È da poco suonato mezzogiorno e nella caserma dei Carabinieri di Acri tutto è pronto per il pranzo, ma i colpi insistenti battuti sulla porta fanno interrompere le operazioni.
C’è una donna, molto giovane, che si tiene un fazzoletto premuto sulla parte sinistra del collo, dal quale cola del sangue. Addio pranzo.
– Verso le 10 di stamattina mio marito mi ha aggredita e mi ha colpita con la scure e poi con calci e pugni… mi sono fatta visitare dal medico… qui c’è il certificato – dice in modo concitato la ventenne Francesca Amoroso, maritata Carmine Crocco. È il 17 novembre 1932, venerdì.
Una ferita d’arma da taglio nella regione latero cervicale sinistra; una contusione escoriata al braccio destro; contusioni multiple all’avambraccio sinistro; contusione con ecchimosi alla regione glutea sinistra; contusione con ecchimosi al ginocchio destro, recita il certificato del dottor Virginio Romano.
Il Vicebrigadiere Domenico Libri fa entrare la ragazza e si fa raccontare il perché di quelle botte selvagge:
– Sono oltre 15 giorni che vivo bonariamente divisa da mio marito e ciò perché egli non cura il mio mantenimento regolare ed anche perché esige che io lo mantenga… – attacca Francesca.
– Lo mantieni come?
– Brigadiè… non mi fate dire sconcezze… avete capito… esige che lo mantenga…
– Continua…
– Nelle prime ore di oggi è venuto nei pressi di casa mia in contrada Cuta, dove avevo messo a sciorinare la mia biancheria e mi sono accorta che ha tentato di prendere e portar via un paio di mutande di tela. A tale vista l’ho energicamente richiamato col dire che stava commettendo un’azione poco buona nei miei riguardi. Per questo motivo si è avvicinato con l’intenzione di percuotermi col manico della scure di cui era armato, ma io ho fatto in modo di ripararmi e di dargli uno spintone che stava per farlo traballare. A questo punto, adiratosi maggiormente, mi ha assestato un colpo di scure, ferendomi al collo e poi mi ha colpito a calci e pugni… dopo di che mi ha invitato a recarmi pure dai Carabinieri, dicendo che non sarebbero stati mai capaci di arrestarlo e che si sarebbe presentato alla giustizia quando gli avrebbe fatto comodo…
– E mò vediamo… – borbotta il Vicebrigadiere.
Mandato giù un boccone in fretta e furia, Libri e un Carabiniere si avviano verso la contrada Cuta, abbastanza distante. Quando arrivano e interrogano i vicini, trovano solo conferme alla dichiarazione di Francesca, compresa l’intenzione di farla prostituire: il Crocco avrebbe preteso che costei si desse nelle braccia di qualcuno, pur di dargli da vivere. Le tracce di Carmine si perdono e sembra quasi che irrida gli sforzi dei Carabinieri per arrestarlo.
Sono passati tre giorni e non c’è ancora nessuna notizia del latitante. Poi all’alba del quarto giorno, precisamente alle 5,00 del 21 novembre, i Carabinieri della stazione di Acri vengono svegliati dall’incessante bussare alla porta. Sono due uomini e dicono di venire dalla contrada Cuta dove, durante la notte Carmine Crocco aveva, forse, ucciso la propria moglie, nonché il di costei amante Francesco Abbruzzese. Il Maresciallo Orazio Carcagnolo, rientrato in sede, bestemmia sottovoce, poi manda un Carabiniere ad avvisare il Pretore. Dopo nemmeno mezz’ora si avviano alla volta della località.
Giunti sul posto vengono accompagnati alla casa di Francesca Amoroso e la trovano a soqquadro. Addirittura il letto è abbattuto in modo da formare un declino in direzione della porta di entrata e Francesca, mantenuta sulle braccia di una donna, ha la gola completamente tagliata ma è viva, anche se non può, ovviamente, parlare. Ai piedi del letto è sdraiato Francesco Abbruzzese, colpito da arma da taglio ad entrambi gli occhi, tanto da renderlo cieco, ed anche alla gola. In un angolo c’è una scure sporca di sangue, col manico rotto; poco distante una lampadina elettrica tascabile. Davanti alla porta di casa, coperta con due tavole, c’è un’enorme pozza di sangue, cosa che farebbe pensare che l’aggressione sia cominciata fuori dall’abitazione. Bisognerebbe chiederlo ai due feriti, ma nessuno dei due è in condizioni di parlare. Allora il Pretore cerca di comunicare con Francesca a gesti e pare che la cosa funzioni. Dopo avere interpretato i gesti di risposta della donna, prova con le stesse modalità a interrogare Abbruzzese, ottenendo risposte soddisfacenti. Poi interroga alcuni vicini di casa e adesso si riesce a ricostruire, per grandi linee, i fatti: verso le 20,30 del giorno prima Francesca era in casa di una vicina a chiacchierare del più e del meno quando si presentò, senza essere invitato, Abbruzzese il quale rimase fino a circa le 23,00 e poi si allontanò, invitando Francesca a seguirlo nella casa della donna, dove, dopo aver chiuso la porta dall’interno, si coricarono maritalmente. Verso le 2,00, mentre dormivano, Carmine Crocco entrò in casa mediante una copia della chiave, accese la lampadina elettrica tascabile, illuminò il letto e vide gli amanti che dormivano. Il braccio di lei era sotto il collo dell’uomo, che russava placidamente. Carmine si avvicinò in silenzio con la scure pronta a colpire e la abbatté su Francesco Abbruzzese il quale, tramortito, sanguinante e accecato dal colpo sugli occhi, restò immobile nel letto, urlando di dolore. Francesca si svegliò di soprassalto e vide il marito con la scure nell’atto di vibrare un secondo colpo ad Abbruzzese, si alzò di scatto ed uscì di casa urlando a squarciagola in modo terrorizzante per chiedere aiuto. Fu in questo momento che suo marito le si parò davanti e la colpì due volte con la scure alla gola, aprendogliela in due. Francesca stramazzò al suolo priva di sensi.
Alle urla molti vicini si svegliarono e si precipitarono sul posto. Trovarono la donna per terra in un lago di sangue e Carmine ancora con la scure in mano.
– Che cosa hai fatto? – gli chiese uno.
– Ora sono contento e vado a costituirmi a Cosenza – rispose senza nessuna emozione, poi sparì nel buio.
Già nelle prime indagini, i Carabinieri scoprono un precedente tra Crocco e Abbruzzese: durante la giornata della festa del Beato Angelo – 30 ottobre u.s. – l’Abbruzzese, non contento di arrecare l’onta disonorevole al Crocco, lo ha anche seriamente schiaffeggiato ed anche minacciato di gettarlo nel fiume Muccone e ciò mentre tutti e due, da Acri, si avviavano verso la contrada Cuta. Se a questo si aggiunge che Crocco è un giovane di poca forza e di scadente robustezza, mentre l’Abbruzzese è un uomo alto, forte e moto robusto e aitante, è facile immaginare perché Carmine ha deciso di colpire all’improvviso di notte.
Le ricerche dell’aggressore, estese a tutti i comuni del circondario e anche nel capoluogo di provincia non danno alcun esito.
In questo frattempo le condizioni Abbruzzese sembrano migliorare, quelle di Francesca, invece, vanno sempre peggio e alle 8,30 del 23 novembre muore.
Adesso si tratta di omicidio.
Carmine Crocco evidentemente è rimasto nascosto ad Acri, in casa di amici fidati, perché mezz’ora dopo che sua moglie è morta – ancora non lo sanno nemmeno i Carabinieri –, si costituisce nella caserma del paese:
– Quattro anni fa ho sposato la Amoroso con la quale ho vissuto sempre in buon accordo, almeno fino al 15 marzo di quest’anno, epoca in cui partii soldato. Ritornato in breve licenza il 15 giugno successivo, non rilevai alcuna cosa che potesse insospettirmi sull’onestà di mia moglie. Da giugno a settembre lavorai nel bosco Montagna di Noce, vicino a casa mia, e così strinsi amicizia con Francesco Abbruzzese che alcune volte veniva di sera in casa mia, ov’era ricevuto da amico. In questo perido mi vennero all’orecchio alcune voci secondo cui mia moglie e Abbruzzese se l’intendevano, ma io non vi ho prestato alcuna fede. Partito pel Reggimento il 9 settembre, ritornai a casa il 23 ottobre in congedo illimitato. Trovai mia moglie d’umore così mutato che il 29 ottobre litigammo perché avevo appreso che mi aveva tradito con Abbruzzese ed altri. Il 30 ottobre, giorno del Beato Angelo, chiesi spiegazioni ad Abbruzzese il quale, mentre andavamo verso la contrada Cuta, al ponte sul Mucone, forse offeso da me per alcune parole, mi afferrò e fece cenno di buttarmi nel fiume. Giunti alla Cuta, Abbruzzese entrò con me in casa. Lo invitai a mangiare del salame che mia moglie mi aveva dato, ma lui si rifiutò dicendo: “Mangiati il tuo, cornuto che non sei altro!”. Capii che il salame proveniva dall’Abbruzzese. Quella sera dormii da solo in casa perché mia moglie e Abbruzzese se ne andarono assieme. Non protestai, sia perché ero ubbriaco, sia perché pochi momenti prima Abbruzzese, che temevo per le sue condizioni fisiche, mi aveva percosso perché avevo tentato di ferire mia moglie, avendo inteso che la stessa diceva di non voler più stare con me. Il giorno dopo Francesca mi costrinse, dopo una scenata, a prendere la mia roba e ad andarmene a casa di mio padre. Non sono ritornato, dopo tale giorno, in casa di mia moglie, tranne che di giorno e per brevi visite e sempre per insistere per una pacificazione…
– Sicuro che non sei mai entrato in casa di notte oltre l’ultima volta?
– Un paio di volte cercai di entrare in casa dal tetto ed una volta vi entrai effettivamente, ma Francesca chiamò i vicini e mi fece uscire…
– E Abbruzzese andava spesso a trovare tua moglie?
– A quanto io so, Abbruzzese, durante il novembre, non si recò mai in casa di mia moglie alla Cuta…
– La chiave di casa come te la sei procurata?
– La sera del 20 novembre stavo aspettando mia moglie in casa di una vicina per restituirle la nostra bambina. La vidi passare che tornava da Acri in compagnia di altri, ma non di Abbruzzese, e volendo tentare di nuovo la pacificazione per il bene che le portavo, nell’uscire dalla casa della vicina presi, senza che alcuno se n’accorgesse, la chiave che si trovava nella toppa, pensando che forse così mi sarebbe riuscito facile entrare nella casa di mia moglie.
– E sei entrato…
– Mi trattenni fino a mezzanotte in casa di amici e poi mi recai a casa di mia moglie – è la drammatica confessione di come realmente andarono le cose –. Con circospezione aprii la porta ed entrai. Mentre a tentoni mi avvicinavo al letto, toccai dei pantaloni di velluto, posati sul tavolo, un cappello e delle scarpe (“alpini”), onde arguii che mia moglie doveva essere con qualche uomo. Se avessi supposto trattarsi di Abbruzzese sarei uscito perché, lo ripeto, di lui portavo gran timore. In un momento d’ira pensai di vendicarmi e sapendo che in casa era una scure, la cercai al buio e la trovai sotto una cassa. Afferratala, mi avvicinai al letto, accesi la lampadina che posai sul tavolo e al chiarore constatai che i due dormivano abbracciati e ciò mi irritò ancora di più, dato che in quattro anni di matrimonio non mi aveva mai dimostrato simile tenerezza. Colpii violentemente l’uomo. E continuai a dare dei colpi anche a mia moglie la quale intanto, rizzatasi sul letto, mi chiese perdono. Mentre lei cercava di guardarsi i colpi, il manico della scure si spezzò e contemporaneamente la lampada si spense. Afferrata mia moglie per i capelli, la tirai dal letto mentre gridava, divincolandosi. Quasi liberatasi, uscì dalla porta, ma io la afferrai sulla soglia, la buttai a terra, la assicurai sotto le ginocchia ed estratto di tasca il coltello – mette una mano in tasca e toglie un coltello che posa sul tavolo del Maresciallo – le tagliai la gola. Credendo fosse morta la lasciai sul posto ed avendo sentito l’uomo lamentarsi rientrai in casa per finirlo, infatti gli diedi un colpo alla gola. Abruzzese cercò di afferrarmi, mi morse ad un dito ma io mi svincolai, uscii e, salutati i vicini, mi recai in Sila ove si trovava mio padre. Ero intenzionato a costituirmi subito, ma i miei familiari me ne dissuasero…
– Tua moglie, quando ti denunciò la volta scorsa, ha dichiarato che ti ha lasciato perché tu le volevi far fare la puttana…
– Se mia moglie ha detto questo, lo ha fatto per liberarsi meglio di me… del bene che io le portavo, possono testimoniare tutti quelli di Cuta…
Ma ci sono dubbi su questa versione dei fatti: c’è il dubbio che, avendo rubato la chiave, Carmine si sia appostato nei pressi della casa della moglie e abbia visto i due amanti entrare insieme, quindi sarebbe stato perfettamente a conoscenza dell’identità dell’uomo; secondo alcuni testimoni la scure che Carmine dice di avere trovato in casa era stata invece portata via da lui il giorno che Francesca lo cacciò di casa e anche questo particolare significherebbe che il fatto non sarebbe accaduto nell’impeto della scoperta degli amanti, ma che era stato premeditato.
Francesco Abbruzzese perde l’occhio sinistro, letteralmente esploso per il colpo di scure. Dell’occhio destro perde i due terzi della funzionalità e sarà costretto a vivere in un mondo fatto di ombre e vaghe figure.
Chiusa l’istruttoria, il 30 settembre 1933, il Giudice Istruttore rinvia Carmine Crocco al giudizio del Tribunale Penale di Cosenza per rispondere dei reati di omicidio del coniuge per causa d’onore e lesioni personali gravi per causa d’onore.
Dopo due mesi e mezzo il Collegio giudicante esamina il caso di Carmine Crocco che viene rinviato al primo febbraio 1934 per legittimo impedimento del difensore.
Secondo il Collegio giudicante la versione di Carmine Crocco è credibile: quella notte, semmai, entrò in casa per appacificarsi con la moglie e quindi per congiungersi con lei, consenziente o meno è solo un dettaglio. Non aveva intenzione di uccidere nessuno ma la vista degli adulteri gli fece perdere la testa e commise il fatto per salvare il proprio onore offeso.
Sei anni e due mesi di reclusione, più pene accessorie.
La difesa ricorre in Appello sostenendo che c’è stato un errore nel calcolo della pena e il 23 aprile successivo, la Corte d’Appello di Catanzaro accoglie il ricorso, riformulandola a quattro anni e cinque mesi di reclusione.[1]
Ma Carmine è ancora assetato di sangue, presto racconteremo il resto…
[1] ASCS, Processi Penali.
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