L’uomo seduto davanti al Pretore di Fuscaldo è visibilmente agitato. Il respiro corto, gli occhi rossi, le mani serrate a pugno, il sudore che gli cola abbondante dalla fronte inzuppandogli la maglia lacera. È il 23 agosto 1895.
– Calmatevi e raccontatemi tutto – gli dice il Magistrato.
– Mi chiamo Giuseppe Cesario, faccio il pastore… sono nato a San Fili ma risiedo qui in contrada Moschiera… la sera di due giorni fa, il 21, mio figlio Vincenzo di appena sei anni era seduto sulla soglia di casa e stava aspettando che la madre rientrasse dal lavoro, quando fu chiamato da Francesco De Luca, che abita vicino a noi, e lo condusse con blandizie al fiume che chiamiamo “della Lavandaia” e là… – l’uomo crolla la testa e comincia a singhiozzare. Poi si calma un po’ e continua – là barbaramente lo pose con la faccia a terra e, scendendosi i calzoni… – la voce tentenna, si passa un fazzoletto lurido sul viso, tira un lungo respiro e prosegue – scendendosi i calzoni si congiunse carnalmente con lui, sfogando così la sua snaturata libidine. Cenzino, sotto quegli aspri dolori e vedendosi in un pozzo di sangue, rimase semimorto sul suolo e intanto De Luca, non contento, cercava di bel nuovo ripetere sul bambino l’atto libidinoso, ma scorgendolo come un corpo inerte, pensò andarsi a nascondere sopra un cespuglio dalla parte superiore per vedere lo stato del bambino. Trovandosi a passare Antonio Lanzillotti e vedendo De Luca che stava alla vedetta, gli chiese cosa avesse il disgraziato mio bambino che giaceva quasi morto a terra e De Luca gli disse che l’aveva battuto la madre. Lanzillotti seguitò a fare la sua strada, rincasando. Fu allora che De Luca, scendendo da quell’altura, prese Cenzino pel braccio e strascinandolo quasi a forza lo condusse su la via consolare fra la mia e la sua abitazione, ingiungendogli di ritirarsi in casa e nulla dire del fatto sofferto, minacciandolo della vita…
– Dov’è il bambino? Come sta? Perché avete aspettato due giorni prima di venire da me?
– È a letto… – poi non riesce a dire altro.
Il Pretore manda a chiamare il dottor Giuseppe Molinari e insieme vanno a vedere il bambino.
– Come vedete – dice il medico al Pretore, indicando la parte – nella regione anale presenta varie lividure, anzi in taluni punti queste mostrano la forma di ecchimosi… tutto lo sfintere anale è infiammato e dolentissimo al tatto – Vincenzo emette un urlo appena viene toccato e si mette a piangere –. Divaricato lo sfintere si vedono molte lacerature che si allungano fino alla parte inferiore del retto, il quale è prolassato ed in preda ad accentuata flogosi; le lacerature sono più a sinistra e sono tre… a destra una… tutte sono lunghe un centimetro e mezzo, larghe mezzo e profonde tre millimetri – si ferma scuotendo la testa nel vedere lo scempio. Poi fa mettere il bambino in una posizione più comoda e continua, rivolgendosi al Pretore – con certezza si tratta di congiunzione carnale fatta con violenza sulla vittima e da persona adulta e robusta… le ferite guariranno in almeno trenta giorni… ma lo dovrò rivedere…
Tornato in Pretura, Nicola Tocco firma immediatamente un mandato di cattura nei confronti del diciannovenne Francesco De Luca, il quale pare sparito nel nulla.
– Il sole era già tramontato quando ho sentito la madre di Cenzino gridare: “Figlio… figlio, come ti hanno ridotto!” – racconta una vicina di casa – allora subito sono accorsa e ho trovato il bambino a letto. La mamma mi ha raccontato quello che era successo; poi mi ha chiesto di guardare ed io, allargando la regione anale, ho visto rotta la pelle ed uscire da là molto sangue, oltre di quello che il ragazzo avea intriso nelle vesti…
– Stavo passando vicino al fiume della Lavandaia – ricorda Antonio Lanzillotti –, l’Ave Maria era suonata da un pezzo, quando ho visto Francesco De Luca portare sotto l’ascella Cenzino, dirigendosi in su la via consolare… non avendo io neppure sospettato che De Luca avesse violentato il bambino, non posi attenzione se costui piangesse; osservai, però, che Cenzino non camminava volentieri, tanto che lo ammonii di camminare per la casa…
Finalmente, dopo un lungo mese di ricerche e appostamenti, De Luca viene rintracciato e arrestato dai Carabinieri.
– È vero che, preso da una brutta tentazione, la sera del 21 agosto scorso, vedendo il bambino Vincenzo Cesario lo condussi nel vicino vallone e colà, mettendolo a boccone, mi ho unito carnalmente. Ho fatto quest’atto turpe ignorando le conseguenze che potevano succedere… prego la giustizia, come prego il Signore Iddio, che mi perdoni…
– Non ti bastava averlo fatto una volta? Non hai visto che si stava dissanguando? Perché volevi violentarlo di nuovo?
– Non è vero che dopo l’atto turpe di cui mi vergogno volevo ripeterlo e non ho visto che il bambino mandava sangue dalle parti anali…
– Perché ti sei nascosto nelle vicinanze? Ti hanno visto, lo sai? E poi… che bisogno c’era di trascinare il bambino e lasciarlo in mezzo alla strada?
– Non è vero che mi ho nascosto, io non ho fatto altro che rincasare e il bambino si ritirò da sé nella sua casa…
– Ma almeno hai visto passare il tuo compaesano Antonio Lanzillotti? Lui dice che avete parlato e ti ha chiesto perché il bambino era a terra sanguinante…
– Si, l’ho visto, ma io niente ho detto a costui perché niente avea ancora commesso…
Come promesso dal dottor Giuseppe Molinari, Cenzino viene sottoposto ad una nuova visita medica il primo novembre e le lesioni materiali sono ormai del tutto guarite. Le altre no, troppo drammatica l’esperienza per poter essere superata in due mesi.
Siamo alla fine di novembre e Cenzino sembra essere in grado di raccontare come si svolsero i fatti:
– Come ho detto a Tata e a Mamma vi dico… trovandomi la sera di agosto dinanti la casa mia, se ne venne Francesco De Luca, quello che avete carcerato, e mi disse: “Cenzo, vieni con me a ‘u fiume Lavandaia per pigliare angille…”. Io l’obbedii ed essendo giunti mi pose con la faccia ‘nterra e con una mano mi teneva e con l’altra, calandomi i calzoni… e poi si sbottonò e mi pose nel culillo la sua pisciuola ed intesi dolore e mi uscì molto sangue… mi posi a piangere ed egli insisteva dicendo: “facimu n’atra vota” ed io gridando e piangendo dicevo: “Noni… noni…”. Lui se ne salì a capo vito e disse, incontrando Totonno, che lo domandava cosa io avevo, che mamma mi aveva minato ed io non volevo ritirarmi. Poi lui, vedendo che io sentivo dolore e non potevo camminare, mi prese dal braccio e mi portò come morto sopra la strada e siccome mamma, essendo notte mi andava ritrovando, chiamandomi: “Cenzo, Cenzo”, lui rispose: “Mò viene, mò viene”.
– Ti ha detto di non raccontare niente?
– Prima che se ne fuggisse dietro la risposta che diede a mamma mi diceva: “Non dire niente a Mamma ca pò sani…”
Il 24 gennaio 1896 la Sezione d’Accusa ordina il rinvio a giudizio di Francesco De Luca davanti alla Corte d’Assise di Cosenza, con l’accusa di violenta congiunzione carnale commessa in luogo esposto al pubblico, in offesa di un minore degli anni dodici, cui provocò malattia di corpo per giorni trenta.
Nell’unica udienza del 9 aprile 1896, l’imputato viene giudicato colpevole e condannato a 12 anni e 6 mesi di reclusione.
Il 3 giugno successivo, la Suprema Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso prodotto dall’imputato.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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