È la sera del 14 ottobre 1951, a Serra Pedace si festeggia San Donato con un concerto in piazza della banda musicale di Cosenza. A godere della musica, sedute sotto l’albero secolare della piazza, ci sono anche Virginia Baratta, sua figlia Enrichetta Chimenti, Pina Cetraro e sua sorella Rachele. Poco discosto da loro c’è anche Donato Cetraro, fratello delle ultime due. Due giovanotti di Spezzano Piccolo, uno alto e l’altro basso, si avvicinano alle donne e toccano alla testa con un palloncino Enrichetta. Sua madre, sapendo che il padre è molto geloso delle figlie, dice:
– Non avete madri, sorelle ppe fissìare?
I giovanotti, senza replicare, continuano per la propria strada mentre Donato Cetraro segue i due, li ferma e intavola una discussione. Questione di pochi secondi, i due giurano di non avere toccato di proposito Enrichetta e tutto torna calmo.
La sera del 15 ottobre è prevista la proiezione in piazza del film “I figli di nessuno” con il mitico Amedeo Nazzari. Il tempo è incerto, nuvole basse e nere si accumulano sulle montagne della Sila, ma la piazza è piena di gente che ha portato le sedie da casa. Anche la cantina è piena di avventori che giocano a tresette e bevono vino. Entrano tre giovani che ordinano una gazzosa.
– Quant’è?
– Venticinque lire.
– Ma ‘un tinne para vrigogna? Mò vaju alli Carabinieri…
– S’è assai, ‘a potiti lassare e vinne jati…
I tre non rispondono, prendono la gazzosa, pagano ed escono.
Ad assistere a questo battibecco, tra gli altri, c’è anche Donato Cetraro che è andato a prendere suo padre, completamente ubriaco, per riportarlo a casa. In due di quei tre giovanotti riconosce quelli con i quali ha discusso la sera prima per via del palloncino. Poi prende suo padre sottobraccio e insieme escono sulla piazza.
– Pecchì te si ‘mbriacatu? – fa uno dei tre giovanotti all’indirizzo di Bernardo Cetraro, il padre di Donato.
– Chi ne vò fare si patrima s’è ‘mbriacatu? I sordi sunnu d’i sua – replica Donato a muso duro e subito si accende una vivace discussione, per fortuna subito sedata per l’intervento di altri cittadini. Donato e suo padre tornano a casa e i tre giovanotti restano in piazza. Poi si mette a piovere e molti spettatori preferiscono andarsene, mentre la proiezione del film continua. I tre giovanotti cercano riparo sotto l’arco di un portone e quando la pioggia diminuisce d’intensità imboccano la via principale del paese per tornare a Spezzano Piccolo. Sono quasi le 23,00 quando gli spezzanesi hanno percorso appena una trentina di passi lungo la via del ritorno. All’improvviso da un vicolo spunta Donato Cetraro il quale, con un grosso pezzo di legno in mano, comincia a menare botte a destra e a manca. Il primo dei tre spezzanesi ad essere colpito in pieno viso è il ventiseienne Francesco Furgiuele che, urlando per il dolore, scappa. Poi è la volta di Tullio Prestandrea che anche lui si becca una bastonata in testa, fortunatamente meno violenta, quindi tocca ad Antonio Furgiuele, fratello di Francesco, che viene colpito ad un braccio. I due riescono a fermare l’aggressore il quale, compiuta la sua vendetta, sparisce nel buio del vicolo. Prestandrea e Antonio Furgiuele restano da soli in mezzo alla strada, ma di Francesco non ci sono tracce.
– Sarà più avanti… – dice il fratello all’amico.
Proprio in questo momento si imbattono in una persona che procede in senso inverso al loro.
– Siete di Spezzano Piccolo? – fa lo sconosciuto.
– Si – rispondono insieme.
– Badate che più avanti c’è un giovane di Spezzano Piccolo, svenuto per terra…
I due amici si mettono a correre e, infatti, trovano subito Francesco disteso per terra che languisce. Lo rialzano e, poggiatolo al muro, cercano di farlo rinvenire ma, visto gli inutili tentativi, se lo caricano sulle spalle per trasportarlo a casa. Giunti alla fontana “Ciniellu”, a circa 70 metri dall’abitato di Spezzano Piccolo, lo adagiano per terra allo scopo di farlo riposare e lavargli il viso per farlo rinvenire.
Ottengono solo qualche flebile lamento.
– Deve essere grave… sbrighiamoci e portiamolo a casa di mia sorella – dice Antonio ma, giunti all’altezza delle prime case del paese, si accorgono che Francesco è morto. A casa della sorella Maria ci sono scene di disperazione che attirano l’attenzione di vicini e uno di questi viene incaricato di correre subito a Spezzano Grande per avvisare i Carabinieri.
Il Maresciallo Luigi Liperoti arriva alle 3,30 e si fa raccontare i fatti, poi dice:
– Conoscete il nome dell’aggressore? Siete in grado di indicare il vicolo dal quale è uscito?
– Lo chiamavano Donato e mi ricordo perfettamente da quale vicolo è uscito – risponde Prestandrea, al quale viene ordinato di accompagnare il Brigadiere Alfio Vitale, comandante la stazione di Pedace, competente per territorio, sul posto.
All’altezza dell’abitazione dell’avvocato Fazzari, Prestandrea indica il vicolo a monte dell’abitato dal quale vide uscire l’aggressore, così i Carabinieri entrano nel vicolo e pochi passi dopo sbucano in un piccolo piazzale che funge da atrio a tre o quattro abitazioni. Bussano a una delle case e poco dopo si affaccia un uomo.
– Sapete se qui vicino abita un certo Donato? – gli chiede il Brigadiere.
– La casa qui a fianco…
Bussano anche a quella porta e si affaccia un giovane che dice di chiamarsi Michele Cetraro, evidentemente deve essere il fratello.
– Donato è in casa?
– No… non è tornato a casa stanotte…
– Aprite la porta! – gli ordina il Brigadiere.
Donato Cetraro in casa non c’è davvero e i Carabinieri non trovano nulla di interessante, ma ottengono dal capofamiglia la conferma che la sera prima suo figlio aveva avuto una lite con tre giovani di Spezzano Piccolo, ad uno dei quali lo aveva attinto con una bastonata alla testa. Sospettando che l’anziano, il figlio Michele e la figlia Pina siano coinvolti nell’aggressione, il Brigadiere arresta tutti e tre e li accompagna in caserma.
L’ispezione esterna del cadavere, a cura del dottor Francesco Turco, evidenzia:
1) alla regione zigomatica destra escoriazione ed ecchimosi a forma triangolare irregolare della grandezza di una moneta da L. 5;
2) lieve ecchimosi alla regione sopraciliare destra, lato esterno;
3) piccole escoriazioni di cui due puntiformi;
4) altre piccolissime escoriazioni puntiformi sul naso;
e altre piccole escoriazioni sparse su quasi tutto il corpo.
Alla palpazione si nota che alla regione parietale destra il tessuto cutaneo e sottocutaneo è enfisematoso. Ritengo che la morte è stata prodotta da commozione cerebrale conseguente a trauma subito nella regione zigomatica e sopraciliare destra.
Stranamente, il dottor Turco ritiene superflua l’autopsia e la famiglia può fare subito il funerale.
Quello stesso pomeriggio Donato Cetraro si costituisce e, al Maresciallo Liperoti, racconta:
– La sera del 15 ottobre mi recai nella cantina di Serra Pedace per prendere mio padre e portarlo a casa, quando entrarono tre giovani di Spezzano Piccolo che conosco di vista. Uno di questi entrò in diverbio con l’esercente per il prezzo di una gazzosa. Poi siete entrato voi e avete messo fine al diverbio provvedendo ad allontanare i tre giovani – il Brigadiere è perplesso perché in quella cantina la sera del 15 ottobre non è mai entrato, forse Cetraro lo confonde con qualche altro Carabiniere –. Uscito dal locale insieme a mio padre e al compare Salvatore Staino, stavamo avviandoci verso casa, quando uno dei tre si è avvicinato a mio padre e gli ha detto: “Perché sei ubbriaco?”. Io gli ho risposto: “Tu che cosa ne vuoi fare se mio padre è ubbriaco? I soldi li ha messi fuori lui!”. Sorse fra di noi una discussione che venne subito sedata per l’intervento di altri cittadini. Poi siamo andati a casa. Io mi stavo svestendo, quando sentii dal vicolo questa frase: “Vigliacco, vieni fuori se hai coraggio!”. Riconobbi la voce del giovane col quale avevo avuto la discussione e, allo scopo di farlo allontanare, uscii scalzo come mi trovavo. Appena fui sull’uscio fui afferrato dai tre giovani, buttato a terra e picchiato. Riuscii a svincolarmi e, raccolto un pezzo di legno che si trovava nei pressi, vibrai un colpo che attinse al volto il giovane col quale avevo avuto la discussione. Questi, appena colpito, si allontanò e la lotta continuò con gli altri due. Alle grida sopraggiunsero i miei familiari ed alcuni vicini che sedarono la lite. Io e i miei siamo rientrati in casa, mentre quelli se ne andarono. Sporgo querela per lesioni contro i miei aggressori.
La sua versione sembrerebbe credibile anche per i graffi che ha sul viso, se non fosse che suo fratello, quando il Brigadiere aveva chiesto di lui la notte del fatto, aveva detto che non era rientrato a casa. Chi mente?
Poi vengono interrogati tutti i componenti della famiglia Cetraro e le dichiarazioni che rilasciano sono contraddittorie le une con le altre: il padre dice di essere stato nella cantina solo il pomeriggio del 15 e poi di essere rimasto a casa; la madre dice di essere stata lei ad andare a prendere il capofamiglia alla cantina per portarlo a casa; il fratello dice che Donato rientrò a casa solo dopo la lite, poi cambia versione e dice che il fratello uscì da casa, senza giacca e senza camicia ma con le scarpe, quando sentì la frase “esci fuori vigliacco”.
Essi sono discordanti fra di loro perché preoccupati unicamente a creare un alibi a favore del loro congiunto, verbalizza il Brigadiere.
Anche il cantiniere, interrogato, mente:
– Non ho visto i tre giovani di Spezzano Piccolo nella cantina… nemmeno Donato Cetraro c’è stato, ma l’ho visto dopo la chiusura del locale in compagna del padre… e sono intervenuto per sedare la prima discussione.
Dall’altra parte, le dichiarazioni di Antonio Furgiuele e Tullio Prestandrea sono coerenti e credibili, anche perché, pensa il Brigadiere, il primo ad essere colpito, lo ammette l’indagato stesso, fu Francesco Furgiuele, contro cui il Cetraro nutriva il maggiore odio per avere offeso poco prima il proprio genitore. Ma il Brigadiere è convinto anche che l’intervento dei congiunti del Cetraro è dovuto alla loro intenzione di pacificare la lite, per cui questo comando esclude possano avere concorso nel delitto e che Donato Cetraro non ebbe l’intenzione di uccidere e pertanto i fatti succeduti sono andati oltre la sua intenzione.
Sono passati due mesi da quella tragica notte e Bernardo Cetraro, il padre di Donato, sporge querela nei confronti di Antonio Furgiuele e Tullio Prestandrea per minacce ed ingiurie di cui tutta la sua famiglia sarebbe stata vittima durante le fasi concitate della zuffa.
La ricostruzione del fatto al lume della logica e delle risultanze processuali non può aderire alla versione dell’imputato e pertanto l’assunto della legittima difesa, sostenuta dal prevenuto, è da disattendere in maniera perentoria. Donato Cetraro, per puntellare il suo meditato piano, ha creduto di far sporgere querela contro i due, avvertendo che era necessario porre a base della accampata legittima difesa le ingiurie, le minacce e la sfida ad uscire fuori di casa. Tutti hanno negato di aver sentito, in ora che del resto non era molto avanzata, le ingiurie, le minacce e le canzonette oscene che i tre avrebbero gridato all’indirizzo della famiglia Cetraro. Giova considerare che se il Cetraro fosse stato aggredito dai tre con le modalità da lui descritte, ben diverse sarebbero dovute essere le conseguenze a suo carico trovandosi a doversi competere da solo con tre persone animate dal proposito di malmenarlo, tanto da sfidarlo ad uscire di casa, né gli sarebbe stato agevole colpire col bastone il Furgiuele Francesco e il Prestandrea, che indubbiamente riportarono la peggio, il che rende evidente che questi ultimi due furono colpiti di sorpresa e il Prestandrea e il Furgiuele Antonio furono necessitati poi ad immobilizzare l’aggressore al quale produssero delle semplici graffiature. Così scrive il Giudice Istruttore, stroncando i tentativi dei Cetraro di sminuire le responsabilità di Donato. Poi conclude: Il Furgiuele Antonio e il Prestandrea Tullio vanno prosciolti dai reati di ingiurie e minacce per non averli commessi e dal delitto di lesioni per avere agito in istato di legittima difesa, mentre il Cetraro Donato va rinviato al giudizio della Corte di Assise per rispondere del delitto di omicidio preterintenzionale. È il 5 giugno 1952.
Il dibattimento comincia 25 giorni dopo, il 30 giugno. Nell’udienza del 4 luglio successivo, quello della richiesta delle parti, potrebbe esserci il colpo di scena in grado di cambiare le sorti del processo. Luigi Gullo, che rappresenta la parte civile, chiede la condanna dell’imputato a quella pena che la Corte riterrà in sua giustizia, alle spese e ai danni; Pietro Mancini, difensore di Cetraro, facendo leva sulla mancanza di perizia autoptica, chiede invece la sospensione del dibattimento per effettuare una perizia sul cadavere onde accertare la vera causale della morte in quanto non è stato accertato se la ferita allo zigomo ed alla parte sopracigliare del Furgiuele siano dovute a caduta per trascinamento del corpo dello stesso da Serra Pedace a Spezzano Piccolo, distante chilometri 2 ½ e che, pertanto, la morte fu dovuta alla commozione cerebrale determinata da detto trascinamento, causa sufficiente dell’evento. In subordine chiede l’assoluzione per legittima difesa o l’assoluzione per insufficienza di prove o, ancora più in subordine, ritenerlo colpevole di eccesso di legittima difesa con tutti i benefici che la legge concede.
La richiesta di una nuova perizia non viene accolta e la Corte, nella stessa udienza, pronuncia la sentenza di condanna nei confronti di Donato Cetraro a 5 anni e 4 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, più pene accessorie, in quanto responsabile di omicidio preterintenzionale.
Il ricorso in Appello viene discusso il 17 gennaio 1953 e porta a una rimodulazione dell’entità della pena, che viene ridotta a 4 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione. Essendo la condanna inferiore ai 5 anni di reclusione, le conseguenze sono che l’interdizione perpetua dai pubblici uffici viene sostituita dall’interdizione per la durata di anni cinque e la cancellazione dell’interdizione legale durante la pena.
Il ricorso per Cassazione viene presentato fuori termine e la sentenza diventa definitiva. È il 4 agosto 1953.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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