‘U CISTARU

Il dottor Alfonso Mazzuca è ancora sotto l’effetto di quel sonno estivo pomeridiano che ti dà l’impressione di essere vigile, ma che non ti dà la forza di muovere un muscolo che sia uno, quando, verso le 16,30 del 3 luglio 1907, la sua serva lo va a chiamare perché c’è una visita urgente da fare.

Appena apre la porta del suo studio di Mangone, Mazzuca crede di essere in preda ad un incubo perché la scena che gli si presenta davanti agli occhi è terrificante: una donna anziana con la faccia praticamente aperta in due gronda sangue e si dispera lanciando maledizioni:

Una gravissima lesione provocata da arma da taglio che, scendendo dalla regione temporo-frontale, spaccando il naso quasi a metà, arriva fino al labbro superiore. Detta ferita interessa non solo i tessuti molli, ma anche il tessuto osseo all’angolo dell’occhio destro, comunicando con la cavità boccale. Un’altra della medesima gravità e della lunghezza di circa sei centimetri trovasi alla regione parieto-occipitale di destra. Detta lesione, provocata da arma da taglio, interessa i tessuti molli ed il tessuto osseo.

Confortato dall’assenza di sintomi che possano far pensare a complicazioni neurologiche, il medico decide di non approfondire l’esame delle ferite, ma di dedicarsi immediatamente alla loro sutura e interrompere, così, l’abbondante emorragia. Per sicurezza, comunque, si riserva la prognosi perché le complicazioni cerebrali potrebbero presentarsi da un momento all’altro.

Tutto ciò viene messo nero su bianco e inviato al Pretore di Rogliano, competente per territorio.

La donna viene identificata per la sessantaquattrenne contadina Gaetana Salfi. Il Pretore la va a trovare a casa e la donna, a stento, racconta

Oggi dopo mezzogiorno, avendo visto che Mastro Pasquale Adami ‘U Seggiaru l’aveva con un mio nipotino a nome Giovanni, io mi intromisi fra i due ed allora ‘U Seggiaru, con una mannaia mi colpì producendomi queste ferite

Un po’ poco, ma accanto a Gaetana c’è una donna che dice di avere assistito alla scena, così, mentre i Carabinieri vanno a cercare Mastro Pasquale Adami, la testimone ricostruisce i fatti

Abito in una stanza contigua a quella di Gaetana Salfi – racconta Agata Deni –. Oggi, un’ora circa dopo mezzogiorno, è ritornata da Cosenza e volendo accendere il fuoco disse a suo nipote Giovanni di andare a pigliare delle pampuglie nella bottega di Mastro Pasquale, il quale lavora nel basso sottostante alla nostra casa. Il ragazzo, quasi immediatamente, ritornò senza pampuglie e, tutto impaurito, la disse che ‘U Seggiaru lo aveva sgridato. Gaetana, nel sentir ciò, si dispiacque e disse: “Ora vado a dirgliele io due parole!”. Io la seguii perché dovevo andare a buttare in mezzo alla strada delle immondizie. Gaetana, giunta vicino alla porta della bottega di Mastro Pasquale, gli disse in tono non irato ma lamentevole: “Mastro Pasquale che ci ài fatto a mio nipote che me lo hai fatto venire tutto impaurito?”. ‘U Seggiaru non rispose ed io, per evitare che Gaetana continuasse a parlare, la presi per un braccio e la spingevo per farla ritornare in casa. Però, mentre stavamo per salire le scale, vidi venire contro di noi Mastro Pasquale con in mano la mannaia del suo mestiere. Giunto presso Gaetana, senza dir nulla, la colpì con la mannaia alla testa per due volte e scappò via. Gaetana stramazzò ai miei piedi e allora cominciai a gridare chiamando gente

– Siete sicura che la Salfi non ha pronunciato offese nei confronti di Adami?

– Sicura!

– Vi siete accorta se era ubriaco?

Non so se fosse ubriaco, ma in paese è ritenuto per persona che non ha la testa tanto a posto

I Carabinieri perquisiscono la bottega di Mastro Pasquale e trovano l’arma usata che non è una mannaia come quella che usano i macellai, ma una sorta di coltellaccio che, comunque, appare come un’arma micidiale.

Purtroppo le condizioni di Gaetana si aggravano e il dottor Mazzuca, tornato a visitarla giorno 8 luglio, ne raccoglie l’ultimo respiro. Meningo-encefalite traumatica, conseguenza diretta dei colpi ricevuti.

Adesso non si tratta più di lesioni gravissime, ma di omicidio. Mastro Pasquale, però, è sempre uccel di bosco.

Sono le 21,00 del 28 luglio 1907. La finestre della caserma dei Carabinieri di Aprigliano sono aperte per far entrare il venticello fresco che si è appena alzato, quando qualcuno bussa alla porta. Il piantone apre e si trova davanti un uomo molto trasandato, viso scarno, naso schiacciato, colorito bruno, capelli e baffi brizzolati.

– Sono Pasquale Adami… mi stavate cercando…

La notte la passa in camera di sicurezza, ma la mattina seguente viene trasferito nel carcere di Rogliano, dove il Pretore ascolta la sua versione dei fatti. Intanto gli fa vedere l’arma sequestrata e l’imputato conferma subito che è quella usata da lui. Poi racconta

Fui costretto a commettere tanto per difendermi perché diversamente ella avrebbe portato ad effetto tutte le continue minacce che mi faceva. Ella e quelli di sua famiglia mi hanno sempre derubato dei cesti che io confezionavo e sempre li avevo perdonati. Quel giorno io sgridavo una nipotina di Gaetana, a nome Teresina, perché costei il giorno prima aveva rubato una cesta. Sopraggiunse il fratellino di lei, a nome Giovanni, e mi rimproverò che io sgridavo sua sorella. Allora me la pigliai anche con lui perché egli, in questo inverno, mi aveva rubato dei soldi. Sentendo ciò, accorse Gaetana, la quale mi aggredì a parole come una furia, minacciandomi, fra l’altro, che mi avrebbe sbranato. Temendo che ella avesse portato ad effetto le sue minacce, col coltello del mio mestiere di cestaio la colpii… non avevo intenzione di ammazzarla, ma in quel momento non ebbi la coscienza di quello che facevo

Considerando che una persona indagata ha il diritto anche di mentire per difendersi, sembra esserci abbastanza differenza tra la ricostruzione fatta da Mastro Pasquale e quella fatta dalla vicina di casa. Che fine ha fatto la bambina Teresina? Sono vere le minacce di cui parla l’imputato?

– Oggi, avendo mia nonna Gaetana portato da Cosenza dei zucchettini che voleva cucinare, per accendere il fuoco mi mandò nella bottega di Mastro Pasquale – racconta Teresina Serravalle – per farmi dare da costui delle reglie per accendere il fuoco. Adempii all’incarico ma non appena chieste le reglie a Mastro Pasquale, costui prese un bastone e corse per percuotermi, ma io fuggii. Dopo vi andò per lo stesso scopo mio fratello Giovanni ed ebbe la stessa accoglienza, anzi gli lanciò contro un coltello. Raccontammo tutto a mia nonna che scese nella bottega

Ancora non ci siamo. Forse il piccolo Giovanni dirà qualcosa di meglio

Mia nonna mi mandò da Mastro Pasquale a prendere delle reglie per accendere il fuoco. Lui, non solo non volle darmene, ma per giunta mi lanciò contro la mannaia colla quale stava lavorando e non mi colpì perché io me la diedi a gambe

Di minacce rivolte a Mastro Pasquale non ne sa niente nessuno, ma molti accennano al fatto che non sembra essere sano di mente perché è solito andare in giro per il paese gridando come un matto, seguito da un codazzo di fanciulli e specialmente quando ha in corpo un bicchiere di vino.

Per la Procura Generale del re non ci sono dubbi: Mastro Pasquale Adami è sano di mente e deve essere sottoposto al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere del reato di lesioni personali seguite da morte. È l’11 settembre 1907.

Un mese dopo la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta della Procura e resta solo da fissare la data del dibattimento.

9 giugno 1908, ore 10,00. Tutto è pronto per iniziare

Interrogato, Mastro Pasquale conferma la sua versione dei fatti e aggiunge

Mi vidi costretto a ferirla perché un giorno o l’altro mi avrebbe sbranato e la sola vergogna che una donna avrebbe battuto un uomo, mi faceva montare in bestia. Di più, quel giorno in cui Gaetana venne nella mia bottega, mi chiamò “pazzo”

– Siete dedito al vino? – gli chiede il Presidente della Corte

Bevo regolarmente il vino, ma senza eccedere

– Pare che quando andavate in giro per il paese, i ragazzini vi venivano dietro a frotte prendendosi beffe di voi…

Non è vero che i ragazzi mi beffeggiano e io non beffeggio alcuno

– Avete mai subito colpi alla testa? – gli fa, all’improvviso, il Presidente e Mastro Pasquale risponde prontamente

Fui ferito con un colpo di bastone in testa in Algeria nel 1885 e guarii dopo due o tre giorni

Da tutta una serie di domande, emerge chiara l’ossessione di Mastro Pasquale di essere derubato. Tutto ciò avviene sotto lo sguardo attento di medici alienisti che studiano il comportamento in aula dell’imputato e, finite tutte le deposizioni, dichiarano

Parrebbe che l’Adami non sia un individuo normale – dichiara il perito della difesa, dottor Marino – ma non ho alcun dato scientifico per determinare coscienziosamente lo stato mentale. Chiedo un congruo termine perché possa presentare relazione di perizia.

Dall’interrogatorio e dagli esami testimoniali risulta che l’imputato è un uomo impulsivo e che ha esagerato il sentimento della sua dignità. Se ciò è difetto di carattere o è espressione morbosa di alterazione psichica, non posso giudicarlo… – afferma il perito d’ufficio, dottor Valentini.

È il caso di sottoporlo a perizia psichiatrica, anche in un Manicomio Criminale, sostiene la difesa che avanza le ipotesi che Mastro Pasquale possa essere un soggetto paranoico e sofferente di manie di persecuzione. L’accusa e le parti civili non si oppongono e la palla passa in mano alla Corte che delibera in Camera di Consiglio.  

No è la risposta. No perché dalle risultanze processuali non sorge nulla di concreto che possa far dubitare che l’Adami, al momento del fatto, non fosse perfettamente sui compos, da determinare il provvedimento di una osservazione e di una perizia psichiatrica, né la vita anteatta dell’accusato e il tempo posteriore alla perpetrazione del reato segnano alcunché di rimarchevole da far ritenere la opportunità del provvedimento stesso. Le circostanze che sono emerse nei rapporti dell’Adami, se valgono a farlo ritenere un uomo alquanto eccentrico, specialmente dopo che abbia bevuto del vino, non possono avere il valore di far credere che egli possa essere affetto da qualche malattia mentale.

Il dibattimento può continuare con la requisitoria del Pubblico Ministero e le arringhe degli avvocati.

L’accusa e le parti civili chiedono la condanna dell’imputato ad anni sette e mesi sei di reclusione, mentre la difesa chiede, in linea principale, che venga concesso il vizio totale di mente o, in linea subordinata, il vizio parziale di mente.

Per la Corte l’imputato è sano di mente e viene ritenuto colpevole del reato per cui è a processo e lo condanna alla pena richiesta dall’accusa: 7 anni e 6 mesi di reclusione, più pene accessorie. È il 10 giugno 1908.

Il 19 settembre 1908, la Suprema Corte di Cassazione mette la parola fine alla vicenda rigettando il ricorso dell’imputato.[1]


[1] ASCS, Processi Penali.

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