pochi minuti muore. Ai Carabinieri non resta, prima di avvisare il Pretore, che ispezionare esternamente il cadavere: sul torace sinistro e propriamente in corrispondenza dell’ascellare anteriore una ferita circolare di circa tre centimetri di diametro, tutta annerita, con bordi rientranti verso la cavità toracica.

Il sospetto è che possa essere stata violentata, magari dopo essere stata ferita e in stato di incoscienza, ma di questo se ne occuperanno i periti.

Intanto i genitori di Maria dicono di non aver mai saputo che Luigi Paese le avea fatto proposte di amoreggiare con lei, né di essersi accorti di tale sua idea. Possibile? La cosa sembra alquanto strana perché le case degli Imbrogno e dei Paese sono praticamente una di fronte all’altra e soprattutto perché Luigi ne parlava pubblicamente.

Poi arrivano i tanto attesi risultati dell’autopsia:

Esaminato l’apparato sessuale, l’imene, di forma semi-lunare, non presenta alcuna traccia di traumatismo infertogli, analogamente alle grandi e piccole labbra le quali sono del tutto allo stato fisiologico. Non ci fu violenza, almeno questo strazio è stato evitato.

Tra tutti i macabri particolari presenti nel referto ce n’è uno che potrebbe far capire la dinamica del fatto: il colpo fu sparato dall’alto in basso e da sinistra a destra. Ciò significa che, considerata la esigua statura di Maria, chi le ha sparato lo ha fatto stando in piedi di fianco a lei sul lato sinistro.

Ci sono molte questioni che bisogna risolvere, ma la principale è che il presunto assassino è sparito e le ricerche vengono estese a tutti i comuni circostanti, compreso il capoluogo di Provincia. Dopo un paio di settimane di latitanza, Luigi Paese si costituisce nell’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Cosenza e racconta come sarebbero andate le cose:

Da tempo nutrivo dell’affetto per Maria Imbrogno ed ebbi a manifestarlo in più rincontri alla stessa, dicendole che la volevo per isposa, ma essa si mostrò in certo modo restia perché, forse, sapeva che i genitori suoi sarebbero stati contrari. Il 10 di questo mese io ero uscito da casa col fucile allo scopo di fare un po’ di caccia. Avvicinatomi alla fontana Giardino vi trovai Maria che attingeva acqua. Profittando dell’occasione, le manifestai ancora una volta la mia intenzione di volerla per isposa ma essa, non volendo punto sentirne parlare, mi respinse e forse temendo che io volevo farle del male afferrò la canna del fucile che io tenevo sotto il braccio destro con la bocca verso terra. Al movimento che essa fece, il fucile esplose ed il colpo andò a ferirla da farla cadere a terra. Vedendo ciò, spaventato, mi posi in fuga e sono rimasto in latitanza… respingo quindi la imputazione di avere ucciso volontariamente Maria, essendo stato il fatto del tutto involontario – è evidente, visti i risultati dell’autopsia, che le cose non possono essere andate così perché il colpo sarebbe partito dal basso verso l’alto e non, come è certo, dall’alto verso il basso.

– Hai cercato di stuprarla… le hai messo una mano sulla bocca e le hai alzato la gonna, lei si è opposta e tu le hai sparato a bruciapelo… confessa che è andata così!

Non è vero!

– L’hai anche minacciata davanti a sua sorella… le hai detto che o l’avresti ammazzata o l’avresti buttata nel burrone…

Non è vero!

– Va bene, diciamo che è stata una disgrazia. Spiegaci per quale ragione sei rimasto latitante per 16 giorni.

Io sono stato a lavorare in una torre presso Montalto ove non v’era alcuno ed appena ho conosciuto che i Carabinieri andavano in cerca di me mi sono costituito e tanto non avrei praticato se volontariamente avessi  ucciso Maria

Se non è un puerile stratagemma difensivo, è un comportamento cinicamente aberrante.

Ma ora per la Procura è tempo di chiudere l’istruttoria e formulare la richiesta di rinvio a giudizio di Luigi Paese con l’accusa di tentata congiunzione carnale e di omicidio volontario. È il 17 gennaio 1896.

Tre settimane dopo la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta e rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.

L’11 aprile successivo si apre il dibattimento che,  per la natura dei fatti da trattarsi, si terrà a porta chiuse.

Dopo sei ore di udienza, dall’escussione dei testimoni non emerge nessuna novità. La battaglia è tutta tra il Pubblico Ministero, che chiede un verdetto di colpevolezza per entrambi i capi di imputazione, e l’avvocato Nicola Serra, difensore di Luigi Paese, il quale sostiene che non ci fu la tentata congiunzione carnale voluta dall’accusa, ma che Paese deve rispondere soltanto di omicidio con la scusante del vizio parziale di mente e fa istanza affinché questa circostanza sia inserita tra le domande da porre alla giuria.

La replica del Pubblico Ministero non si fa attendere: l’accusato Paese commise l’omicidio a cagione della resistenza opposta da Maria Imbrogno con la quale voleva congiungersi carnalmente, quindi non ci sono i presupposti per affrontare la questione della seminfermità mentale. La richiesta della difesa viene respinta.

Non posso lasciare i giurati sotto la impressione della replica del Pubblico Ministero rinunziando al mio diritto di avere per ultimo la parola – protesta Serra –. Mi meraviglio dolorosamente che si voglia, in questa causa, annientare dalle basi la funzione difensiva dal momento che la sola scusante che si è sostenuta dalla difesa si toglie via dalle quistioni da proporsi ai giurati. Tanto più che la difesa non ha sostenuto, né sostiene, in questa causa la infermità totale di mente e si limita al vizio parziale appoggiandosi alle condizioni transitorie di parziale infermità mentale in cui versava l’imputato nell’atto in cui commise il fatto. Qualunque sia la causa che abbia prodotto questo stato reale e patologico di mente, si ha pure la passione d’amore contrastata.

Dopo un quarto d’ora di Camera di Consiglio, il Presidente si esprime in merito:

Nella deficienza od alterazione morbosa delle facoltà mentali si comprende ogni e qualunque forma patologica mentale permanente e accidentale, ma sempre derivante da morbo, non già da umana passione, cui non è dato effetto dirimente o scusante. In altri termini non versa in infermità di mente, dalla legge contemplata, chi si lascia trasportare dall’impeto delle passioni che, qualora cagionassero una perturbazione di animo, possono essere soltanto una causa passante nei limiti della provocazione, ovvero semplicemente un’attenuante. Quindi la relativa quistione non può proporsi ai giurati.

Il 12 aprile 1896 la Corte ritiene l’imputato colpevole dei reati per cui è a processo e lo condanna a 25 anni di reclusione, più pene accessorie.

Il 3 giugno successivo la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto dall’imputato.[1]


[1] ASCS, Processi Penali.

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