PUTTANA DI TUTTI QUANTI

Fiera di Cetraro, ferragosto 1907. All’orizzonte il sole si è appena tuffato nel mare, tra poco sarà buio ma Piazza del Gigante (Piazza Umberto Primo) è ancora colma di gente. All’improvviso la detonazione secca di un colpo di rivoltella. La folla, fatta di schegge impazzite, urlando in preda al panico, cerca scampo rovesciando bancarelle, calpestando chi ha avuto la sfortuna di inciampare, qualcuno cade nella fontana monumentale posta al centro della piazza. Ferma in mezzo alla piazza c’è una donna vestita di nero con un neonato su un braccio e una rivoltella nell’altra mano. Deve essere una forestiera perché, sbirciando da dietro i ripari, nessuno la riconosce. Davanti alla donna, impietrito dal terrore, certamente incredulo per non essere stato colpito, c’è un uomo, il proprietario di una delle bancarelle. È il trentenne orefice Antonio Lavorato da Rossano.

La donna gli rivolge un ultimo sguardo, poi sputa in terra e se ne va indisturbata col bambino in braccio e la rivoltella in mano.

I Carabinieri, subito avvisati dell’accaduto, si mettono sulle tracce della donna e la trovano presso la fontanina sulla statale. Si tratta di Cristina Quintiero maritata Tuoto, trentunenne contadina di Bonifati.

Facciamo un passo indietro di un anno: agosto 1906, fiera di Capo Bonifati.

Cristina ha bisogno di soldi, i vaglia del marito emigrato ormai da sei anni Allamerica non arrivano, così, avvisata da alcuni compaesani della presenza di un orefice, Antonio Lavorato appunto, alla fiera e decide di andare a cambiare dell’oro. Incontra l’orefice e combinano il piccolo affare, poi Cristina se ne va in giro tra le bancarelle fino all’imbrunire, quando si incammina verso casa sua in campagna. È ormai buio, lungo la mulattiera Cristina sente dei rumori di passi dietro di sé. Molto strano, a quell’ora non passa mai nessuno. Si fa coraggio e aspetta per vedere di chi si tratti e riconosce l’orefice. Cosa mai ci farà un forestiero su quella stradina isolata di campagna?

– Volevo parlarvi… – ammette candidamente mentre le si avvicina.

– Si? E di cosa?

– Di questo… – le risponde cercando di abbracciarla e baciarla, ma Cristina oppone una fiera resistenza e riesce a correre via. Antonio sorride divertito.

Il giorno dopo Cristina torna a Capo Bonifati per andare in farmacia del dottor Francesco Spinelli e, manco a farlo apposta, ci trova l’orefice. Cristina ritira le medicine ed esce quasi di corsa, ma l’orefice la segue e la ferma.

– Mi piacete assai… dovete essere mia!

– Siete pazzo! Sono una donna sposata, lasciatemi in pace!

– L’ho capito e ho capito anche che vostro marito soldi non ve ne sta mandando. Io potrei mantenervi… soldi ne ho abbastanza… non vi farei mancare nulla

– Siete pazzo, andatevene!

– Quanto oro avete ancora da vendere? Quanti giorni mangerete con quello che mi avete venduto ieri? Sono sicuro che ci vedremo, al più tardi, alla fiera di Cetraro…

Antonio sa bene che evocare la fame nera fa sempre un certo effetto su chi è già arrivato al grigio scuro e così, dopo promesse, lusinghe e seduzioni diverse sa talmente affascinarla che la donna accetta le sue proposte disoneste. Ma Cristina teme lo scandalo e così i due decidono di incontrarsi, il 10 ottobre 1906, a Paola, nella squallida camera di un’infima pensione, dove rimangono avvinghiati l’uno all’altra per due giorni e due notti consecutive. Dopo questo pirotecnico incontro, Cristina e Antonio continuano a vedersi prima a Cetraro e Diamante e poi anche a Bonifati, infischiandosene del probabile scandalo. In tutto si vedono non più di sette od otto volte, ma più che sufficienti perché Cristina rimanga incinta. Quando la gravidanza arriva alla fine del terzo mese, Antonio liquida frettolosamente l’amante, dimenticando tutte le promesse di soccorrerla e sostenerla.

Cristina partorisce sola e derelitta tra l’ansia della colpa e lo scherno dei paesani.

È questo il momento in cui comincia a odiare Antonio. Odio che si accentua maggiormente quando, siamo ormai ai primi di agosto del 1907, Cristina va alla fiera di Cittadella per incontrare Antonio e chiedergli, ancora una volta, di aiutarla:

– Tonì… per questa creatura… sono sola e abbandonata da tutti… indifesa contro l’ira di mio marito che sta tornando… aiutami… fammi stare in quella casetta che sai a Bonifati, ond’io possa vivere tranquillamente

Cosa pretendi da me? Ti ho sufficientemente compensata dei favori che mi hai fatto… Puttana di tutti quanti! – urla davanti a tutti, facendola diventare lo zimbello della folla presente.

Sufficientemente compensata? Io da te ho avuto solo venticinque lire, una veste, un anello e un paio di orecchini… più una figlia! – urla a sua volta, prima di andarsene sempre più esasperata, accarezzando l’idea di vendicarsi. E questa idea, più che accarezzarla, l’abbraccia come si abbraccia un amante appassionato. Va a Paola per comprare alcune capsule per una rivoltella che nasconde da molto tempo, da molto prima di conoscere l’orefice.

È la mattina di ferragosto, Cristina sa che Antonio è sicuramente alla fiera di Cetraro, potrebbe essere questo il momento giusto per mettere in atto la sua vendetta. Ma è indecisa, la sua volontà vacilla, ha paura. Passa tutto il giorno nei dintorni della stazione di Cetraro con quest’angoscia e con la bambina in braccio che piange.

Poi, all’improvviso, decide: lo ammazzerà come un cane. Sono ormai le 19,00 quando comincia a salire lungo la ripida erta verso il paese. Arrivata in piazza si ferma per riposare un po’ e aspettare che faccia buio, quindi si avvicina al basso che Antonio ha preso in fitto come negozio, accanto alla bottega di Cicciu ‘u Puzzu, nel fabbricato lato nord della piazza. Cerca di sbirciare all’interno ma la porta è chiusa, si sarà allontanato per fare qualcosa. Gira lo sguardo intorno: eccolo! Sta arrivando con una donna. Cristina, con la bambina in braccio, si sistema meglio che può a qualche metro dalla bottega, in modo da non avere ostacoli davanti a sé.

Antonio infila la grossa chiave nella serratura e le volta le spalle. Cristina si avvicina di un paio di passi, tende il braccio armato con la rivoltella e spara con la ferma volontà di ucciderlo, ma la bambina ha uno scarto e il colpo va a vuoto.

Cristina racconta la sua storia al Brigadiere Salvatore Morisani, ammettendo di avere avuto la volontà di uccidere e di non esserci riuscita per lo scarto della bambina. Poi aggiunge:

Non ho reiterato i colpi perché ebbi paura di colpire per sbaglio la donna che si trovava presso la porta, vicino ad Antonio

Antonio Lavorato non sporge querela e la cosa sembra sospetta al Brigadiere, che lo convoca in caserma.

– Non sapevo che a Cetraro ci fosse Cristina Quintiero e non avendo altri nemici, quando c’è stato lo scoppio ho pensato che si trattasse di qualche bomba, tanto che continuai ad aprire ed attendere al mio negozio e solo dopo appresi dalla voce pubblica che invece ero stato sparato  da una donna vestita di nero. Mi convinsi che era vero avendo riscontrato nel battente della porta il foro della palla che vi si era conficcata

– È vero che avevate una relazione intima con la donna che vi ha sparato?

Ho avuto relazioni intime parecchie volte, però, essendo una donna pubblica, la pagai sempre e quindi non ho alcun obbligo verso di lei

Il 13 novembre 1907 la Sezione d’Accusa rinvia Cristina Quintiero al Giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere dei reati di tentato omicidio e di porto abusivo di arma da fuoco.

Di rinvio in rinvio, il dibattimento si tiene nell’unica udienza del primo febbraio 1909. L’avvocato Tommaso Corigliano, difensore di Cristina, convince la giuria che la sua assistita ha sparato, in stato d’ira o di intenso dolore, per difendere il proprio onore.

Assolta.

2 mesi di arresti le toccano per forza a causa della condanna per il porto d’arma abusivo, ma ha già scontato 17 mesi e mezzo di carcerazione preventiva e può tornare subito libera.[1]


[1] ASCS, Processi Penali.

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