IL FERROVIERE

Sono le 21,00 del 19 gennaio 1932 quando un anonimo viaggiatore percorre la Via Nuova di Paola Marina. Via Nuova, che va verso la vicina stazione ferroviaria, è una traversa perpendicolare della maggiore Via San Leonardo ed è posta esattamente di fronte al Caffè Scrivano, dal quale la traversa è perfettamente visibile per tutta la sua diritta estensione. I due angoli dell’incrocio delle dette due vie sono occupati da un lato dall’Albergo Commercio e dall’altro dal bigliardo esercito dal signor Alfredo Marchese. In detta Via Nuova, a pochi passi dal suo imbocco, vi è la macelleria di Antonio Sbano e quasi di fronte vi è, al N° 12, un grande palazzo fornito di un grande portone che di notte resta aperto ed incustodito. Fra il palazzo e l’Albergo Commercio vi è lo strettissimo Vico Primo Marina.

I passi dell’uomo risuonano nel silenzio insieme ad un rantolo. Si ferma, guarda in giro e infine vede per terra, male illuminato, un uomo proprio davanti alla macelleria. Si china per chiedergli se va tutto bene e si accorge della pozza di sangue sotto la testa dell’uomo. Il viaggiatore si guarda intorno, vede la vetrina del Caffè illuminata e vi si dirige.

Nessuno gli dà aiuto? – dice rivolgendosi ai presenti indicando la sagoma dell’uomo a terra. Alcuni avventori lasciano i propri tavoli e corrono verso il ferito, mentre l’anonimo viaggiatore sparisce tra i vicoli. Casualmente passano da lì anche il Brigadiere Luigi Tripodi e la Guardia Municipale Luigi Neri che ordinano ai soccorritori di trasportarlo nella Clinica Santoro, all’altro capo di Via Nuova. Poi avvisano il Pretore, che accorre immediatamente.

Disteso in un letto operatorio si trova un tale che ci viene indicato per Bruzzano Giuseppe. Lo stesso, date le gravissime condizioni non è in grado di articolare parola e dopo pochi minuti ne avviene il decesso per l’emorragia cerebrale dovuta alla frattura della base del cranio a destra e a quella della regione orbitale sinistra. Potrebbe essere stato un incidente, ma il fatto che le contusioni rettangolari, che hanno prodotto le fratture, siano sui due lati opposti della testa, fanno invece pensare ad un omicidio.

Giuseppe Bruzzano, trentacinquenne di Vibo Valentia, era un mutilato di guerra e tutti a Paola lo conoscevano per la sua gamba di legno e anche per il suo carattere piuttosto irascibile che lo portò a separarsi dalla moglie, lasciandola in stato di completa miseria. I Carabinieri sanno delle sue numerose liti. Per esempio con Maria Santa Siciliano per avere schiaffeggiato la figlioletta e con numerosi avventori del Caffè Scrivano, che era solito frequentare nel tempo libero.

Il Caffè di Leonardo Scrivano, è da qui che si decide di cominciare le indagini perché suole essere frequentato, oltre che da ferrovieri, da tutta la teppa della Marina di Paola. Spesso vi avvengono litigi fra giuocatori e vi si organizzano i più gravi delitti come l’omicidio, avvenuto verso il 1924, in persona del ferroviere Domenico Giulivo.

Interrogando il proprietario, i Carabinieri non ci mettono molto a scoprire che Bruzzano, da lungo tempo, era in attrito col diciottenne garzone del Caffè, Vittorio Bosco.

Più volte il mio amico Giuseppe Bruzzano mi aveva avvertito che il mio garzone non teneva nel caffè contegno corretto, facendovi affluire giovinastri. L’ultima volta che Giuseppe mi avvertì fu circa otto giorni prima che egli morisse. Mi raccontò, fra l’altro, che Vittorio Bosco era in grande rapporto di amicizia con Rosario Mellone, manuale muratore, e che probabilmente mi poteva rubare. In seguito alla notizia datami, io dissi al Bosco”spicciati ad arruolarti perché io qui non ti posso più tenere”. Mi accorsi inoltre che Bosco era in grande rapporto di amicizia anche col macchinista Francesco Carbone

– Sono frequenti le discussioni nel locale?

Tutti i giorni

Questa è una pista da seguire. Il Brigadiere Luigi Tripodi convoca il garzone e lo torchia.

La sera del 19, verso le 20,45, venne nel locale Bruzzano. Non chiese alcuna consumazione e si rivolse al macchinista Francesco Carbone, che si trovava vicino al bancone per comprare caramelle, invitandolo a fare una partita a carte. Carbone rifiutò l’invito dicendo che doveva andarsene. In quell’istante dissi ai presenti che dovevo chiudere il locale perché ero aspettato dal padrone che si trovava a letto ammalato. Il primo ad uscire fu Bruzzano, mentre i ragazzi rimasero ancora nel locale perché, nel frattempo, erano entrati un Carabiniere, che chiese un caffè caldo, e la guardia Municipale Luigi Neri. Stavo per preparare il caffè quando arrivò la notizia…

– Va bene, ma sapevi che Bruzzano aveva riferito al tuo padrone del tuo comportamento poco corretto nel Caffè?

È vero che una quindicina di giorni fa il mio padrone mi riferiva, presente Bruzzano, che io ero solito giocare alle carte invece di attendere alla mia occupazione e mi invitava, quindi, a sollecitare le carte, giacché non poteva oltre tollerare la mia presenza

– Cioè?

Intendeva alludere alla domanda da me fatta per l’arruolamento nell’Arma dei Carabinieri

– Ci sei rimasto male?

Evidentemente  mi sorprese molto e feci le mie rimostranze al Bruzzano chiedendogli le prove delle sue false asserzioni. Il padrone, per troncare ogni quistione, mi prese per il braccio e mi fece entrare nel Caffè. La cosa finì qui.

– Abbiamo saputo che ti sei lamentato col fratello di Bruzzano perché ti sfotteva

Non è vero.

I Carabinieri, affiancati dalla locale sezione di P.S., credono che le continue accuse di Bruzzano contro il garzone e la conseguente decisione di Scrivano di licenziarlo, abbiano, logicamente ed umanamente, suscitato l’odio del ragazzo contro il suo accusatore e da qui la determinazione ad ucciderlo. Ma siccome non può essere stato il garzone ad ammazzare brutalmente Bruzzano, è evidente che si è rivolto a qualcun altro per compiere il misfatto. Gli investigatori un’idea su chi possa essere stato l’esecutore materiale ce l’hanno e si basano su tre circostanze: la prima verificatasi nel Caffè la sera del 16 gennaio, due giorni prima dell’omicidio, quando la ragazzaglia ammessa nel Caffè dal Bosco, evidentemente spinta da lui e forse a scopo di dileggio,urtava la gamba artificiale di Bruzzano, che dovette di ciò risentirsi e che, dato il suo carattere, si scagliò con ingiurie contro coloro che lo avevano investito. Ciò fu seguito dai ringraziamenti ironici da parte degli investitori, in difesa dei quali intervenne subito il maffioso Mauro Mellone, che si diede a rimproverare Bruzzano. La seconda verificatasi la mattina successiva nel Salone di Vincenzo Pascera, adiacente al Caffè Scrivano, quando Bruzzano vi incontrò Mellone e disse: “da oggi non voglio più amicizie con nessuno!”. Anche stavolta vi furono ingiurie e minacce più o meno larvate fra i due, cessate pel provvido intervento del Carabiniere Vincenzo Cordola. La terza e ultima circostanza accadde il pomeriggio del 19, poche ora prima dell’omicidio. Nel Caffè Scrivano, alle ore 18 ebbe inizio una partita a carte a cui presero parte Mauro Mellone, Roberto Paura, Salvatore Pizzonia, Arcangelo Mantuano Giovanni Piersanti, Salvatore Carnevale e Raffaele Grupillo. Dopo il gioco, che ebbe termine verso le 19, si constatò che i giocatori dovevano pagare per le consumazioni fatte, lire tre per ciascheduno. Vi fu chi pagò e chi non pagò ed i giocatori si sciolsero andando ognuno per la sua via. Il giovane D’Amato Michele si accorse che Vittorio Bosco, invece di incassare le tre lire dovute da Mellone, diede a costui tre lire, forse avute da altro giocatore, dicendogli: “Ti raccomando quell’imbasciata”, che in gergo paolano significa: “Ti raccomando quell’affare…”. Ecco, gli investigatori pensano che quell’affare sia stato l’omicidio di Giuseppe Bruzzano, commissionato da Vittorio Bosco a Mauro Mellone.

I due, evidentemente d’accordo, dichiarano che D’Amato si è sbagliato perché Mellone avrebbe uscite lire quattro per riceverne da Bosco in avanzo una lira. Gli ha dato il resto. Inutile aggiungere che i due negano le parole “Ti raccomando quell’imbasciata”, sapendo che accettandole avrebbero dimostrato di essere gli autori dell’omicidio.

Secondo gli investigatori Mellone nutriva rancore contro Bruzzano non solo per le ultime questioni tra loro, ma anche perché, avendo l’ucciso provocato il licenziamento del Bosco dal Caffè Scrivano, veniva a finire per lui l’epoca di essere pagato invece di pagare per le consumazioni.

Quindi Mellone, che conosceva le abitudini di Bruzzano e sapeva che la sera egli soleva recarsi alla stazione in servizio, appostatosi nell’atrio di casa Lattari, ovvero nel Vico Primo Marina, lo colpì proditoriamente al capo, provocandone la quasi immediata morte.

Bosco e Mellone vengono arrestati con l’accusa di omicidio premeditato e si difendono fornendo degli alibi.

Sono un frequentatore del Caffè Scrivano, specialmente quando mi trovo disoccupato – esordisce Mauro Mellone –. Ivi mi incontro spesso col garzone Vittorio Bosco, col quale non ho rapporti di amicizia, e con l’ora defunto Giuseppe Bruzzano. Spesso giuoco con ferrovieri e con altri

– Quali erano i tuoi rapporti con Bruzzano?

Ero in ottimi rapporti di amicizia, tanto che spesso mi recavo a casa sua e qualche volta col fonografo.

– Pare, però, che due giorni prima dell’omicidio tu e Bruzzano abbiate avuto una violenta discussione nel salone di Vincenzo Pascera.

Ero nel salone per farmi radere la barba. C’erano un Carabiniere e il muratore Francesco Carnevale. Dopo circa dieci minuti venne Bruzzano il quale, essendo stato salutato da Cavaliere, disse: “Da oggi non voglio amicizia con nessuno!”. Dopo ciò ci siamo scambiati delle ingiurie ed io finii col dirgli: “Io vorrei avere a che fare con uno che avesse quattro braccia e quattro gambe e non con te che sei un povero infelice!”. A questo punto intervenne il Carabiniere che mi ordinò di andarmene ed io uscii.

– Ma ci deve pur essere stata una ragione per la quale Bruzzano disse quella frase.

Bruzzano era risentito perché la sera prima alcuni ragazzi entro il Caffè Scrivano l’avevano urtato alla gamba artificiale e lui aveva inveito con frasi poco corrette contro i ragazzi, i quali si sono limitati a dirgli: “Grazie”. Mentre Bruzzano usciva dal caffè, io dissi, parlando in generale: “Era il caso, dopo i ringraziamenti dei ragazzi, di lanciare ancora ingiurie contro di loro?”

– A noi risulta che lo rimproverasti con le parole “Anche tu hai fregato 200 lire a Calabrò!”

Non è vero!

– Dove eri la sera dell’omicidio? – adesso si comincia a fare sul serio.

Verso le ore 18 mi recai al Caffè Scrivano e mi misi a giuocare a carte con amici. Tutti perdemmo per tre lire ciascuno, in totale 18 lire che servirono per pagare le consumazioni. Il denaro fu riscosso dal garzone Bosco perché il padrone era ammalato. Io avevo in tasca 4 lire ed ebbi una lira di resto… poi uscii con gli altri alle ore 20 e mi recai a casa direttamente, senza più uscire e mi misi a letto

– Abbiamo dei testimoni che giurano di avere sentito Bosco dirti queste parole: “Ti raccomando quell’affare…”

Non è vero!

Il problema per Mauro Mellone è che non ha testimoni che possano confermare il suo alibi. Testimoni che, invece, hanno i Carabinieri, i quali ricostruiscono così le fasi dell’omicidio:

Mellone esce dal Caffè Scrivano e si nasconde nel Vico Primo Via Nuova, ovvero nell’atrio del palazzo al N. 12 di Via Nuova, in attesa di Bruzzano, che era solito andare via sempre intorno alle 21,00 per prendere servizio alla stazione ferroviaria. Nel frattempo, Vittorio Bosco, che voleva assistere alla impresa, si mise dietro la vetrina del caffè tenendo la mano sulla maniglia della porta d’ingresso, pronto ad accorrere se il caso l’avesse richiesto, poco curandosi del Caffè, degli avventori e di quanto vi avveniva. Verso le ore 21 entrò nel Caffè la guardia municipale Luigi Neri in cerca del suo cappotto. Bosco, intento a quello che avveniva in Via Nuova, non volle muoversi e gli disse “Aspetta un poco”, rimanendo con la mano sulla maniglia, fino a che la guardia Neri cercò del suo cappotto ed uscì dal Caffè per recarsi nel bigliardo di Alfredo Marchese. Fu in questo frattempo che Bruzzano uscì dal locale e venne barbaramente ammazzato da Mauro Mellone. Di ciò i Carabinieri sono certi, nonostante sembrino esserci molte falle nella ricostruzione. Intanto non ci sono testimoni oculari, non c’è certezza sull’arma adoperata e addosso a Mauro Mellone non vengono rinvenute tracce di sangue.

Per quanto riguarda l’arma, una svolta potrebbe esserci con il rinvenimento durante una perquisizione nel Caffè Scrivano, di un pestello di legno per mortaio della lunghezza di centimetri trentasei, avente alle estremità un diametro di centimetri nove e del peso di oltre un chilogrammo. Detto pestello si presta benissimo per essere adoperato come clava e presenta una delle estremità scheggiata longitudinalmente. Data la natura di esso pestello e le caratteristiche delle lesioni riscontrate su Giuseppe Bruzzano, si ha motivo di ritenere che il Mellone se ne sia servito per colpire il Bruzzano e che successivamente lo abbia riconsegnato al Bosco. Perizie non ne vengono ordinate e tutto resta allo stato di ipotesi.

Tra tanti dubbi e pochissime certezze, l’11 marzo 1932, la Procura Generale del re di Catanzaro chiede che i due imputati siano rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza con l’accusa di omicidio premeditato.

In attesa della decisione del Giudice Istruttore, Raffaele Bruzzano, fratello della vittima, si presenta al Commissariato di P.S. di Paola per riferire di avere appreso da una lavandaia che giorni prima dell’omicidio, Mauro Mellone avrebbe detto all’ucciso: “Qualche sera di queste ti farò andare alla clinica…”.

L’avvocato Tommaso Corigliano presenta una lunga memoria difensiva nella quale smonta pezzo per pezzo i risultati delle indagini, così risulta che la frase “Ti raccomando quella imbasciata”, cardine del mandato ad uccidere di Bosco a Mellone, nessuno dei presenti nel Caffè quel giorno l’ha sentita. Addirittura non ha potuto sentirla nemmeno il testimone che l’ha riferita, Michele D’Amato, perché se ne andò prima del pagamento. Per Tommaso Corigliano, principe del foro cosentino, l’alibi di Mellone di essere tornato a casa entro le 20,00 è valido perché non c’è nessuna prova di accusa che contrasta una simile affermazione. Anzi, osserva l’avvocato, ci fu chi lo vide tornarsene a casa appunto fra le 19 e 19,30. Inoltre, Bruzzano entrò nel locale dopo che Mellone se ne era andato. Secondo Corigliano, ammesso che l’arma usata per uccidere Bruzzano sia stata il pestello di legno, non può essere stato Mellone a portarlo via dal Caffè Scrivano perché uscì insieme con i compagni di gioco e, siccome il locale era pieno di gente, qualcuno se ne sarebbe certamente accorto; altri, in più propizio momento e protetto dalla solitudine della strada e dall’ora tarda, potette, eventualmente, asportare l’arma che si vuole preparata. Per Corigliano, quindi, non è Mellone l’assassino, ammesso che si tratti di omicidio e non di uno sfortunatissimo incidente.

Il 20 giugno 1932 il Giudice Istruttore prende le sue decisioni:

I motivi non sembrano tali da determinare un uomo normale all’assassinio premeditato ed eseguito a mezzo di altra persona. Essi, tutt’al più, potrebbero far sorgere l’ipotesi di una vendetta da estrinsecarsi sia sotto forma di una bastonatura, ma in tal caso dovrebbe pensarsi che il mandatario eccedette nell’esecuzione mentre il modo in cui il delitto fu compiuto, la violenza dei colpi inferti e la regione colpita, denotano che colui che commise il fatto aveva il fine preciso di cagionare la morte del Bruzzano, senza nemmeno dargli la possibilità di conoscere il suo aggressore.

Né può ritenersi sufficiente, quando tutti gli altri elementi sono equivoci, il contegno serbato dal Bosco nel mentre si consumava il delitto. La supposizione che il Bosco, a conoscenza di quanto stava per succedere ai danni di Bruzzano, si pose dietro la porta a vetri per seguire lo svolgimento del delitto potrebbe sembrare fondata, ma è strano il fatto che l’agente Neri, il quale uscì dal caffè quando il Bosco stava dietro la vetrata con la mano sulla maniglia, e che percorse per un tratto la stessa via seguita dal Bruzzano, piegando poi a destra nel vicolo a pochissima distanza dal punto in cui venne rinvenuto il Bruzzano steso a terra nel proprio sangue, nulla abbia visto e niente di anormale abbia notato, quando proprio in quel momento si stava consumando il delitto, tanto vero che Neri ebbe appena il tempo di girare nei pressi della stazione, quando fu raggiunto da un ferroviere sconosciuto, e tale rimasto, il quale lo informò del rinvenimento del Bruzzano a terra ed insanguinato. Alla stregua, pertanto, delle succitate considerazioni, in difformità delle richieste del P.M., dichiara non doversi procedere nei confronti di Mellone Mauro e di Bosco Vittorio, per i reati loro ascritti, per insufficienza di prove e ne ordina la immediata scarcerazione se non detenuti per altra causa.[1]


[1] ASCS, Processi Penali.

Lascia il primo commento

Lascia un commento